Ai sensi dell’art. 4, l. 9 gennaio 1989, n. 13, l’amministrazione può negare l’autorizzazione-delle-opere-edilizie volte all’abbattimento di barriere architettoniche in immobili di interesse storico e architettonico nella sola ipotesi in cui le opere in questione arrechino grave e serio pregiudizio all’intero fabbricato (Cons. Stato, Sez. II, 14 gennaio 2020, n. 355).
Il Collegio, sulla scorta della giurisprudenza della di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938), precisa in primo luogo come la peculiare disciplina recata dalla l. n. 13 del 1989 per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati debba trovare applicazione anche a beneficio di persone anziane, in ragione dei disagi fisici e delle difficoltà motorie di cui sono portatrici.
Tali impedimenti, infatti, sebbene non costituiscano propriamente una disabilità, vi risultano comunque assimilabili alla stregua della inedita e più ampia dimensione acquisita dal diritto alla salute, quale stato di completo benessere fisico e psichico, giammai quale semplice assenza di malattia (Cass., n. 21748/2007), che importa l’estensione dell’applicazione della l. n. 13 del 1989 anche alle persone in età avanzata, benché non portatrici di handicap.
Secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata ed estensiva di tale normativa (Corte cost. 10 maggio 1999, n. 167; Cass. Civ., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334), pertanto, l’imposizione dell’obbligo di rimozione delle barriere architettoniche – imposto in via generale nella realizzazione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, indipendentemente dall’impiego effettivo delle stesse strutture da parte di persone disabili – assurge, trattandosi di garantire diritti fondamentali, ad indice del radicale mutamento di prospettiva segnato da questa legislazione, che coinvolge l’intera collettività.
La Sezione, inoltre, ricorda come anche i beni sottoposti a vincolo quali beni culturali possano essere oggetto degli interventi tesi alla rimozione delle barriere architettoniche contemplati dall’art. 2 della l. n. 13 del 1989, ovvero di quelli volti a realizzare un miglioramento nelle condizioni di vita delle persone svantaggiate (art. 4 della l. n. 13 del 1989).
In tali ipotesi, l’autorizzazione-delle-opere-edilizie necessarie può essere negata soltanto quante volte ricorra un serio pregiudizio che possa derivarne per il bene tutelato, giusta l’art. 4, comma 4 della l. n. 13 del 1989.
Il diniego dell’autorizzazione-delle-opere-edilizie, tuttavia, dovrà essere assistito da una motivazione che specifichi la natura e la serietà del potenziale nocumento arrecato ai beni oggetto di vincolo, la sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento ad ogni alternativa prospettata dall’interessato (art. 4, comma 5 della l. n. 13 del 1989), utile ad individuare “un punto di equilibrio nel rapportare gli interessi in giuoco” (Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 682).
La maggiore intensità dell’onere motivazionale che accede al diniego dell’autorizzazione-delle-opere-edilizie si spiega in ragione della posizione poziore assunta, nella scala dei peculiari valori presidiati dalla legge de qua – quali il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost. ed oggetto di guarentigie anche a livello internazionale (cfr. la Convenzione ONU del 13 dicembre 2006, n. 61/106, ratificata con l. n. 3 marzo 2009, n. 18) -, dall’interesse alla protezione della persona svantaggiata rispetto alla salvaguardia del patrimonio storico ed artistico nazionale (art. 9 Cost.), destinata a prevalere sul primo soltanto in ipotesi eccezionali.
Avv. Marco Bruno Fornaciari