In materia di subappalto, la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che:
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essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione (CGUE, Sez. V, sentenza 27 novembre 2019, C-402/18 – Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service contro C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza).
La Corte sovranazionale, disattesa la eccezione di irricevibilità della questione pregiudiziale dedotta dal Governo italiano, precisa in primo luogo come l’art. 118, comma 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 183, applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, risulti incompatibile con la direttiva 2004/18/CE, recepita dal previgente Codice dei contratti pubblici, nella parte in cui impone un limite al ricorso al subappalto per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, ovvero il 30%, a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli eventuali subappaltatori ed il carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe.
La normativa nazionale oggetto del procedimento principale, infatti, sebbene informata alla esigenza di limitare il ricorso al subappalto quale strumento sovente adoperato per l’attuazione di intenti criminosi nel settore italiano degli appalti pubblici, eccede il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri dalla direttiva 2004/18/CE (considerando nn. 6 e 43) e dalla giurisprudenza comunitaria nell’adozione di misure destinate a garantire il rispetto dell’obbligo di trasparenza in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico, perseguibile mediante misure meno restrittive rispetto alla imposizione di un limite generale ed astratto per il ricorso al subappalto.
Un divieto siffatto, riferito ad una quota parte che superi una percentuale fissa dell’importo dell’appalto pubblico e reso applicabile indipendentemente dal settore economico interessato, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori, senza che residui spazio alcuno per una valutazione concreta da parte dell’ente aggiudicatore, non è conforme ai principi che presiedono alla aggiudicazione degli appalti ex art. 2 della direttiva 2004/18/CE e, segnatamente, ai principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità, che devono informare la intera procedura di evidenza pubblica.
La Corte di Lussemburgo ritiene, analogamente, che l’art. 118, comma 4 del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui impone per le prestazioni affidate in subappalto, in modo imperativo ed a pena di esclusione dell’offerente dalla procedura di aggiudicazione, il limite generale ed astratto del ribasso non superiore al 20% dei prezzi unitari risultanti dalla aggiudicazione, al fine di assicurare una tutela salariale minima ai lavoratori di un subappaltatore interessati, rechi un effetto dissuasivo rispetto alla possibilità offerta dalla direttiva 2004/18/CE di ricorrere al subappalto, atteso che tale normativa limita l’eventuale vantaggio concorrenziale in termini di costi che i lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto presentano per le imprese che intendono avvalersi della detta possibilità.
I requisiti in materia prezzi prescritti dalla normativa nazionale de qua, anche se qualificati quali «condizioni particolari in merito all’esecuzione di un appalto», segnatamente come «considerazioni sociali», «precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri», esigibili dalle amministrazioni aggiudicatrici, giusta l’art. 26 della direttiva 2004/18/CE, possono essere imposti soltanto se siano compatibili con il diritto dell’Unione e non eccedano quanto necessario al fine di assicurare ai lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto una tutela salariale, posto che nella applicazione del richiamato limite del 20% del ribasso dei prezzi unitari risultanti dalla aggiudicazione previsto dalla normativa nazionale non residua margine alcuno per una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice; e che il subappaltatore è tenuto a rispettare pienamente, nei confronti dei propri dipendenti, il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali vigenti per il settore e per la zona in cui le prestazioni vengono effettuate.
Il richiamato limite per il ricorso al subappalto, inoltre, sebbene in tesi idoneo a garantire la redditività dell’offerta e la corretta esecuzione dell’appalto, risulta, in ogni caso, sproporzionato rispetto a tale obiettivo, dal momento che esistono altre misure meno restrittive che ne faciliterebbero il raggiungimento e che l’ordinamento italiano contempla già talune misure che mirano a consentire all’amministrazione aggiudicatrice di verificare la capacità e l’affidabilità del subappaltatore prima che egli effettui le prestazioni oggetto di subappalto.
Risulta inconferente, infine, anche l’argomentazione secondo la quale il detto limite del 20% risulterebbe compatibile con il diritto dell’Unione in ragione del principio della parità di trattamento degli operatori economici, posto che la mera circostanza che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, ma contribuisce piuttosto ad una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici.
Avv. Marco Bruno Fornaciari