La Pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti ed ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della L. n. 241 del 1990, senza che il Giudice amministrativo, adito ai sensi dell’art. 116 c. p. a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla Pubblica Amministrazione all’esito del procedimento (1).
E’ ravvisabile un interesse concreto ed attuale, ai sensi dell’art. 22, L. n. 241 del 1990, ed una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale (2).
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53, D.Lgs n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis, D.Lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della L. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (3)
Nel processo amministrativo non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire (4) (Cons. Stato, A. P., 2 aprile 2020, n. 10).
Con i principi di diritto richiamati in epigrafe, l’Adunanza Plenaria ha definito le questioni giuridiche che la Sezione remittente aveva deferito al Collegio in composizione nomofilattica (art. 99, comma 1 c. p. a.) in sede di cognizione del gravame interposto dall’operatore economico, mandante di un R. T. I utilmente collocato nella graduatoria della procedura di affidamento di un appalto per la fornitura di sevizi, per la riforma della sentenza con la quale il Giudice di prima istanza aveva respinto il ricorso ex artt. 116 c. p. a., proposto dalla medesima società ricorrente avverso il provvedimento di diniego all’esercizio del diritto di accesso agli atti della procedura ad evidenza pubblica espresso dall’Amministrazione odierna appellata.
L’istanza di accesso agli atti di gara presentata dalla società odierna appellante alla stazione appaltante, infatti, assumeva eventuali inadempienze dell’R. T. I. aggiudicatario nella fase di esecuzione del contratto di appalto quale interesse qualificato e differenziato alla concreta conoscenza dello svolgimento attuale ed effettivo del programma negoziale da parte dell’operatore economico affidatario.
La mancata osservanza della lex specialis e dell’offerta migliorativa presentata dall’aggiudicatario in sede di gara, infatti, avrebbe importato l’interpello del secondo classificato in ragione dello scorrimento della graduatoria prescritto dal previgente art. 140 del D.Lgs. n. 163/2006 – applicabile ratione temporis al caso di specie ed analogo all’art. 110 del D.Lgs. n. 50/2016 – nelle ipotesi di fallimento dell’appaltatore o di risoluzione del contratto pubblico per grave inadempimento del medesimo.
Intervenuta l’opposizione dell’operatore economico affidatario all’accoglimento dell’istanza ostensiva, in ragione della sua inerenza alla fase di implementazione del rapporto contrattuale e del l’asserito carattere non pertinente con la procedura selettiva espletata, oltre che con il giudizio di annullamento dell’aggiudicazione definitiva pendente dinanzi al Tar Lazio – l’Amministrazione, con l’avversato provvedimento di diniego, declinava l’esercizio del diritto di accesso.
La sussunzione della documentazione richiesta – concernente una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale, rivenienti dalla procedura in oggetto – nel novero degli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, per i quali l’art. 13 dell’abrogato D.Lgs. n. 163/2006, analogamente all’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, contemplava l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990, ne avrebbe impedito, infatti, l’ostensione.
L’Amministrazione, invero, argomentava come l’istanza di accesso non risultasse suffragata dalla concreta sussistenza di una posizione qualificata in capo all’interessato, idonea a giustificarne la domanda ostensiva, peraltro ritenuta non passibile di accoglimento anche alla stregua della disciplina che presiede all’istituto dell’accesso civico generalizzato (c. d. Freedom of Information Act, FOIA), recata dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013, come introdotto dal D. Lgs. n. 97/2016, e priva di applicazione nel settore dei contratti pubblici.
L’operatore economico interessato, pertanto, proponeva ricorso avverso la determinazione assunta dall’Amministrazione, posto che l’interesse ad ottenere i documenti richiesti – individuato in un migliore esercizio del diritto di difesa nel predetto giudizio di annullamento del provvedimento di aggiudicazione del contratto di appalto, oggetto della stessa documentazione richiesta – non sarebbe venuto meno anche nell’ipotesi di esperimento di una nuova procedura di affidamento in luogo dello scorrimento della graduatoria di cui all’art. 140 del previgente D. Lgs. n. 163/2006.
Parte ricorrente, dunque, deduceva come l’accesso alla documentazione di gara – sebbene ritenuto privo del presupposto di un interesse diretto, concreto ed attuale, che deve assistere il diritto di accesso documentale di cui agli artt. 22 ss della L. n. 241/1990 – integrasse comunque l’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato ex artt. 5 ss. del D.Lgs. n. 33/2013, le cui norme avrebbero introdotto nell’ordinamento giuridico nuovi principi in materia ed avrebbero coniato una regola generale del sistema della trasparenza.
In disparte l’applicazione di discipline settoriali che limitino l’accesso a determinati documenti ed oggetto di una doverosa ermeneusi di segno restrittivo quali eccezioni alla disciplina recata dal D.Lgs. n. 33/2013, le norme del c. d. Decreto Trasparenza, infatti, senza concorrere con altre, avrebbero importato la generale ammissibilità del controllo diffuso sugli atti della P. A., segnatamente sugli atti contrattuali e su quelli relativi all’esecuzione dei contratti, lungi dalla necessità della sussistenza di uno specifico interesse per accedere agli atti pubblici.
Parte ricorrente, pertanto, assumeva quale presupposto del diritto di accesso agli atti della procedura ad evidenza pubblica la propria qualità di cittadino, che la disciplina dell’accesso civico generalizzato ai dati ed ai documenti detenuti dalle P. A., recata dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013, avrebbe reso fungibile con la posizione giuridica qualificata di concorrente originario alla stessa procedura di affidamento dell’appalto, sottesa alla norma di cui all’art. 53, comma 1 del D.Lgs. n. 50/2016.
L’Amministrazione, costituita in resistenza, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto priva della qualità di stazione appaltante, e deduceva, in particolare, come l’attività espletata dal soggetto affidatario sarebbe avvenuta in coerenza con le prescrizioni del Capitolato di gara, in guisa da escludere ogni inadempimento dell’operatore economico che rendesse necessario ricorrere alla risoluzione del contratto pubblico.
Secondo la prospettazione di parte resistente, inoltre, la preclusione dell’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013, affermata dalla richiamata giurisprudenza amministrativa con riferimento ai documenti relativi alla fase esecutiva del contratto pubblico, avrebbe ostato alla configurazione dell’interesse dedotto dall’operatore economico interessato a supporto dell’istanza ostensiva degli atti di gara (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398).
Anche l’impresa affidataria, costituitasi in giudizio quale controinteressata, eccepiva l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, oltre che la sua infondatezza, posto che l’istanza di accesso agli atti formulata da parte ricorrente nei confronti dell’Amministrazione resistente sarebbe intervenuta nelle more della pubblicazione della sentenza con la quale il Tar del Lazio aveva respinto il ricorso ex art. 116 c. p. a. proposto dallo stesso operatore economico avverso il diniego opposto dalla stazione appaltante all’ostensione degli atti di gara (T. A. R. Lazio – Roma, Sez. II, 14 gennaio 2019, n. 425).
L’istanza predetta, peraltro, era stata inoltrata dalla società interessata nel torno di tempo successivo al ricorso proposto per ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva di uno tra i lotti nei quali risultavano frazionate le prestazioni oggetto della procedura di affidamento dell’appalto, il cui esito era stato già impugnato dal medesimo operatore economico con ulteriore mezzo di gravame, al quale successivamente l’impresa rinunciava (T. A. R. Lazio – Roma, Sez. III, 21 gennaio 2015, n. 1017).
Il Giudice di prima istanza, pertanto, respingeva il ricorso proposto dall’odierna appellante avverso il provvedimento con il quale l’Amministrazione resistente aveva denegato l’ostensione degli atti di gara, atteso che l’istanza ostensiva, in assenza di fonti di provenienza dalle Amministrazioni interessate ovvero di altri elementi o concrete circostanze idonei a suffragare la sussistenza di ipotesi di inadempimento dell’affidatario o di recesso dell’Amministrazione dal contratto pubblico già sottoscritto, avrebbe configurato un’indagine meramente esplorativa, inammissibile ex se in quanto volta ad un controllo generalizzato dell’operato della P. A. (cfr., T. A. R. Lazio – Roma, Sez. III, 7 dicembre 2018, n. 11875; T. A. R. Emilia-Romagna, Sez. II, 4 aprile 2016, n. 366).
Il Collegio, inoltre, riteneva di non condividere la qualificazione della domanda di accesso formulata da parte ricorrente quale accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2-bis del D.Lgs. n. 33/2013, peraltro difforme dall’enunciazione della medesima istanza quale esercizio del diritto di accesso documentale di cui agli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990, come richiamati dall’art. 53, comma 1 del Codice dei contratti pubblici.
La disciplina del diritto di accesso documentale, infatti, avrebbe contribuito a realizzare il contemperamento tra l’esigenza di conoscenza integrale ed indistinta dei documenti detenuti dai soggetti contemplati dall’art. 2-bis del D.Lgs. n. 33/2013, soggetto alle esclusioni ed ai limiti previsti dall’art. 5-bis del c. d. Decreto trasparenza in uno ai rigorosi presupposti richiesti dalla stessa L. n. 241/1990, e la tutela degli interessi pubblici e degli interessi privati, che avrebbero potuto ricevere pregiudizio da un accesso indiscriminato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651).
Il diritto di accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica, quindi, risulterebbe informato ad una disciplina articolata in ragione della distinta fase nella quale venga esercitato il diritto di accesso, configurabile quale accesso civico generalizzato ex art. 5-bis, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013 esclusivamente nel segmento pubblicistico della procedura ad evidenza pubblica, atteso che nella fase esecutiva del contratto pubblico risulterebbe ammesso l’esperimento del solo accesso documentale ex artt. 22 ss della L. n. 241/1990, come richiamati dal D.Lgs. n. 33/2013, nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza e rimasti inosservati nel caso di specie (T. A. R. Toscana – Firenze, Sez. III, 17 aprile 2019, n. 577).
La società soccombente, pertanto, interponeva ricorso in appello per la riforma della sentenza del primo grado di giudizio, atteso che l’asserito inadempimento del programma contrattuale da parte dell’operatore economico affidatario, in uno alla propria collocazione in posizione utile nella procedura ad evidenza pubblica, avrebbe importato l’assunzione della qualità di soggetto portatore di un’aspettativa giuridicamente riconosciuta ad un possibile scorrimento della stessa graduatoria ex art. 140, comma 1 del previgente D.Lgs. n. 163/2006, in quanto titolare di un interesse qualificato e differenziato.
La Sezione remittente, dunque, deferiva al Collegio in composizione nomofilattica i seguenti punti di diritto, in ragione degli indirizzi difformi registrati nella giurisprudenza (art. 99, comma 1 c. p. a.):
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se sia configurabile o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’Amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore ed il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;
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se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al D.Lgs. n. 33/2013, come modificato dal D.Lgs. n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica ed alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso Codice;
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se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla L. n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’Amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al D.Lgs. n. 33/2013:
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se, di conseguenza, il Giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla L. n. 241/1990 o ai suoi presupposti essenziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato (Cons. Stato, Sez. III, 16 dicembre 2019, n, 8501).
(1) Il Collegio, sulla scorta del disposto dell’art. 5, comma 11 del D.Lgs. n. 33/2013 e della uniforme e consolidata giurisprudenza, ritiene che l’istanza di accesso documentale di cui agli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990 possa concorrere con una contestuale istanza di accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2 dello stesso Decreto trasparenza, in disparte la questione inerente alla loro formulazione con riferimento alla materia dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
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Il principio di stretta necessità che presiede all’acquisizione della conoscenza di dati documentali, infatti, importa il divieto per l’Amministrazione di vincolare l’esercizio del diritto di accesso a rigide regole formali, che ostino alla soddisfazione dell’istanza conoscitiva mediante un aggravio diverso da quello minore possibile e riveniente dall’applicazione e dalla valutazione di regole e limiti differenti, rese necessarie dalla proposizione contestuale, anche uno actu, di distinte domande di accesso, riferibili, rispettivamente, a ciascuno dei regimi normativi approntati in sede legislativa per la disciplina delle distinte forme di ostensione dei dati procedimentali della P. A. ammesse dall’ordinamento giuridico (cfr. ANAC, delib. 28 dicembre 2016, n. 1309).
L’accesso di cui agli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990 e l’accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013, invero, risultano ispirati al medesimo “anelito ostensivo”, che – in disparte il carattere alternativo delle finalità, dei requisiti e degli aspetti procedimentali che vi sono sottesi – rende necessario l’esperimento da parte dell’Amministrazione di un esame complessivo – e nel contraddittorio con eventuali controinteressati – dell’istanza conoscitiva recante elementi sostanziali utili ad apprezzarne comunque l’ammissibilità sotto il profilo “civico”, sebbene l’esclusivo richiamo dell’interessato alla disciplina recata in tema dalla Legge sul procedimento amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503).
La distinzione tra le due distinte fattispecie – che ben possono concorrere, senza reciproca esclusione, ed integrarsi – permane essenziale, peraltro, in punto di contemperamento tra i diversi interessi coinvolti in ogni singola ipotesi, posto che l’accesso a dati pertinenti di cui alla L. n. 241/1990 risulterà maggiormente ampio in ragione della peculiare situazione giuridica dedotta dall’interessato a supporto dell’istanza conoscitiva, in luogo delle esigenze di controllo diffuso da parte della collettività che informano l’accesso civico generalizzato di cui al D.Lgs. n. 33/2013 e che consentono una conoscibilità di dati, documenti ed informazioni nella disponibilità della P. A. meno profonda, sebbene più estesa.
L’interesse all’acquisizione dei dati e dei documenti nella disponibilità della P. A., quale portato del principio di trasparenza, conferma, tuttavia, la necessità di assicurarne un’ampia tutela mediante la configurazione dell’istanza conoscitiva quale accesso uti civis ex art. 5, D. Lgs. n. 33/2013 piuttosto che quale accesso uti singulus ex artt. 22 ss. della L. n. 241/1990 che non rechi i presupposti dell’ostensione documentale.
L’interesse ed i motivi dedotti, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’accesso documentale, infatti, possono essere assunti, altresì, quale presupposto dell’accesso civico generalizzato introdotto dal c. d. Decreto trasparenza (cfr. Circolare del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione del 6 giugno 2017, n. 2).
Una tale inversione nella qualificazione dell’istanza ostensiva, peraltro, risulta preclusa all’Amministrazione, quale diniego difensivo “in prevenzione”, quante volte risulti accertata l’insussistenza in capo all’interessato di un interesse differenziato quale presupposto legittimante l’esercizio del diritto di accesso documentale (art. 22, comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990), in assenza di una richiesta implicita e/o congiunta ovvero priva di espresso riferimento ad alcuno dei richiamati distinti regimi normativi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1406).
Il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi quale giudizio sul rapporto, che si ricava dal disposto dell’art. 116, comma 4 c. p. a., infatti, non configura, anche in sede di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. a), n. 6)), la sede nella quale attendere per la prima volta al suo scrutinio, posto che il procedimento amministrativo permane la sede elettiva nella quale l’Autorità deve attendere al contemperamento tra gli opposti interessi che risultino coinvolti dall’azione amministrativa in luogo di un successivo sindacato giurisdizionale.
(2) Il Collegio rileva come gli stessi interessi pubblici sottesi all’indizione della gara ovvero all’affidamento della commessa – quali il principio di trasparenza e quello di concorrenza – risultino immanenti anche alla fase esecutiva del rapporto negoziale con la P. A. ed importino l’ammissibilità dell’accesso agli atti con i quali la stessa Amministrazione abbia espletato attività di pubblico interesse, in disparte la natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, giusta l’art. 22, comma 1, lett. d) della L. n. 241/1990, come richiamata in materia dall’art. 53, comma 1 del Codice dei contratti pubblici.
L’accesso ai documenti amministrativi – enucleato nell’art. 22, comma 2 della Legge sul procedimento amministrativo quale principio generale dell’attività amministrativa, in ragione delle rilevanti finalità di interesse pubblico che vi sono sottese – importa, infatti, una disciplina della fase di esecuzione del contratto pubblico autonoma e parallela rispetto alle disposizioni del Codice civile, applicabili per quanto non espressamente previsto dal Codice dei contratti pubblici e negli atti attuativi (art. 30, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016).
Gli indici di tale regime normativo speciale si rinvengono sul piano positivo, altresì, nell’art. 213, comma 3, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 50/2016, che contempla le funzioni di vigilanza attribuite all’ANAC in materia di esecuzione dei contratti pubblici, ovvero negli effetti interdittivi che assistono la documentazione antimafia rilasciata dall’Autorità prefettizia ai sensi degli artt. 84 ss. del D.Lgs. n. 159/2011 (c. d. Codice antimafia).
La rilevanza pubblicistica della fase di esecuzione del rapporto contrattuale con la P. A. rinviene conferma nelle regole del Codice dei contratti pubblici che contemplano in via generale le verifiche di legittimità sull’operatore economico aggiudicatario previste dalle disposizioni proprie delle stazioni appaltanti (artt. 32, comma 12 e 33, comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016), nonché nelle ipotesi di recesso facoltativo dell’Amministrazione dai contratti (art. 108, comma 1) e dalle concessioni (art. 176, commi 1 e 2) nelle ipotesi contemplate, che integrano, invero, fattispecie di autotutela pubblicistica, assimilabili al paradigma dell’annullamento in autotutela di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990.
Nelle ipotesi di recesso obbligatorio dell’Amministrazione dal rapporto contrattuale previste dall’art. 140 del previgente D.Lgs. n. 163/2006 e dall’art. 110, comma 1 dell’attuale Codice dei contratti pubblici, che integrano forme di autotutela pubblicistica c. d. doverosa, la determinazione con la quale la stazione appaltante nell’esercizio di una facoltà discrezionale – quale ricavata in via sistematica dal disposto dell’art. 108, comma 8 del D.Lgs. n. 50/2016 – proceda allo scorrimento della graduatoria in luogo della indizione di una nuova procedura selettiva non rende evanescente l’interesse dell’operatore economico che abbia partecipato alla procedura di affidamento a conoscere illegittimità afferenti alla pregressa fase pubblicistica, ma divenute attuali soltanto in sede di esecuzione ovvero, comunque, inadempimenti manifestatisi in fase di esecuzione.
L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, infatti, risulta soggetta alla verifica ed alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro ex ex art. 140, comma 1 del D.Lgs. n. 163/2006, ovvero alla riedizione della procedura ad evidenza pubblica, oltre che al controllo dei soggetti pubblici, secondo il “polimorfismo” del bene della vita al quale tende per graduali passaggi l’interesse legittimo, che trascende il rapporto tra il solo, singolo operatore economico escludente, declinato in termini esclusivamente soggettivi, e che postula la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte ed alla prosecuzione del contratto, in disparte il costante carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa nella materia.
L’accesso documentale – diversamente dall’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013, che sottende la conoscenza dei dati pubblici quale diritto fondamentale (c. d. right to know) e premessa autonoma per l’esercizio di ogni altro diritto – assolve, peraltro, alla funzione di assicurare un bisogno di conoscenza (c. d. need to know) funzionale alla difesa di una situazione giuridica, che deve necessariamente precedere e vieppiù motivare l’istanza ostensiva e che non è ravvisabile ex se nella situazione giuridica dell’operatore economico che abbia partecipato alla procedura ad evidenza pubblica e collocatosi utilmente in graduatoria.
(3) L’Adunanza Plenaria rileva come l’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 33/2013 trovi applicazione anche nella materia dei contratti pubblici, che, in ragione delle rilavanti finalità di interesse pubblico che vi sono sottese e già richiamate retro, importa vieppiù l’esigenza di garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, riconosciuto quale interesse individuale alla conoscenza, protetto ex se e quante volte non ricorrano le ipotesi contemplate dall’art. 5-bis, commi 1 e 2 del c. d. Decreto trasparenza quali limiti e cause di esclusione del c. d. right to know (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546; Cons. Stato, parere 24 febbraio 2016, n. 515).
Il diritto della collettività alla ostensione dei dati che sono nella disponibilità dell’Amministrazione, quale accessibilità totale alle informazioni pubbliche realizzata mediante l’attuazione del paradigma del c. d. FOIA, infatti, impinge nella necessaria osservanza dei principi di pubblicità e trasparenza – riferiti, in quanto portato del principio democratico (art. 1 Cost.), ai profili rilevanti della vita pubblica ed istituzionale – nonché nel rispetto del principio di buon andamento ed imparzialità della P. A., enunciato nell’art. 97, comma 2 Cost. (Corte cost. 21 febbraio 2019, n. 21).
Il diritto di accesso civico generalizzato quale diritto fondamentale, peraltro, si ricava non soltanto dai principi enucleati alla latitudine costituzionale (artt. 1, 2, 97 2 117 Cost.), ma anche dall’art. 42 della CDFUE – che riconosce il diritto di accesso con riferimento ai documenti delle Istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione europea – e dall’art. 10 CEDU, che riconosce la libertà di espressione (cfr. ANAC, delib. 28 dicembre 2016, n. 1309, per. 2.1; Ministero per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione, Circolare 6 giugno 2017, n. 2).
L’accesso documentale ordinario “classico” di cui agli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990 – la cui disciplina viene richiamata, peraltro, dal medesimo art. 5-bis, comma 3 del D.Lgs. n. 33/2013 al fine di mutuarne l’applicazione di condizioni, modalità o limiti al c. d. FOIA, nonchè dall’art. 53, comma 1 del Codice dei contratti pubblici – assolve, piuttosto, alla funzione di assicurare protezione ad un interesse individuale, nel quale l’interesse pubblico alla trasparenza assume rilevanza soltanto occasionalmente ed in ragione del c. d. need to know strumentale ad una situazione giuridica pregressa.
(4) L’ammissibilità dell’intervento volontario nel ricorso principale spiegato dalla parte del giudizio ad quem quante volte ricorra la sola analogia tra le quaestiones iuris controverse nei rispettivi giudizi importerebbe l’introduzione nel sistema processuale amministrativo di una nozione singolare di interesse ad intervenire.
Una tale accezione, infatti, priva la condizione dell’azione della tipica valenza endoprocessuale che vi è connessa e rende possibile l’assunzione di iniziative emulative, distinte in ragione dell’oggetto dedotto quale petitum del giudizio principale nel quale l’interessato spieghi intervento (cfr. Cons. Stato, A. P., 4 novembre 2016, n. 23; Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557).
L’obiettiva diversità tra il petitum e la causa petendi sottesi, rispettivamente, al ricorso principale ed al processo ad quem, invero, osta alla configurazione in capo all’interventore di uno specifico interesse a spiegare intervento nel giudizio principale, il cui riconoscimento può intervenire soltanto nelle ipotesi di identità di almeno uno tra gli elementi identificativi oggettivi dell’azione proposta.
La devoluzione ad un giudice diverso da quello naturale della competenza ad effettuare la verifica in concreto dell’interesse all’intervento, in uno allo scrutinio sulla concreta rilevanza della questione al fine della definizione del giudizio a quo, risulterebbe incongruente, nell’assenza di un adeguato quadro conoscitivo, anche in termini sistematici, attesa la difformità dal principio enucleato nell’art. 25, comma 1 Cost.
L’intervento spiegato dall’Amministrazione controinteressata nella fase del giudizio dinanzi all’organo giurisdizionale in composizione nomofilattica, pertanto, risulta inammissibile in quanto non sussumibile in alcuna delle figure nelle quali viene declinato l’istituto, quale disciplinato, da ultimo, dall’art. 28 c. p. a. e, con riferimento al grado di appello, dall’art. 97 dello stesso D.Lgs. n. 104/2010.
Il Collegio, inoltre, ritiene inconferente il richiamo dell’Amministrazione controinteressata alle Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale adottate recentemente, attesa l’ammissibilità dell’intervento dei soli soggetti titolari di un interesse qualificato ovvero dei soggetti privati, senza scopo di lucro e portatori di interessi collettivi e diffusi, attinenti alla questione di costituzionalità.
Avv. Marco Bruno Fornaciari