E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento alla violazione dell’art. 117, secondo e terzo comma Cost., dell’art. 9, comma 8-bis, della Legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (“Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile”), come introdotto dall’art. 10, comma 13, della legge Regione Veneto 29 dicembre 2013, n. 32 (“Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”) – nella parte in cui prevede che in deroga al D. M. 1444 del 1968, possono apportarsi, in occasione di interventi di demolizione e ricostruzione, ampliamenti in altezza sino al 40% dell’edificio esistente (Corte cost., 21 febbraio 2020, n. 30).
Il giudizio a quo è stato introdotto con l’atto di gravame interposto da parte appellante avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, che aveva accolto il ricorso originario, tra quelli proposti dalla parte odierna appellata, per l’annullamento dei provvedimenti adottati dall’Amministrazione, appellante incidentale, in relazione all’intervento edilizio avviato dalla stessa società appellante per la demolizione e la ricostruzione, con incremento volumetrico, di edificio esistente, ubicato nel territorio comunale in area confinante con il complesso immobiliare nella comproprietà della parte originaria ricorrente ed odierna appellata (T. A. R. Veneto – Venezia, Sez. II, 24 ottobre 2017, n. 944).
In particolare, il progetto dell’intervento costruttivo prevedeva, ai sensi della Legge della Regione Veneto 8 luglio 2009 n. 14 – integrante, in uno alle LL. RR. V. n. 13/2011 e n. 32/2013, il c. d. Piano Casa – , la realizzazione, in luogo dell’edificio residenziale/direzionale esistente di due piani, di un fabbricato di 4 piani fuori terra più seminterrato, residenziale, in un contesto di edifici tutti di tre piani e soltanto uno, ovvero quello della originaria ricorrente, pari a quattro.
Con provvedimento a firma del Responsabile dei Servizi Urbanistica – Ambiente – Edilizia Privata, infatti, l’Amministrazione comunale aveva disposto di non adottare i provvedimenti inibitori e/o repressivi contemplati dall’art. 19, comma 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, avverso l’attività edilizia avviata dalla società, odierna parte appellante principale, mediante presentazione di DIA, successivamente integrata con distinte dichiarazioni di inizio attività in variante.
L’intervento edilizio, di carattere demolitorio e costruttivo ad un tempo, infatti, sarebbe risultato conforme alla normativa in tema di limiti inderogabili di altezza dei fabbricati prescritti dal D. M. 2 aprile 1968, n. 1444 s. m. i., oggetto di asserita violazione nelle istanze ex art. 21-nonies, L. n. 241/1990, come richiamato dall’art. 19, comma 4, presentate dalla originaria ricorrente per l’annullamento d’ufficio del provvedimento di diniego espresso dall’Amministrazione, che, peraltro, disponeva la sospensione dei lavori e l’adozione di misure conformative relativamente ad una parte delle opere edili.
L’originaria ricorrente, pertanto, con distinti ricorsi, riunti ex art. 70 c. p. a., insorgeva avverso tale provvedimento e le successive note di riscontro alle istanze di annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies, L. n. 241/1990, atteso che l’intervento di demolizione e di ricostruzione avviato dalla società odierna appellante fatto illegittima applicazione dell’art. 9, comma 8-bis della L. R. V. n. 14/2009, come integrata dall’art. 10, comma 3, L. R. V. 29 novembre 2013, n. 32.
La richiamata disposizione di legge regionale, infatti, statuisce che, al fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l’obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B – parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dagli agglomerati urbani – e C – parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi -, realizzati ai sensi della stessa fonte di legge regionale, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal D. M. n. 1444/1968 s. m. i., sino ad un massimo del 40% dell’altezza dell’edificio esistente.
Il Legislatore regionale, in tale modo, ha inteso attuare il disposto dell’art.2-bis del T. U. Ed., come introdotto dall’art. 30, D. L. 21 giungo 2013, n. 69, convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 98, a mente del quale, ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà ed alle connesse norme del Codice civile ed alle disposizioni integrative, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al richiamato D. M. n. 1444/1968 e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti ivi indicati, nell’ambito della definizione o della revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali ad un assetto complessivo ed unitario o di specifiche aree territoriali.
Parte ricorrente, pertanto, assumeva come il parametro del 40% dell’altezza dell’edificio esistente, prescritto dalla richiamata disposizione di legge regionale quale limite dell’incremento volumetrico ammesso per gli organismi edilizi oggetto di ampliamento o di ricostruzione nelle zone territoriali omogenee ivi specificate, dovesse essere inteso, alla stregua della interpretazione resa con Delibera di Giunta regionale, quale riferito alla dimensione del fabbricato oggetto di lavori piuttosto che all’immobile più alto della zona, come opinato invero dall’Amministrazione comunale.
L’intervento edilizio avviato dalla società odierna appellante principale mediante la presentazione di DIA, infatti, sarebbe risultato illegittimo, in quanto, in fase di progettazione, l’edificio esistente, rispetto al quale computare l’indice del 40% di altezza prescritto dall’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009 quale limite all’incremento volumetrico ammesso per i fabbricati oggetto di ampliamento o di ricostruzione, sarebbe stato individuato nell’immobile di comproprietà della ricorrente, quale edificio più alto ubicato nella zona, in luogo dell’incremento nella percentuale prescritta per legge del volume del manufatto oggetto delle opere edili.
Il Giudice di prime cure, quindi, disponeva l’annullamento dei provvedimenti adottati dall’Amministrazione comunale resistente, atteso che la verifica della DIA non avrebbe fatto corretta applicazione dei parametri di legge recati dall’art. 9, comma 8-bis. L. R. V. n. 14/2009 per quanto riguarda l’accertamento delle altezze dei fabbricati oggetto di interventi di ampliamento o di ricostruzione.
La dizione impiegata dalla legge regionale, infatti, sarebbe risultata chiara, di guisa che una pretesa interpretazione finalistica ed estensiva della norma sarebbe risultata difforme dai canoni che presiedono l’interpretazione della legge, quali enucleati, segnatamente, negli artt. 12 (“Interpretazione della legge”) e 14 (“Applicazione delle leggi penali ed eccezionali”) delle Disposizioni sulla legge in generale.
La società controinteressata, pertanto, interponeva ricorso in appello avverso la statuizione del Giudice di prima istanza mediante l’articolazione di distinti motivi di ricorso, con i quali ne censurava la erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 8-bis della L. R. V. n. 14/2009, in relazione all’art. 2-bis T. U. Ed. ed all’art. 8, D. M. n. 1444/1968, nonché la violazione dell’art. 111, comma 6 Cost., e dell’art. 3 c. p. a. per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, con particolare riguardo agli artt. 19 e 21-nonies, L. n. 241/1990.
Costituitasi in giudizio l’Amministrazione appellata, che chiedeva il rigetto dell’impugnazione e proponeva nuovamente i motivi non esaminati o assorbiti nel decisum del Giudice di prime cure con distinto atto di gravame – riunito al ricorso principale, giusta l’art. 96 c. p. a. -, la Sezione remittente sollevava due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009 – ritenute rilevanti giusta l’art. 23, comma 2, L. n. 87/1953 – per contrasto con i parametri di cui all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., che contempla l’ordinamento civile quale materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e di cui all’art. 117, comma 3 Cost., che annovera il governo del territorio tra le materie attribuite alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni.
Il Giudice a quo, infatti, rilevava come il Legislatore, mediante l’introduzione dell’art. 2-bis del D. P. R. n. 380/2001, abbia inteso recepire la giurisprudenza costituzionale che ha affermato il carattere vincolante anche per le Regioni e le Province autonome delle prescrizioni in materia di altezza e distanze legali dei fabbricati recate dal D. M. n. 1444/1968, nonché l’ammissibilità delle relative deroghe soltanto qualora inserite negli strumenti urbanistici (cfr., ex multis, Corte cost. 20 luglio 2016, n. 185; Corte cost. 20 luglio 2016, n. 189).
L’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009, pertanto, risulterebbe difforme rispetto alle coordinate ricavate dalla giurisprudenza costituzionale e recepite nel disposto dell’art. 2-bis, D. P. R. n. 380/2001, atteso il mancato riferimento, nel testo della norma censurata, agli strumenti urbanistici quale sola tipologia di atti mediante i quali la richiamata disposizione del T. U. Ed. ammette deroghe al regime della densità, dell’altezza e delle distanze edilizie divisato nel D. M. n. 1444/1968.
La giurisprudenza costituzionale, peraltro, con pronunce rese in tema di distanze minime tra distinti organismi edilizi, estensibili mutatis mutandis al regime delle altezze, ha ammesso le deroghe contemplate dall’art. 2-bis, D. P. R. n. 380/2001 anche se previste in un piano particolareggiato – quale un piano urbanistico attuativo – o di lottizzazione, nonché in ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e delle finalità, purché recante una progettazione dettagliata e definita negli interventi (cfr., ex multis, Corte cost., 3 novembre 2016, n. 231; Corte cost. 20 luglio 2016, nn. 185 e 189; Corte cost. 15 luglio 2016, n. 178; Corte cost. 21 maggio 2014, n. 134; Corte cost. 23 gennaio 2013, n. 6).
Il riferimento di cui all’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009 agli ampliamenti ed alla ricostruzione di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, quindi, risulterebbe non congruente con lo stringente contenuto che dovrebbe assumere una previsione siffatta, in quanto destinato a legittimare deroghe alla disciplina approntata dal D. M. n. 1444/1968, all’infuori di una adeguata pianificazione urbanistica.
Le disposizioni enucleate nel richiamato atto amministrativo, peraltro – in quanto emanato in attuazione della delega conferita dall’art. 41-quinquies, comma 7, L. 17 agosto 1942, n. 1150 (c. d. Legge urbanistica), come introdotto dall’art. 17, L. 6 agosto 1967, n. 765 (c. d. Legge Ponte) – sarebbero immediatamente cogenti ed inderogabili non soltanto per i Comuni – chiamati ad adeguarvisi in sede di approvazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti – ma anche per i proprietari frontisti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5732; Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931).
Attesa la univoca configurazione del D. M. n. 1444/1968 quale regolamento delegato o libero, assistito da efficacia e valore di legge, le disposizioni ivi enucleate, anche in tema di limiti inderogabili di altezza dei fabbricati, prevalgono, pertanto, sulle previsioni difformi recate dai regolamenti locali successivi, alle quali si sostituiscono per inserzione automatica, con conseguente loro diretta operatività nei rapporti orizzontali, ovvero tra privati (cfr., ex multis, Cass., 14 marzo 2012, n. 4076; Cass., S. U., 7 luglio 2011, n. 14953; Cass., S. U. , 1 luglio 1997, n. 5889).
Ne sarebbe derivata, dunque, la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009, in quanto legittimi deroghe alla disciplina dell’altezza dei fabbricati esistenti oggetto di interventi di ampliamento o di ricostruzione, all’infuori della competenza legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio (art. 117, comma 3 Cost.), a fronte del principio di cui all’art. 2-bis, D. P. R. n. 380/2001, ed in violazione dell’ art. 117, comma 2, lett. l) Cost., che annovera l’ordinamento civile tra le materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
L’assenza di indicazioni perspicue nella dizione della norma censurata, infatti, non consentirebbe di inscrivere la tipologia delle opere edili ivi considerate entro gli spazi di derogabilità, ammissibili soltanto in quanto tracciati dal legislatore statale nell’esercizio della competenza in punto di enunciazione dei principi fondamentali nella materia del governo del territorio (art. 117, comma 3 Cost.) e resi necessari dall’esigenza di garantire l’omogeneità di assetto a determinate zone del territorio (Cons. Stato, Sez. VI, ord. 1 marzo 2019, n. 1431).
La Corte costituzionale, tuttavia, in accoglimento dell’eccezione formulata da parte appellata, dichiara la inammissibilità delle q. l. c. dell’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009, atteso che i motivi di censura articolati dal Giudice a quo non hanno ad oggetto il tema dell’individuazione dell’edificio esistente rispetto al quale computare l’indice del 40% dell’altezza assunto dalla norma censurata quale limite dell’incremento volumetrico ammesso per gli edifici oggetto di ampliamento o di ricostruzione, ma attengono alla compatibilità costituzionale della previsione di tale aumento anche in deroga alle disposizioni in materia di altezza degli edifici di cui al D. M. n. 1444/1968 s. m. i.
L’ordinanza di rimessione delle q. l. c. della norma regionale, infatti, non reca elementi dai quali inferire che i profili controversi tra le parti del giudizio a quo involgano l’intervento edilizio in quanto autorizzato in deroga a tali parametri di volume, posto che la Sezione remittente si limita ad affermare che il giudizio ha ad oggetto l’osservanza degli indici di altezza del manufatto, nei termini derivanti dall’art. 9, comma 8-bis, L. R. V. n. 14/2009, e che i motivi di gravame si basano sulla contestata applicazione della norma regionale.
Avv. Marco Bruno Fornaciari