Se è vero che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo-abilitativo-edilizio deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene (pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento, tuttavia tali principi non sono applicabili per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi (1).
In tema di integrazione dei documenti previsti per legge per la presentazione della domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, l’inottemperanza dell’interessato nel termine di tre mesi dalla espressa richiesta notificata dal Comune (art. 39, comma 4, L. 23 dicembre 1994, n. 724) legittima l’Amministrazione ad archiviare con diniego (e non a respingere nel merito) la pratica, ma non implica decadenza del potere di sanatoria con la consequenziale illegittimità del titolo-abilitativo-edilizio tardivamente rilasciato. Pertanto, sussiste soltanto un potere-dovere dell’Amministrazione di concludere il procedimento ai fini di evitare la formazione del silenzio assenso, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che possono ripercuotersi sul Comune (2) (Cons. Stato, Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1766).
(1) Secondo l’indirizzo ermeneutico maggioritario, prevalente anche nella giurisprudenza di legittimità, la presentazione di un’istanza per il rilascio di un titolo-abilitativo-edilizio non configura in capo all’Amministrazione l’obbligo di verificarne ogni aspetto civilistico, diverso dai profili inerenti alla disciplina urbanistica della fattispecie, in applicazione dell’art. 11, comma 3, D. P. R. n. 380/2001 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206; Cass. Sez. II, 25 settembre 2013, n. 21947).
La richiamata disposizione del T. U. Ed, a mente della quale il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi, ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica, che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 39, comma 2, L. 23 dicembre 1994, n. 724, come novellato dall’art. 2, comma 37, lett. c) della L. 23 dicembre 1996, n. 662, confermato in tema di condono straordinario dall’art. 32, comma 31, D. L. n. 269/2003.
Peraltro, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza del Collegio in ordine ai presupposti legittimanti la formazione del silenzio-assenso sulle domande di condono edilizio presentate ai sensi della L. n. 47/1985 e della L. n. 724/1994, sotto il profilo soggettivo, deve essere dimostrata la legittimazione attiva del richiedente, quale limite legale che concorre a formare lo statuto dell’attività edilizia e che riceve applicazione generalizzata nel procedimento di adozione di un permesso o di un titolo-abilitativo-edilizio in sanatoria, posto che non pone problemi di conoscibilità all’Amministrazione (cfr. art 11, comma 1, D. P. R. n. 380/2001) (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2011, n. 5894).
In termini generali, infatti, è stato affermato in capo all’Amministrazione l’obbligo di verificare l’osservanza, da parte dell’istante, dei limiti di matrice privatistica che assistono l’intervento proposto, quante volte questi ultimi siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, senza necessità di attendere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra privati (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8262; Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2546; Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2011, n. 6731; Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 316).
Secondo una tesi sostenuta dalla giurisprudenza di primo grado, tuttavia, il procedimento per il rilascio del titolo-abilitativo-edilizio in sanatoria potrebbe essere avviato anche senza il consenso – o avverso la volontà – del proprietario del bene oggetto dell’intervento costruttivo (T. A.R., Puglia – Lecce, Sez. III, 9 luglio 2011, n. 1057), ritenuto necessario, invece, da distinto orientamento, che configura la sanatoria quale fungibile ratione personarum (ex multis, Cons. Stato, Sez., 2014, n. 4818; Cons. Stato, Sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 437; Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2002, n. 2000, n. 3520)
La giurisprudenza, pertanto, ha escluso in capo al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile la legittimazione a proporre uti singuli domanda di rilascio del titolo-abilitativo-edilizio – sia esso o meno in sanatoria di interventi costruttivi già realizzati – quante volte non ricorra una situazione di fatto esistente sul cespite che consenta di supporre l’esistenza di un pactum fiduciae intercorrente tra i singoli comproprietari del bene oggetto di provvedimento, in guisa da non pregiudicarne i diritti e gli interessi qualificati (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823).
Tali principi, peraltro, non trovano applicazione nell’ipotesi in cui il bene immobile al quale si riferisca l’istanza per il rilascio del titolo-abilitativo-edilizio ricada nella comunione legale tra coniugi (artt. 177 ss. c. c.), che integra un istituto peculiare e distinto dalla comunione ex artt. 1100 ss. c. c., in ragione del quale tutti i soggetti coinvolti sono comproprietari dell’intero bene piuttosto che titolari di una quota pari ad 1/2 del cespite.
Il Collegio, pertanto, sulla scorta del richiamo alla giurisprudenza di legittimità in tema di pignoramento ed espropriazione coattiva di un bene in comunione, nonché in punto di responsabilità di un coniuge per il fatto di reato in materia edilizia materialmente commesso dall’altro, precisa come nella comunione legale ex artt. 177 ss. c. c. il singolo comproprietario, in quanto proprietario indistintamente sull’intero bene piuttosto che pro quota, risulti legittimato a presentare anche uti singuli l’istanza di sanatoria ex art. 36, D. P. R. n. 380/2001, i cui effetti favorevoli si estendono, altresì, al coniuge rimasto inerte.
(2) La Sezione ritiene che l’inottemperanza dell’interessato alla richiesta di integrazione documentale entro il termine prescritto dall’art. 39, comma 4 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dall’art. 2, comma 37, lett. d), L. 23 dicembre 1996, n. 662 e richiamato dall’art. 32, D. L. 30 settembre 2003, n. 269, non importi la decadenza dell’Amministrazione dal potere di provvedere e la consequenziale illegittimità del provvedimento di sanatoria in tesi rilasciato.
In capo all’Autorità insisterà, infatti, soltanto un potere-dovere di concludere il procedimento con una statuizione espressa del Comune (art. 2, comma 1, L. 7 agosto 1990, n. 241), al fine di impedire che il rilascio del titolo-abilitativo-edilizio oltre il termine di ventiquattro mesi stabilito dall’art. 35, comma 18, L. 28 febbraio 1985, n. 47 integri la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria presentata dall’interessato, che integrerebbe una ipotesi di responsabilità omissiva, imputabile dell’Amministrazione ad altro titolo.
Avv. Marco Bruno Fornaciari