E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, ad esercitare il diritto di accesso-documentale con riferimento agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore ed il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria.
E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica ed alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice.
E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se, in presenza di un’istanza di accesso-documentale espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso-documentale motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato (Cons. Stato, Sez. III, ord. 16 dicembre 2019, n. 8501).
La Sezione rimettente ha chiarito in primo luogo come, secondo l’interpretazione invalsa in ordine ai presupposti legittimanti il diritto di accesso-documentale ordinario di cui agli artt. 22 ss. della l. n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398), la situazione giuridica suscettibile di legittimare l’istanza ostensiva, sia nella sua configurazione “finale” (nella specie, connessa all’affidamento del servizio a seguito dello scioglimento del rapporto contrattuale con l’impresa aggiudicataria), sia in quella “procedimentale” (intesa, nella fattispecie in esame, alla sollecitazione ed al controllo delle modalità di esercizio da parte della P.A. del suo potere di risoluzione del contratto con l’aggiudicataria e di “interpello” della seconda classificata), deve postulare quantomeno una attuale e concreta prospettazione dei suoi presupposti costitutivi, relativi, nella specie, al grave inadempimento dell’impresa affidataria.
Sull’opposto versante interpretativo, tuttavia, deve rilevarsi come la posizione di seconda graduata nella procedura di gara per l’affidamento del contratto non sia assimilabile ad un quisque de populo, ai fini dell’attivazione dell’iniziativa ostensiva: quella posizione, infatti, funge da presupposto attributivo di un fascio di situazioni giuridiche, di carattere oppositivo o sollecitatorio, finalizzate alla salvaguardia di un interesse tutt’altro che emulativo, in quanto radicato sulla valida – anche se non pienamente satisfattiva – partecipazione alla gara, tale da determinare la rimessione all’Adunanza Plenaria della prima delle richiamate questioni interpretative.
Il Collegio ritiene infatti che, in tale contesto, ed anche in considerazione dell’idoneità dell’accesso ad integrare un autonomo bene della vita, distinto dalle utilità conseguibili mediante le iniziative attivabili a seguito del suo utile esperimento, scolori, anche ai fini della giuridica tutelabilità, il discrimen tra l’interesse dell’impresa seconda classificata ad avere accesso agli atti della fase esecutiva, onde sollecitare l’eventuale potere risolutorio e quello consequenziale di interpello della stazione appaltante, e l’incontestabile interesse ostensivo della medesima concorrente a conoscere i documenti relativi all’offerta presentata dalla aggiudicataria, in vista della eventuale impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, posto l’interesse al subentro nella posizione di affidataria della commessa perseguito in entrambe le ipotesi, tra loro distinte soltanto in ragione della natura vincolata ovvero discrezionale del potere di sostituzione della prima graduata spettante all’Amministrazione.
La Sezione, nella prospettazione della seconda questione interpretativa, deferita in via subordinata al Collegio in composizione nomofilattica qualora si ritenga che il concorrente secondo graduato sia privo di un interesse differenziato che lo legittima all’esercizio del diritto di accesso-documentale ordinario, giusta gli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990 – nella specie implicitamente invocati da parte appellante -, ha ritenuto necessario chiarire se l’amministrazione prima e il giudice dopo abbiano il potere, o il dovere, di riqualificare l’istanza di accesso-documentale presentata dal richiedente, secondo i parametri della indifferenziata legittimazione soggettiva attiva che connota l’accesso civico di cui agli artt. 5 ss. del d.lgs. n. 33 del 2013, come modificati dal d.lgs. n. 97 del 2016.
La competenza dell’Amministrazione – e, successivamente, del giudice in osservanza del principio iura novit curia – a sussumere sub specie iuris la domanda del privato di cui sia univocamente identificabile il contenuto sostanziale depone, in uno ad esigenze di economia procedimentale, nel senso del carattere non preclusivo della qualità differenziata spesa dal concorrente richiedente l’accesso-documentale, ai fini della applicazione in via subordinata della normativa in tema di accesso civico, atteso l’obiettivo primario di verificare la fondatezza dell’istanza alla luce del complessivo tessuto ordinamentale – peraltro informato alla massima collaborazione tra l’Amministrazione ed i cittadini – in vista del soddisfacimento dell’interesse ostensivo finale del richiedente.
La rimessione della detta questione interpretativa all’Adunanza Plenaria, tuttavia, si rende necessaria considerato che, in senso opposto, milita la testuale finalizzazione dell’accesso civico allo “scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, così come novellato dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 97 del 2016), in guisa da connotare in positivo l’istituto de quo e da escluderne l’applicazione quante volte il promotore dell’iniziativa ostensiva abbia espressamente fatto valere una legittimazione di carattere egoistico, ovvero abbia dichiarato di agire, come nella specie, a tutela di un interesse di carattere individuale.
Il Collegio, infine, con riferimento alla specifica materia degli atti relativi alle procedure di evidenza pubblica ed alla fase esecutiva del rapporto contrattuale con l’impresa aggiudicataria, richiama la prevalente giurisprudenza amministrativa – segnatamente Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817 – orientata nel senso di ritenere che i due sistemi normativi coesistano, nell’attuale complessivo regime della trasparenza dell’attività amministrativa, in quanto finalizzati a regolare due istituti autonomi, muniti di propri elementi caratterizzanti, sebbene unificati dalla comune matrice riequilibratrice del rapporto tra P. A. e cittadini.
Il richiamato precedente giurisprudenziale, peraltro, ha evidenziato come l’accesso civico o generalizzato, a differenza dell’accesso-documentale “classico” e secondo una impostazione sistematica che rinviene avallo legislativo espresso nel disposto dell’art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 33 del 2013, “sotto il profilo oggettivo, realizza il massimo della ‘estensione’ […], graduata tra l’accesso generico […] e l’accesso universale […], mentre ‘sul piano dell’’intensità’, si tratta – nondimeno – di pretese meno incisive di quelle veicolate dall’accesso-documentale (posto che – in presenza di controinteressi rilevanti – lo scrutinio di necessità e proporzionalità appare orientato dalla massimizzazione della tutela della riservatezza e della segretezza, in danno della trasparenza)”.
Secondo una ricostruzione dei rapporti tra le due discipline di segno alternativo, il d.lgs. n. 33 del 2013 non avrebbe esautorato del tutto la previgente l. n. 241/1990 né espunto dall’ordinamento le specifiche forme di accesso dalla stessa disciplinate, che, tuttavia, in uno all’istituto inedito dell’accesso civico, concorrerebbe alla configurazione di un diritto unitario, in quanto informato alla medesima istanza informativa nei confronti della P. A., sebbene declinato in molteplici manifestazioni attuative.
La Sezione, inoltre, con riferimento all’art. 53, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016, che richiama gli artt. 22 ss. l. n. 241 del 1990 per l’esercizio del diritto di accesso nella materia dei contratti pubblici, rileva come, secondo il già richiamato e prevalente indirizzo pretorio, l’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, nella parte in cui rinvia alle vigenti disposizioni che postulano, ai fini dell’accesso, l’osservanza di specifiche condizioni, modalità e limiti, non è suscettibile di essere interpretato semplicisticamente quale affermazione della necessità di richiedere, ai fini dell’ostensione dei documenti in determinati ambiti o materie, il possesso della situazione legittimante l’accesso-documentale ex art. 22 l. n. 241 del 1990.
La portata dell’art. 53, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016, inoltre, quale disposizione previgente al d.lgs. n. 97 del 2016 e recante un rinvio generale ed onnicomprensivo alla l. n. 241 del 1990, non renderebbe possibile la sua riconduzione alla clausola di salvezza di cui all’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, riferita alle disposizioni che prevedono “specifiche condizioni, modalità o limiti” all’accesso, attesi la esclusione di una sua applicazione differenziata e lo iato tra il carattere analitico di tale previsione ed il carattere generale del rinvio alla l. n. 241 del 1990 di cui all’art. 53, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Il Collegio, pertanto, premesso che il generico riferimento normativo all’accesso, da riferirsi sia all’accesso civico di cui al d.lgs. n. 33 del 2013 che all’accesso-documentale ordinario ex artt. 22 ss. della l. n. 241 del 1990, pare suffragare la visione legislativa sostanzialmente unitaria dell’istituto, sebbene la diversa disciplina che ne presiede le singole declinazioni attuative, deferisce all’Adunanza Plenaria la questione interpretativa da ultimo richiamata, atteso che l’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n. 33 del 2013 potrebbe essere inteso comunque quale concorrenza delle due discipline in tema di accesso in ciascun ambito materiale specifico, fermo il rispetto delle specifiche condizioni, modalità o limiti previsti dalla l. n. 241 del 1990, ai quali, tuttavia, non potrebbero venire ricondotti quelli che non possono essere trasferiti entro il dominio applicativo dell’accesso civico, senza sortire la radicale negazione dello stesso, quale la necessaria legittimazione soggettiva del richiedente.