Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso per l’annullamento dei permessi-di-costruire deve essere individuato nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area ovvero laddove si contesti la violazione delle distanze; viceversa esso decorre dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, ove si contesti il dimensionamento, la consistenza ovvero la finalità dell’erigendo manufatto (1).
In materia edilizia, la vicinitas non rappresenta un dato decisivo per fondare l’interesse ad impugnare, nel senso che di per sè non è sufficiente, dovendosi dimostrare che l’intervento contestato abbia capacità di propagarsi sino ad incidere negativamente sul fondo del ricorrente (2) (Cons. Stato Sez. IV, 20 febbraio 2020, n. 962).
Con l’enunciazione dei principi di diritto richiamati in epigrafe, il Consiglio di Stato ha respinto il gravame interposto dagli appellanti avverso la sentenza del Giudice del primo grado di giudizio, che aveva dichiarato inammissibile per carenza di interesse ex art 100 c. p. c. ed art. 39, comma 1 c. p. a. il ricorso proposto per l’annullamento dei permessi-di-costruire rilasciati dall’Amministrazione comunale resistente alla società controinteressata, nonché degli atti connessi (T. A. R. Veneto – Venezia, Sez. II, 4 settembre 2018, n. 873).
I titoli edilizi, aventi per oggetto la realizzazione di un intervento di nuova costruzione, previa demolizione di immobili esistenti, in area prossima a quella sulla quale insistevano i fabbricati residenziali di proprietà degli originari ricorrenti, infatti, venivano censurati in ragione della dedotta violazione del Regolamento edilizio comunale, in punto di errato computo del volume assentito, e dei limiti inderogabili prescritti per l’attività di costruzione dal D. M. 2 aprile 1968, n. 1444, nonché per inosservanza dell’art. 9, L. R. n. 14/2019 in punto di carenza di istruttoria.
L’Amministrazione comunale, costituitasi in giudizio, eccepiva in via preliminare la inammissibilità del gravame, atteso che parte ricorrente avrebbe omesso di dedurre il concreto vulnus recato dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica e che la presentazione di una D. I. A. – alternativa ai titoli edilizi già rilasciati e relativa ad un progetto sostanzialmente modificato rispetto a quello assentito – avrebbe privato di ogni utilità la caducazione dei precedenti permessi-di-costruire oggetto di impugnazione, in quanto superati dalla nuova soluzione progettuale non contestata.
Parte resistente, inoltre, eccepiva la irricevibilità del ricorso per tardività, posto che la copia della relazione tecnica, dello schema di calcolo delle superfici, dei volumi e delle tav. riferite alla D. I. A. presentata dalla società controinteressata sarebbero state rese disponibili – ad uno tra i ricorrenti ed unitamente alla documentazione relativa ai motivi di censura – in riscontro alla presentazione della prima istanza di accesso agli atti (artt. 22 ss. L. 7 agosto 1990, n. 241) e nei termini prescritti per legge, non già nella data successiva individuata nella ricostruzione in punto fatto di parte ricorrente.
Il Tar, pertanto, dichiarava la inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio in accoglimento dell’eccezione con la quale l’Amministrazione comunale resistente e la società controinteressata, del pari costituitasi in giudizio, avevano censurato il difetto di interesse a ricorrere ex art. 100 c. p. c. ed art. 39, comma 1 c. p. a. in capo agli originari ricorrenti.
Il Collegio, più specificamente, riteneva che la qualità di proprietari di fondi finitimi ed il carattere generico del pregiudizio dedotto quale conseguenza dell’intervento edilizio oggetto dei gravati permessi-di-costruire risultassero non idonei a configurare l’interesse concreto a ricorrere, per come si ricava dalle coordinate ermeneutiche tracciate in tema dagli arresti della più recente giurisprudenza e sebbene in tesi idoneo a dare luogo al deterioramento dei caratteri urbanistici della zona interessata dall’intervento edilizio ed alla violazione dell’equilibrio urbanistico del contesto, peraltro privi di riscontri in punto di fatto.
La deduzione della c. d. vicinitas, quale stabile collegamento territoriale delle aree di proprietà del ricorrente con il contesto nel quale è destinato a sorgere l’intervento edilizio contestato, infatti, non sarebbe sufficiente ex se ad assolvere all’onus probandi che richiede alla parte processuale di dimostrare il concreto pregiudizio recato dal titolo abilitativo alla propria sfera giuridica, quante volte la modifica dell’assetto edilizio preesistente non manifesti un carattere pregiudizievole per l’ordine urbanistico attuale e per la tutela paesaggistica ed ambientale dell’area alla quale si riferiscono i premessi di costruire ovvero sia suscettibile di inciderne la quotazione di mercato.
Una diversa impostazione, in assenza della sussistenza di un interesse giuridicamente protetto del ricorrente che impugna i permessi-di-costruire, eleverebbe un astratto interesse alla legalità a criterio di legittimazione processuale, in guisa da configurare una inedita azione popolare, inammissibile in quanto coniata in via ermeneutica e senza autorizzazione legislativa (cfr. T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 4 maggio 2015, n. 1081; T. A. R. Veneto, Sez. II, 15 febbraio 2018, n. 324).
Il sistema, divisato in termini siffatti, risulta conforme alla disciplina recata anche dal Codice civile e dalle leggi speciali succedutesi in materia di distanze e – pur senza pervenire ad una irragionevole limitazione degli ambiti di tutela mediante una accentuata caratterizzazione della lesione che interviene nella sfera giuridica del soggetto attinto dagli effetti deteriori sortiti dal titolo edilizio impugnato – importa che la legittimazione al ricorso non risulti integrata dalla mera denuncia di atti emulativi (cfr. T. A. R. Campania – Salerno, Sez. I, 18 aprile 2018, n. 755; Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2017, n. 5442).
Gli appellanti, pertanto, impugnavano la statuizione del Giudice di prime cure mediante ricorso per annullamento ex art. 29 c. p. a., articolato in distinti motivi di gravame e recante, oltre alla riproposizione delle censure formulate nel primo grado di giudizio, la denuncia del carattere erroneo, illogico ed incongruente del decisum, con riferimento alla ritenuta insufficienza della c. d. vicinitas a radicare la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere ed alla valutazione giudiziale in merito alla insussistenza del concreto pregiudizio dedotto.
Si costituivano in giudizio la società controinteressata e l’Amministrazione comunale che concludevano per il rigetto dell’appello e riproponevano le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità sollevate nel giudizio di prime cure.
(1) La Sezione, sulla scorta del richiamo alla giurisprudenza del Collegio, precisa come la “piena conoscenza” dell’atto impugnato, contemplata dall’art. 41, comma 2 c. p. a. quale dies a quo – alternativo alla notificazione o alla comunicazione del provvedimento gravato – nel computo del termine di decadenza dell’azione di annullamento ex art. 29 c. p. a., non importi la necessaria “conoscenza piena ed integrale” dell’atto amministrativo censurato, che involge piuttosto il contenuto del ricorso e la concreta definizione delle ragioni di impugnazione.
L’interesse a ricorrere ex art 100 c. p. c. ed art. 39, comma 1 c. p. a., infatti, quale condizione dell’azione, risulta integrato anche dalla semplice consapevolezza della adozione del provvedimento oggetto del potenziale gravame da parte del suo destinatario, in uno ai profili che rendono evidente l’attitudine lesiva degli effetti spiegati dalla determinazione assunta dall’Autorità nella sfera giuridica del potenziale ricorrente (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075).
La fondatezza di tale ermeneusi del disposto di cui all’art. 41, comma 2 c. p. a. si ricava, in via sistematica, dalla previsione nell’ordinamento giuridico dell’istituto del ricorso per motivi aggiunti ex art. 43 c. p. a., informato all’esigenza di assicurare al ricorrente l’esercizio del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e del diritto di difesa (art. 24, commi 1 e 2 Cost. ed artt. 6 e 13 CEDU) quante volte la sopravvenuta conoscenza di ulteriori atti – già esistenti al momento dell’introduzione del giudizio, ma ignoti – o la cognizione integrale di atti in precedenza non pienamente conosciuti rendano necessario per il ricorrente, principale o incidentale, introdurre nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte ovvero domande nuove connesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5675).
Il principio di diritto richiamato in epigrafe, pertanto, rinviene conferma nella consolidata giurisprudenza del Collegio e risulta conforme all’acquisizione della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011, che – in tema azione di annullamento esperibile dal terzo asseritamente leso dalla D. I. A., ora S. C. I. A., avverso il provvedimento tacito di diniego espresso dall’Amministrazione con riferimento ai poteri inibitori ex art. 19, comma 3 L. n. 241/1990 – ha precisato come il termine decadenziale in materia edilizia inizi a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica (Cons. Stato, A. P., 29 luglio 2011, n. 15).
La Sezione, da ultimo, ritiene fondata anche l’eccezione di irricevibilità del ricorso in appello per sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento dei permessi-di-costruire e degli atti connessi, atteso che, nel caso di specie, la D. I. A., presentata dalla società controinteressata e consolidatasi in ragione della mancata impugnazione del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di parte ricorrente per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ex art. 19, comma 4, L. n. 241/1990, ha apportato modifiche sostanziali all’originario progetto assentito con i provvedimenti gravati.
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La Sezione conferma il decisum del Giudice di prime cure, che ha ritenuto fondata la eccezione di inammissibilità del ricorso per annullamento dei permessi-di-costruire per originaria carenza di interesse dei ricorrenti, atteso che la costante giurisprudenza ha chiarito come la c. d. vicinitas non costituisce un dato dirimente per integrare l’interesse ad impugnare, da ritenersi configurato, piuttosto, quante volte risulti dimostrato che l’intervento edilizio contestato sia suscettibile di propagarsi sino ad incidere negativamente sul fondo del ricorrente (Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278).
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L’osservanza dei principi generali che presiedono alla disciplina delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo, infatti, importano la necessità di indagare ed accertare in termini concreti l’interesse ad agire ex art. 100 c. p. c. e 39, comma 1 c. p. a., che non risulta assorbito, quindi, dalla mera nozione di vicinitas, idonea soltanto ad identificare una posizione qualificata quale legittimazione processuale ad impugnare il titolo edilizio (art. 81 c. p. c. ed art. 39, comma 1 c. p. a.) (cfr., ex multis, Cons. Stato, A. P. 25 febbraio 2014, n. 9).
Tale impostazione ermeneutica, che, ai fini della sussistenza della legittimazione a ricorrere e dell’interesse ad agire contro i permessi-di-costruire, richiede, in luogo della mera vicinitas, la positiva dimostrazione di un danno suscettibile di attingere la posizione di colui che insorge giudizialmente, rinviene conferma anche in una prospettiva comparata.
Anche altri sistemi europei – quale l’ordinamento francese – prescrivono, infatti, la necessaria e puntuale dimostrazione dell’interesse a ricorrere, in guisa da considerare anche la sicurezza giuridica dei titoli autorizzatori, quali i permessi-di-costruire, che possano aver ingenerato un legittimo affidamento nel privato (cfr. Conseil d’État, 17 marzo 2017, n. 396362 e l’art. L-600.1.2 del Code de l’urbanisme, nel testo introdotto con ordinanza n. 2013-638 del 18 luglio 2013) (Cons. Stato, Sez. V, 15 dicembre 2017, n. 5908).
Avv. Marco Bruno Fornaciari