Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale solleva questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sul seguente quesito: – se la direttiva 94/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 1994 vada interpretata nel senso di ostare ad una legislazione nazionale quale quella descritta, che da un lato individua come ottimale ai fini del rilascio di un permesso-di-ricerca di idrocarburi un’area di una data estensione, concessa per un periodo di tempo determinato – nella specie un’area di 750 chilometri quadrati per sei anni – e dall’altro consente di superare tali limiti con il rilascio di più permessi di ricerca contigui allo stesso soggetto, purché rilasciati all’esito di distinti procedimenti amministrativi (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 13 febbraio 2020, n. 1154).
La Sezione, con l’ordinanza dedotta in rassegna, interroga la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) sulla corretta interpretazione della normativa comunitaria, intervenuta per uniformare la disciplina che presiede al rilascio ed all’esercizio delle autorizzazioni alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi negli ordinamenti dei singoli Stati membri.
Il quesito involge segnatamente l’art. 6, comma 2 della L. 9 gennaio 1991, n. 9, recante norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale – come modificato dal D.lgs. 25 novembre 1996, n. 625, di attuazione della Direttiva comunitaria 94/22/CE – nella parte in cui prescrive un limite massimo di estensione – pari a 750 chilometri quadrati – dell’area con riferimento alla quale l’operatore economico interessato richieda all’Amministrazione competente il rilascio del permesso-di-ricerca di idrocarburi, assunta dall’ordinamento interno quale attività di pubblico interesse e soggetta ad un regime di concessione.
Il permesso-di-ricerca è contemplato dall’art. 5, L. n. 9/1991 (Permesso di ricerca e qualifiche dei richiedenti) e viene accordato all’impresa interessata e qualificata dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), di concerto – per le rispettive competenze – con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), quante volte l’istanza per il rilascio del titolo minerario abbia ad oggetto aree del demanio marittimo, del mare territoriale e della piattaforma continentale (art. 6, comma 1, L. n. 9/1991).
La ragione del rinvio pregiudiziale operato dal Collegio alla Corte di Giustizia UE risiede nella necessità di scrutinare la conformità dell’art. 6, comma 2, L. n. 9/1991 s. m. i. con la Direttiva 94/22/CE, attesa l’assenza di una configurazione condivisa – quale limite riferito al singolo permesso di ricerca ovvero anche al singolo operatore economico – dell’indice di 750 chilometri quadrati prescritto dalla norma de qua per il rilascio permesso-di-ricerca di idrocarburi.
Nelle fattispecie oggetto del giudizio di appello, il Tar del Lazio territorialmente competente (art. 14, comma 1 c. p. a.) respingeva i ricorsi proposti dalla Regione Puglia avverso i decreti ministeriali espressi dal MATTM – di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (MIBACT) – e recanti la compatibilità ambientale di distinti progetti di ricerca presentati dalla impresa controinteressata.
L’operatore economico interessato, infatti, aveva instato per il rilascio di titolo abilitativo idoneo alla effettuazione, con la tecnica dell‘air gun, di indagini sismiche 2D o 3D in aree contigue tra loro, localizzate al largo della costa regionale e ciascuna di superficie soltanto sensibilmente inferiore al limite di 750 chilometri quadrati di cui all’art. 6, comma 2, L. n. 9/1991.
L’Ente regionale ricorrente – chiamato a partecipare al procedimento amministrativo propedeutico al rilascio dei titoli minerari ed esponenziale della collettività dei propri cittadini – aveva impugnato separatamente i richiamati provvedimenti, posto che l’Amministrazione con il rilascio al medesimo operatore economico di molteplici permessi di ricerca – riferiti ad aree di superficie complessivamente superiore al limite di 750 chilometri quadrati – non avrebbe osservato le finalità di tutela dell’ambiente sottese ai limiti indicati nella L. n. 9/1991.
Secondo la prospettazione della Regione, infatti, il limite di estensione prescritto dall’art. 6, comma 2 della L. n. 9/1991 per l’area oggetto del permesso-di-ricerca sarebbe informato all’esigenza di impedire che il rilascio di molteplici titoli abilitativi per superfici distinte, ciascuna recante una estensione soltanto sensibilmente inferiore a quel valore, possa ampliare ad un’area in realtà maggiore il notevole impatto invasivo recato dalle tecniche di ricerca di idrocarburi – e, segnatamente, dalla tecnica dell’air gun – sulle risorse naturali e sulla cetofauna.
Il giudice di prime cure, diversamente, identificava nella tutela della concorrenza la finalità sottesa alla L. n. 9/1991 – come modificata dal D.l.gs. n. 625/1996 – ed ammetteva la possibilità di accordare al medesimo operatore economico molteplici titoli abilitativi, anche per aree contigue, purché singolarmente riferiti a superfici inferiori al limite di 750 chilometri quadrati e ciascuna oggetto di singole autorizzazioni, che intervengano all’esito di distinti procedimenti.
La Sezione rimettente, invero, pur confermando la prevalenza della prospettiva del mercato, ha ritenuto la concessione di più autorizzazioni richieste simultaneamente dallo stesso operatore come un vulnus alla norma comunitaria, recante obbligo per gli Stati membri di osservare specifici limiti nella concessione dei citati titoli abilitativi per attività di prospezione.
Tale ermeneusi rinviene conferma nel dato letterale del IV Considerando della Direttiva 94/22/CE, che perseguirebbe, peraltro, l’obiettivo della promozione di una concorrenza di mercato – ovvero basata sulla compresenza del maggior numero di operatori in competizione tra loro – piuttosto che di una concorrenza per il mercato, in cui si seleziona con meccanismi concorrenziali l’operatore economico che poi gestirà un certo mercato, lato sensu inteso, in condizioni di monopolio formale o sostanziale (artt. 4 e 3§ 2 della Direttiva 94/22/CE).
La Sezione osserva, da ultimo, come il limite massimo di 10.000 chilometri quadrati per operatore economico, contemplato in via residuale dai decreti direttoriali MISE del 22 marzo 2011 e del 15 luglio 2015 – applicabili ratione temporis alle fattispecie oggetto del giudizio -, non conforti una conclusione diversa, atteso che tale indice è pari a tredici volte la singola estensione massima di 750 chilometri quadrati prevista dall’art. 6, comma 2 della L. n. 9/1991, in guisa comunque difforme rispetto agli obiettivi di tutela della concorrenza perseguiti dalla normativa comunitaria.
Per l’eterogenesi dei fini, pertanto, nel caso di specie l’interpretazione teleologicamente orientata alla protezione del principio di concorrenza produce indiretta e riflessa tutela per il bene ambientale.
Avv. Marco Bruno Fornaciari