Allo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano vengano rilasciati provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio, alla stregua per lo più di norme maggiormente permissive, compromettendo l’assetto per come “progettato” e pensato negli strumenti adottati, in materia urbanistica si utilizzano le “clausole-di-salvaguardia”; le clausole-di-salvaguardia si concretizzano nella doverosa sospensione dei procedimenti finalizzati al conseguimento di ridetti titoli, fino all’approvazione del nuovo strumento urbanistico pianificatorio, e in attesa della sua entrata in vigore, alla stregua della quale dovrà assumersi la determinazione definitiva (1) .
Il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico: esso si articola su vari livelli, secondo i principi di sussidiarietà, così da cercare di assicurare al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce il compito di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa (2).
Le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono effettivamente un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione, oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree (3) (Cons. Stato, Sez. II, 23 marzo 2020, n. 2012).
Con la sentenza dedotta in rassegna, il Collegio conferma la sentenza del Giudice di prima istanza, che aveva respinto il ricorso presentato dagli originari ricorrenti avverso le delibere con le quali la Provincia autonoma di Trento – in sede di seconda adozione e di successiva approvazione del nuovo Piano Urbanistico Provinciale (P. U. P.) – aveva classificato il cespite oggetto dei loro diritti reali – già annoverato tra le “aree agricole di interesse secondario” nel previgente P. U. P. – quale zona bianca e per insediamenti piuttosto che quale “zona agricola di pregio” assistita dalle c. d. clausole-di-salvaguardia di cui all’art. 63 della L. P. Trento 5 settembre 1991, n. 22 (All. B alla L. P. Trento 27 maggio 2008, n. 5).
La portata transeunte della proposta di individuazione emergente dalla delibera di prima adozione del Piano, infatti, sebbene coincidente con quella auspicata nelle osservazioni presentate a questo fine dal proprietario e dalla usufruttuaria del cespite, avrebbe importato il riconoscimento in capo agli stessi ricorrenti – asseritamente esposti alle scelte di dettaglio del pianificatore locale per contrasto con la rivendicata pluriennale vocazione agricola del fondo – di una mera e generica aspettativa ad una potenziale reformatio in melius della classificazione predetta, lungi dalla configurazione di una posizione legittimante alternativa.
Il Collegio, rilevato come i ricorrenti non potessero qualificarsi “pacificamente imprenditori agricoli”, riteneva inconferente il richiamo tra i motivi di censura all’art. 38 delle N. T. A. al P. U. P., che prescrive l’applicazione delle clausole-di-salvaguardia di cui all’art. 63 della L. P. n. 22/1991 alle “aree agricole di pregio”, la cui riduzione viene ammessa soltanto in via eccezionale ed alle condizioni ivi contemplate.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, infatti, la disposizione della richiamata Legge provinciale sulle clausole-di-salvaguardia avrebbe comportato la necessaria anticipazione della nuova disciplina urbanistica già al momento della adozione dell’atto di pianificazione.
Il Giudice di prime cure, inoltre, rilevava come la valenza delle osservazioni presentate dai privati interessati quale mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti di pianificazione territoriale – peraltro, non soggetti al sindacato di legittimità, in disparte le ipotesi di errori di fatto, di travisamento ovvero di abnormi illogicità e contraddittorietà – non ne rendesse necessaria l’analitica confutazione quale osservanza all’onere motivazionale prescritto dall’art. 4 della L. P. 30 novembre 1992, n. 23 (T. A. R Trentino-Alto Adige – Trento, Sez. I, 9 settembre 2008, n. 227).
L’Amministrazione, pertanto, costituita in resistenza nel giudizio instaurato con il ricorso in appello interposto dai proprietari soccombenti, argomentava in controdeduzione sulla legittimità delle scelte effettuate, sia con riferimento ai contenuti delle stesse che in relazione al procedimento seguito, e precisava che il Comune – con variante al P. R.G. adottata prima della entrata in vigore del nuovo P. U. P., sebbene approvata successivamente – avesse già inciso la zonizzazione dei fondi degli appellanti, proprio in quanto riconducibili ad un contesto già completamente urbanizzato.
(1) Il Collegio rileva come le c. d. clausole-di-salvaguardia contemplate dall’art. 63 della L. P. Trento n. 22/199 – richiamato dall’art. 38 N. T. A al P. U. P. della Provincia di Trento per le “aree agricole di pregio”, nella cui classificazione parte appellante annovera i fondi di interesse – costituiscano la declinazione, per l’ambito territoriale di riferimento e nello specifico per i Piani urbanistici provinciali, del principio enucleato nell’art. 12, comma 3 del D. P. R. 6 giugno 2001, n. 380.
La disposizione del T. U. Ed., infatti, statuisce, analogamente al previgente articolo unico della L. 3 novembre 1952, n. 1902, che, in caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla istanza.
Le clausole-di-salvaguardia non hanno efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione.
L’art. 63, comma 5 della L. P. Trento n. 22/1991, pertanto, configura in capo al Sindaco l’obbligo di stimare l’impatto delle richieste di rilascio di titoli abilitativi edilizi e di interdire in via temporanea la prosecuzione delle istanze relative ad interventi sul territorio che siano ritenuti tali da compromettere o rendere più gravosa l’attuazione del Piano o delle sue varianti.
Il comma 5 della richiamata disposizione della Legge provinciale, peraltro, prevede che l’efficacia delle clausole-di-salvaguardia non possa superare i quattro anni dalla data di adozione del progetto del piano e, comunque, non i diciotto mesi dalla data di adozione del disegno di legge da parte della Giunta provinciale, in guisa da non comprimere ad libitum lo ius aedificandi presente nella sfera giuridica del privato in uno all’esigenza di tutelare l’interesse dell’Amministrazione all’ordinato sviluppo dei propri territori.
La giurisprudenza ha precisato come la finalità conservativa e l’effetto interdittivo sottesi alle clausole-di-salvaguardia ne impongano l’applicazione a partire dalla data della deliberazione comunale di adozione dello strumento urbanistico generale, e, quindi, già nel torno di tempo anteriore alla pubblicazione che ne integri la esecutività.
Gli interventi edilizi medio tempore assentiti o denunciati, infatti, non possono porre in discussione o, addirittura, vanificare, la conformazione del territorio che l’Amministrazione intende implementare con l’approvazione definitiva del Piano urbanistico, oggetto della delibera di adozione già intervenuta, che configura ex se ed in termini inequivoci il futuro assetto che sarà impresso al territorio, in disparte il carattere già esecutivo o meno dello stesso strumento urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257).
L’esegesi della specifica disciplina dell’istituto, pertanto, conduce a ritenere che le clausole-di-salvaguardia ex art. 12, comma 3, D. P. R. n. 380/2001 ed art. 63, comma 5, L. P. Trento n. 22/1991 rinvengano applicazione cogente anche nelle fattispecie in cui l’intervento edilizio oggetto di D.I.A. risulti difforme dalle previsioni di uno strumento urbanistico adottato prima che siano trascorsi trenta giorni dalla presentazione della denuncia, sebbene il disposto dell’articolo unico della L. n. 1902/1952 contemplasse la sospensione con riferimento alla sola “licenza di costruzione” – sostituita, poi, dalla “concessione edilizia”, menzionata anche nell’art. 63, L. P. n. 22/1991 – e l’art. 12, comma 3, D. P. R. n. 380/2001 rechi riferimento al solo “permesso di costruire”.
Il Collegio, tuttavia, ritiene inconferente il richiamo di parte ricorrente alle clausole-di-salvaguardia di cui all’art. 63 della L. P. Trento n. 22/1991, atteso che la tutela intertemporale approntata con la disposizione de qua è stata espressamente richiamata dall’art. 38 delle N. T. A. al P. U. P. in relazione ai terreni ricadenti nella classificazione di “aree agricole di pregio”, tra le quali non può essere annoverato il fondo di proprietà di parte appellante, sebbene le modifiche in riduzione della sua perimetrazione intervenute in sede di approvazione del Piano, peraltro ampiamente giustificate anche in ragione della necessità di coordinamento con i regimi urbanistici rivenienti dalle scelte dei singoli Comuni interessati.
La Sezione, dunque, conferma la statuizione del Giudice di prime cure, atteso che l’oggetto della contestazione formulata da parte appellante inerisce alla mancata classificazione – da parte dell’Amministrazione appellata, in sede di seconda adozione e di approvazione del nuovo P. U. P. – del fondo di interesse quale “area agricola di pregio” piuttosto che censurare l’avallo ovvero il diniego di un titolo edilizio quale immediata applicazione delle indicazioni recate dal Piano, peraltro ontologicamente transeunti e lungi dalla configurazione di un autovincolo, che osti ad un revirement gestionale da parte della medesima Autorità.
(2) Nell’assetto inedito dei rapporti istituzionali determinato dalla Legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (“Norme in materia di autonomia del Trentino”), il Piano urbanistico provinciale (P. U. P), quale strumento di pianificazione, assolve alla funzione – nell’osservanza del principio di sussidiarietà (art. 118, comma 1 Cost.) in uno al principio di efficacia dell’azione amministrativa (art. 97, comma 2 Cost.) – di orientare, secondo linee generali, le scelte attribuite alla competenza degli enti territoriali.
In tale guisa, pertanto, risulterebbe assicurata l’allocazione delle corrispondenti funzioni amministrative al livello di governo più prossimo al contesto nel quale le determinazioni dell’Amministrazione sono chiamate ad incidere, onde valorizzarne le peculiarità storiche, economiche e culturali locali unitamente all’adeguatezza dell’azione amministrativa.
L’impostazione articolata e flessibile del sistema della pianificazione urbanistica – integrato da tre livelli, integrati dal piano territoriale delle comunità (P. T. C.) di cui all’art. 20 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dai P. R. G. (artt. 7 ss., L. n. 1150/1942), oltre che dai Piani per i parchi – non importa, peraltro, il venir meno della portata e dell’attitudine lesiva del P. U. P. rispetto alle situazioni giuridiche dei singoli, in capo ai quali permane l’interesse all’autonoma impugnativa dello strumento di pianificazione, soggetto ad una necessaria “specificazione” e ad un aggiornamento in ambito territoriale più ristretto, in ragione della allocazione apicale assunta nel ridetto sistema di pianificazione.
La Sezione precisa, tuttavia, come, secondo la consolidata giurisprudenza del Collegio, la competenza attribuita all’Amministrazione comunale in tema di adozione di atti amministrativi che costituiscono espressione dell’indirizzo di politica urbanistica, importi l’esercizio di un potere ampiamente discrezionale e sottenda un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità del G. A..
Residuano entro il perimetro dello scrutinio giurisdizionale le sole fattispecie in cui le valutazioni di merito compiute dall’Amministrazione rechino profili di illegittimità sub specie di errori di fatto o di abnormi illogicità ovvero non risultino congruenti, in punto di destinazione di specifiche aree, con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti ed aspettative qualificate (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 751; Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2019, n. 6050; Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323).
(3) Il Collegio, pertanto, aderisce alla consolidata giurisprudenza, già richiamata dal Giudice di prima istanza, che ha qualificato le osservazioni presentate dai privati ai progetti di strumenti urbanistici quale mero apporto collaborativo, la cui reiezione non importa una specifica motivazione in luogo di un esame che ne accerti, in modo serio e ragionevole, la difformità rispetto agli interessi ed alle considerazioni generali sottesi alla formazione del Piano, attesa la insussistenza di peculiari aspettative generate dai rilievi formulati dagli interessati (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2017, n. 2089; Cons. Stato, Sez. IV, 17 agosto 2016, n. 3643; Cons. Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2017, n. 874; 9 giugno 2008, n. 2837).
Le sole fattispecie che importano un più marcato e perspicuo onere motivazionale ex art. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241 ed art. 4, L. 30 novembre 1992, n. 23, sono identificate con il superamento degli standards minimi prescritti dal D. M. 2 aprile 1968, n. 1444, con l’avvenuta sottoscrizione di convenzioni di lottizzazione (cfr. art. 11, L. n. 241/1990), con le aspettative rivenienti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione e, infine, con la modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo abusivo (Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2020, n. 751; Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2019, n. 6050; Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323).
Avv. Marco Bruno Fornaciari