Nel contratto-di-appalto l’appaltatore è tenuto al rispetto delle prescrizioni contenute nel titolo autorizzativo e di quelle derivanti dal contratto sottoscritto dalle parti. Pertanto, la mancata menzione nel contratto-di-appalto delle prescrizioni contenute nella relazione energetica, seppur prevista dalla legge ai fini del rilascio del titolo autorizzativo, non implica l’obbligo dell’appaltatore di rispettare tale prescrizione (Cass. Civ., Sez. VI, 15 novembre 2019, n. 29781).
Il Collegio, infatti, ritiene corretta la interpretazione della volontà delle parti che ha condotto la Corte distrettuale a ritenere che la mancata menzione nel contratto-di-appalto delle prescrizioni contenute nella relazione energetica prevista dalla l. n. 10 del 1991 ed allegata al progetto di realizzazione del nuovo edificio non implicasse l’obbligo dell’appaltatore di rispettare le prescrizioni contenute nella prima.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha già affermato il principio secondo il quale, in tema di interpretazione del contratto, “il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c. c., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (Cass., Sez. I, ord. 5 novembre 2017, n. 29111; Cass., Sez. III, 12 gennaio 2006, n. 420).
Il Collegio, pertanto, perviene alla enunciazione del richiamato principio di diritto, atteso che, come affermato peraltro anche dalla Corte distrettuale nella sentenza impugnata, “In tema di contratto-di-appalto avente ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti senza rispettare la concessione edilizia, occorre distinguere le ipotesi di difformità totale e parziale. Nel primo caso, che si verifica ove l’edificio realizzato sia radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l’opera è da equiparare a quella posta in essere in assenza di concessione, con conseguente nullità del detto contratto per illiceità dell’oggetto e violazione di norme imperative; nel secondo, invece, che ricorre quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto, tale nullità non sussiste” (Cass., Sez. II, ord. 27 novembre 2018, n. 30703).
Avv. Marco Bruno Fornaciari