Cass., Sez. I Civ., ord. 23 settembre 2019, n. 23594
Il Collegio, sulla scorta della consolidata giurisprudenza di legittimità, chiarisce in primo luogo come un’area deve essere ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti classificata in quanto tale dagli strumenti urbanistici, e come, per converso, le possibilità legali di edificazione devono essere escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia.
Richiamato il discrimen tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, il Giudice di legittimità precisa come nell’ipotesi di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata, l’indennità è determinata nella misura pari al valore venale, diversamente dai casi di costruzione ovvero parte di essa realizzata in assenza della concessione edilizia o della autorizzazione paesistica, ovvero in difformità, nei quali l’indennità è calcolata in ragione della sola parte della costruzione realizzata legittimamente.
Infine, l’autorità espropriante, sentito il comune, accerta la sanabilità ai soli fini della corresponsione delle indennità, quante volte risulti pendente una procedura finalizzata alla sanatoria della costruzione.
Avv. Marco Bruno Fornaciari