La cessione-volontaria di beni immobili rientra nel più ampio genus dei c. d. contratti ad oggetto pubblico, che si diversifica dai normali contratti di compravendita di diritto privato per una serie di imprescindibili elementi costitutivi, che vanno individuati nell’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità mediante decreto di esproprio; nella preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell’indennità e delle relative offerte ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall’art. 12, l. n. 865 del 1971; nel prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell’indennità di espropriazione (Cons. Stato, Sez. II, 28 gennaio 2020, n. 705).
Il Tar per l’Emilia Romagna dichiarava in parte inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte infondato il ricorso presentato dai comproprietari di un appezzamento di terreno – oggetto di un procedimento di ablazione avviato dall’amministrazione espropriante -, che deducevano l’inadempimento di Autostrade per l’Italia S. p. a. – beneficiaria dell’intervento – nell’esecuzione dell’accordo intervenuto quale “soluzione concordata” – anche ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 – recante obbligazioni indennitarie ed obblighi sostanzialmente integrativi del ristoro economico previsto per legge.
Il giudice di prime cure riteneva che l’accertamento inerente al mancato adempimento degli obblighi contemplati dal contratto di cessione-volontaria di beni e degli immobili – in disparte la configurazione assunta dall’accordo negoziale – e l’asserito carattere soltanto parziale della prestazione del corrispettivo pattuito fossero questioni devolute alla giurisdizione esclusiva del G. O., giusta l’art. 133, lett. g) c. p.a..
La Sezione – investita della cognizione del gravame proposto dalla parte soccombente avverso la sentenza di primo grado – non condivide la statuizione del giudice del primo grado di giudizio in punto di difetto di giurisdizione e ritiene inconferente il richiamo operato dalla difesa della società appellata al combinato disposto degli artt. 45 e 53, comma 2 del d. P. R. n. 327 del 2001 (T. U. Espr.), a mente del quale “Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa“.
La fattispecie oggetto del giudizio, infatti, soggiace all’applicazione ratione temporis dell’art. 12 della l. n. 865 del 1971, che – prima della formale abrogazione intervenuta con l’art. 58 del d. P. R. n. 327 del 2001 – disciplinava il contratto di cessione-volontaria tra proprietario espropriando ed amministrazione espropriante.
Il Collegio precisa come l’assenza degli elementi costitutivi enucleati nel principio di diritto richiamato in epigrafe impedisca di ricondurre al negozio traslativo gli effetti tipici – quale l’estinzione dei diritti reali o personali insistenti sul bene ablato dall’amministrazione – dell’istituto della cessione-volontaria, sussumibile nel genus dei c. d. contratti ad oggetto pubblico.
La causa del contratto pubblicistico di cessione-volontaria, infatti, viene individuata nella realizzazione del procedimento espropriativo mediante il ricorso ad uno strumento alternativo al decreto di esproprio – provvedimento amministrativo autoritativo – e di matrice privatistica, in parte soggetto a norme di legge imperative.
La sussistenza del collegamento tra il rapporto contrattuale ed il procedimento ablatorio avviato dall’amministrazione, quale essenziale “momento genetico e fondamentale presupposto del trasferimento immobiliare“, pertanto, integra un presupposto necessario e, tuttavia, non sufficiente per la configurazione compiuta del contratto di cessione-volontaria di beni immobili tra proprietario espropriando ed amministrazione espropriante e per consentire l’acquisizione della proprietà immobiliare in capo alla P. A..
La Sezione non ignora come il percorso ermeneutico seguito dal giudice giudice di prime cure in punto di difetto di giurisdizione del G. A. rinvenga conforto nell’indirizzo della giurisprudenza di legittimità – registrato anche nella giurisprudenza amministrativa – che ha affermato l’incompatibilità ontologica degli accordi integranti il contratto di cessione-volontaria degli immobili assoggettati ad espropriazione con il paradigma di cui all’art. 11 della l. n. 241 del 1990, atteso che il carattere esclusivamente civilistico dei primi importerebbe una discrezionalità dell’amministrazione soltanto nell’an e non anche nel quomodo, come avviene invece nell’adozione degli accordi sostitutivi ed integrativi di provvedimenti amministrativi (cfr. Cass., SS.UU. 6 dicembre 2010, n. 24687).
In disparte l’orientamento che ha qualificato la cessione volontaria alla stregua degli ulteriori possibili effetti che il negozio giuridico può determinare con riferimento al concreto atteggiarsi nel contesto locale nel quale è destinato ad incidere (Cass.,30 gennaio 2008, n. 2029), il Collegio rileva tuttavia come la cessione-volontaria – in quanto negozio sostitutivo del decreto di espropriazione – sia stato sussunto negli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990, attesa la persistenza nell’istituto del carattere autoritativo che connota il provvedimento ablatorio dell’amministrazione espropriante, senza che la confluenza in un solo testo dell’atto amministrativo e del negozio giuridico possa incidere sulla natura dell’attività amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4179; sez. VI; 14 settembre 2005, n. 4735).
L’affermazione della giurisdizione del G. A. per le controversie relative all’esecuzione del contratto di cessione volontaria di beni immobili all’amministrazione espropriante – diverse da quelle in tema di indennità – rinviene spiegazione, peraltro, nella sussunzione della cessione-volontaria nel paradigma più duttile degli accordi ex art. 11 l. 241 del 1990, non riconducibili allo schema del contratto di diritto privato in ragione della necessaria sussistenza in capo alla P. A. di un potere autoritativo (Corte Cost., nn. 204/2004 e 191/2006).
Gli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimenti amministrativi, infatti – quale istituto generale del procedimento amministrativo, novellato dalla l. n. 15 del 2005 – non esauriscono il modello previgente del c. d. contratto ad oggetto pubblico – sebbene la sostanziale equivalenza o sovrapponibilità fra funzione economico sociale e cura dell’interesse pubblico -, in quanto patti o convenzioni idonei ad assolvere a molteplici funzioni e fonte di situazioni giuridiche giuridiche patrimoniali distinte dalle obbligazioni civilistiche.
L’istituto degli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990, pertanto, costituisce lo strumento contemplato dall’ordinamento per consentire all’amministrazione di pervenire – attraverso il modulo della negoziazione, alternativo al provvedimento amministrativo autoritativo – alla stipula di un contratto che rechi gli effetti stabiliti dalla legge, nella sintesi degli aspetti necessariamente civilistici e dei contenuti tipicamente autoritativi, nonchè nel contemperamento dei diversi interessi coinvolti nell’azione amministrativa.
Avv. Marco Bruno Fornaciari