E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2 e 97, comma 2 Cost., dell’art. 1, comma 1, lett. iii), l. 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere all’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alla concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale e per la salvaguardia delle professionalità, prevedendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (1) (Cons. Stato, Sez. V, 19 agosto 2020, n. 5097).
Con la sentenza di cui agli estremi dedotti in epigrafe, il Collegio definisce il ricorso in appello interposto da un operatore economico, componente il gruppo di gestione di un servizio pubblico nell’area territoriale di interesse in virtù di un rapporto di concessione pubblica, per la riforma della sentenza con la quale il Giudice di prima istanza aveva dichiarato inammissibile, in ragione della ritenuta carenza di immediata e concreta lesività degli atti gravati, il ricorso proposto dalla stessa società per l’annullamento della Deliberazione A. N. A. C. 4 luglio 2018, n. 614 (Linee Guida n. 11), nonché i successivi motivi aggiunti proposti per l’impugnativa dell’Atto di segnalazione A. N. A. C. 17 ottobre 2018, n. 4 (T. A. R. Lazio – Roma, Sez. I, 15 luglio 2019, n. 9309).
Parte ricorrente, mediante la proposizione del ricorso principale, censurava il richiamato provvedimento adottato dall’Autorità amministrativa indipendente – recante “Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 11, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione Europea” – in ragione della dedotta violazione dell’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, nonché per sviamento ed eccesso di potere e difetto di competenza.
Il Codice dei contratti pubblici, invero, contemplava l’adozione, da parte dell’A. N. A. C. ed entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso D. Lgs. 50/2016, di apposite Linee Guida recanti l’indicazione delle modalità di esecuzione della verifica annuale sulla osservanza del limite prescritto dall’art. 177, comma 1 nell’adempimento dell’obbligo – imposto ai titolari di concessioni già in essere – di affidamento di una quota dei contratti pubblici, in uno alla contestuale introduzione di clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato, oltre che per la salvaguardia delle professionalità.
L’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, d’altra parte, precisava che i titolari delle concessioni avrebbero potuto attendere all’esecuzione dei contratti pubblici anche mediante affidamento alle società in house providing di cui all’art. 5 D. Lgs. 50/2016, a società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati ovvero tramite operatori individuati all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (art. 177, comma 1, D. Lgs. 50/2016).
L’atto di soft law adottato dall’A. N. A. C., infatti, avrebbe importato l’occupazione di spazi di regolazione non autorizzati dalla fonte primaria – quale contemplata dalla richiamata disposizione del D. Lgs. 50/2016 – inerenti all’adeguamento delle concessioni in essere alle prescrizioni di cui all’art. 177, commi 1 e 2.
In tale guisa, inoltre, l’Autorità di vigilanza avrebbe introdotto un obbligo generalizzato di esternalizzazione dell’esecuzione dei servizi oggetto delle concessioni, nonché il divieto per i concessionari di attendere alla realizzazione diretta dei lavori e dei servizi oggetto delle concessioni già efficaci.
La mancata esclusione dall’ambito di applicazione delle Linee Guida n. 11 dei concessionari attivi nei settori speciali, la violazione delle Direttive e dei princìpi europei che presiedono alla tutela degli investimenti, la mancata esclusione dall’ambito di applicazione del provvedimento dei concessionari di servizi pubblici locali titolari di affidamento nel torno di tempo anteriore al 31 dicembre 2004 e, da ultimo, la conseguente violazione e la falsa applicazione dell’art. 34, comma 22 D. L. 179/2012 costituivano ulteriori motivi di censura, che avrebbero infirmato la legittimità dell’avversato provvedimento.
L’originaria ricorrente, peraltro, prospettava dubbi di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 1, comma 1, lett. iii) della legge delega 11/2016 e dell’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, che involgevano la conformità delle norme censurate con i parametri ex artt. 76, 11, 117, 97 e 3 della Carta fondamentale, nonché con i parametri interposti di cui all’art. 32, L. 234/2012 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle normativa e delle politiche dell’Unione Europea“), alla L. 246/2005 (“Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005“), all’art. 1, comma 1 della L. 11/2016, recante delega al Governo per l’attuazione delle Direttive europee in tema di contratti pubblici, all’art. 2 Direttiva 2014/23/UE (“Principio di libera amministrazione della autorità pubbliche“).
Le norme richiamate, peraltro, venivano assunte quale oggetto della prospettata q. l. c. anche con riferimento alla infrazione dei princìpi di matrice euro-unitaria che presiedono alla tutela degli investimenti, alla mancata osservanza dell’obbligo di esternalizzazione delle attività svolte, dell’art. 41 Cost., oltre che dei princìpi di certezza del diritto, di irretroattività della norma e di proporzionalità.
Il Giudice di primo grado rilevava, infatti, come il potere normativo riconosciuto all’A. N. A. C. nella fattispecie oggetto di giudizio sarebbe risultato circoscritto alla sola definizione delle modalità di verifica e di computo delle percentuali di esternalizzazione prescritte dall’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, lungi dall’emanazione di direttive di interpretazione della medesima disposizione ovvero inerenti all’ammontare delle sanzioni che assistono l’obbligo, imposto ai titolari delle concessioni già in essere, di affidare una quota dei relativi contratti pubblici.
La parte I delle Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018 – in quanto recante la delimitazione dell’ambito oggettivo e soggettivo, nonché l’ambito temporale di applicazione delle nuove percentuali di esternalizzazione – avrebbe integrato l’esercizio del potere regolatorio attribuito all’Autorità amministrativa indipendente dalla norma generale di cui all’art. 213, comma 2 D. Lgs. 50/2016 (“Autorità Nazionale Anticorruzione“) piuttosto che applicazione dell’abrogato art. 177, comma 3 dello stesso Codice dei contratti pubblici.
Il provvedimento avversato con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, pertanto, avrebbe configurato Linee Guida non vincolanti, quale strumento di regolazione flessibile, che – privo di alcuna portata lesiva – avrebbe assicurato, alla medesima stregua delle circolari interpretative ed in ragione di un’esigenza di ricognizione dei princìpi di carattere generale, una funzione di supporto all’Amministrazione e di incentivo all’assunzione di comportamenti omogenei tra gli operatori economici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6026).
La carenza di una portata immediatamente lesiva veniva riscontrata dal Giudice di prima istanza anche con riferimento alla parte II delle Linee Guida n. 11/2018, sebbene l’autoqualificazione quale vincolante e recante l’individuazione di distinti obblighi in capo al concedente, nonché al concessionario, anche con riferimento alla pubblicazione di dati inerenti il relativo contratto pubblico.
La posizione giuridica dei concessionari, invero, sarebbe risultata incisa dal successivo atto applicativo di contestazione della sussistenza di una situazione di squilibrio – quale accertata all’esito della prima verifica annuale intervenuta successivamente al decorso del termine per l’adeguamento alle previsioni di cui all’art. 177, comma 3 D. Lgs. 50/2016 – piuttosto che integrare conseguenza immediata delle mere prescrizioni contenute nel gravato provvedimento di soft law.
Il Collegio rilevava analoga carenza di una lesione concreta ed attuale anche con riferimento all’Atto di segnalazione, “Concernente la verifica degli affidamenti dei concessionari ai sensi dell’art. 177 del D.lgs. n. 50/2016 e adempimenti dei concessionari autostradali ai sensi dell’art, 178 del medesimo codice” ed oggetto di impugnativa mediante l’articolazione dei proposti motivi aggiunti, che avrebbe integrato un generico invito, per gli enti concedenti, ad assicurare l’osservanza degli obblighi rivenienti dalle pertinenti disposizioni, nonché a raccogliere i dati necessari.
La società soccombente, pertanto, con il già richiamato atto di gravame interponeva appello per la riforma della statuizione del Giudice di prime cure, della quale censurava in primo luogo l’error in iudicando, nonché l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, posto che l’esclusione del carattere lesivo della parte II delle Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018 – in ragione della funzione di mera individuazione delle modalità di verifica e di computo delle percentuali di esternalizzazione ex art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, assolta dal provvedimento – collideva con l’espresso riconoscimento della natura vincolante dell’atto di regolazione secondaria.
Secondo la prospettazione di parte appellante, peraltro, il carattere immediatamente lesivo che avrebbe assistito anche le indicazioni recate dalla parte I delle Linee Guida n. 11/2018 avrebbe rinvenuto corrispondenza nella disposizione del provvedimento che contemplava l’applicazione dell’art. 177 D. Lgs. 50/2016 ad ogni attività ascrivibile all’esecuzione delle concessioni – mediante il divieto di implementazione diretta, da parte del titolare concessionario, oltre il limitato indice del 20% delle prestazioni erogate e l’enunciazione delle fattispecie di esclusione – piuttosto che ai soli contratti affidati all’esterno.
La legittimità delle indicazioni di cui alla parte II delle Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018, inoltre, sarebbe risultata infirmata nel complesso in ragione delle modalità di computo delle penali da applicare nell’ipotesi di squilibrio rispetto ai limiti percentuali richiamati retro, degli obblighi di pubblicazione e delle modalità di verifica annuale delle quote percentuali di cui all’art. 177 D. Lgs. 50/2016, che, in quanto eccedenti l’ambito di intervento riconosciuto all’Authority dall’art. 177, comma 3 del Codice, avrebbe privato di una base normativa il provvedimento espressione del potere regolatorio attribuito all’A. N. A. C.
L’atto di regolazione secondaria – in guisa difforme dalla ritenuta assenza del carattere lesivo del provvedimento gravato, che ne avrebbe escluso la impugnabilità immediata – avrebbe importato, pertanto, una irragionevole alternativa a carico dei concessionari, chiamati a optare per l’osservanza delle stesse Linee Guida – recanti, peraltro, immediati riflessi negativi sui loro processi produttivi, nonché sotto il profilo sociale, a causa del carattere massivo della esternalizzazione delle attività ivi contemplata – ovvero per la mancata osservanza delle disposizioni di soft law, passibile delle sanzioni previste dallo stesso provvedimento.
Parte appellante, riaffermata la natura di atto immediatamente e direttamente lesivo dell’Atto di segnalazione A. N. A. C. già oggetto di impugnativa mediante la proposizione di ricorso per motivi aggiunti nel primo grado di giudizio, insisteva per la riforma della statuizione del Giudice di prima istanza, attesi i profili di illegittimità già denunciati nel giudizio di primo grado, ma non non scrutinati in conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso e riproposti nella rubrica “Illegittimità delle Linee Guida 11” dell’atto di gravame.
L’operatore economico, da ultimo, riproponeva anche nel giudizio di impugnazione – nel quale si costituiva in resistenza l’ A. N. A. C., che insisteva per la reiezione per inammissibilità ed infondatezza del ricorso in appello – la q. l. c. dell’art. 1, comma 1, lett. iii) L. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, con riferimento ai medesimi parametri di costituzionalità evocati nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio.
-
Il Collegio, richiamate le pronunce rese dal Consiglio di Stato in sede consultiva – che ha individuato nell’abrogato art. 177, comma 3 D. Lgs. 50/2016 una disposizione “estranea al perimetro“ delle Direttive comunitarie, attuate nell’ordinamento interno in guisa da adeguare l’originario rapporto concessorio alla “concorrenza per il mercato” – precisa, peraltro, come una norma analoga fosse contemplata, con riferimento ai concessionari stradali, anche dall’art. 253, comma 25 del previgente Codice dei contratti pubblici di cui all’abrogato D. Lgs. 163/2006, secondo la medesima ratio che informava del pari l’art. 146, rubricato negli “Obblighi e facoltà del concessionario in relazione all’affidamento a terzi di una parte dei lavori“.
Le richiamate norme del previgente Codice dei contratti pubblici, pertanto, postulavano, in guisa analoga alla disciplina recata dall’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 e dalle Linee Guida A. N. A. C. 11/2018, l’esigenza di ovviare ad una situazione di sostanziale monopolio che avrebbe potuto determinarsi nel settore delle concessioni pubbliche, a fortiori nelle ipotesi di affidamento senza espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, sì da risultarne alterata la concorrenza in uno all’aumento dei costi associati alla gestione delle stesse concessioni, nonché al trasferimento dei relativi oneri in capo agli utenti ed ai contribuenti.
La considerazione che, nell’affidamento delle concessioni senza gara, il titolare del rapporto possa sterilizzare il rischio operativo che grava in proprio capo in ragione di norme di legge tipizzatrici dell’istituto – giusta le definizioni di concessione di lavori e di concessione di servizi recate dall’art. 3, comma 1, lett. uu) e vv) D. Lgs. 50/2016 – costituisce l’assunto sotteso all’abrogato art. 177, comma 3 D. Lgs. 50/2016, come successivamente modificato ed integrato, che ha ricevuto applicazione mediante il gravato provvedimento di cui alla Deliberazione A. N. A. C. n. 614/2018 (Linee Guida n. 11/2018).
La Sezione precisa come la parte I del provvedimento impugnato – adottato in ragione del generale potere di regolamentazione attribuito all’Autorità amministrativa indipendente dall’art. 213, comma 2 D. Lgs. 50/2016, onde assicurare la corretta ed omogenea applicazione della normativa – rechi un carattere non vincolante, in quanto di natura dichiaratamente interpretativa e lungi dalla connotazione precettiva delle indicazioni rese dall’A. N. A. C. nella parte II delle Linee Guida n. 11/2018, attesa la connotazione operativa delle disposizioni.
Il Collegio ritiene fondato nel merito il primo tra i motivi devoluti al grado di appello, posto che le Linee Guida, sebbene la formale articolazione in parti distinte, integrano nel complesso – sotto il profilo logico e sistematico – un corpus regolatorio unico, del quale la parte I reca una natura dichiaratamente interpretativa ed assolve alla corretta individuazione dell’ambito di applicazione dell’art. 177 D. Lgs. 50/2016, la cui applicazione soggiace, peraltro, alle indicazioni di cui alla parte II dello stesso atto di regolazione secondaria.
In tale guisa, il discrimen tra la natura interpretativa e non vincolante della parte I e quella prescrittiva e vincolante della parte II delle Linee Guida n. 11/2018 viene meno in ragione del richiamato carattere unitario dell’atto di soft law adottato dall’Autorità di vigilanza e dell’apprezzamento della portata immediatamente e direttamente lesiva dell’avversato provvedimento, reso pertanto passibile di impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa.
Il rilievo rinviene corrispondenza nella richiamata giurisprudenza del Collegio, che ha affermato, in chiave generale, come gli atti programmatori e pianificatori, a contenuto generale ovvero regolamentare – nella cui categoria concettuale, lato sensu intesa, sussumere anche le linee guida vincolanti – non risulti ex se impugnabile in termini distinti rispetto all’atto applicativo, al quale ascrivere la lesione attuale e concreta arrecata alla posizione giuridica soggettiva di un determinato soggetto (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 19 luglio 2018, n. 4401; Id., 2 febbraio 2009, n. 529; Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2015, nn. 994 e 995; Id., 5 marzo 2015, n. 1095; Id., 18 aprile 2013, n. 2144).
Sebbene la sola adozione dell’atto applicativo consenta, peraltro, l’acquisizione, da parte dell’interessato, della compiuta cognizione e percezione della prescrizione generale pregiudizievole per la propria sfera giuridica, gli arresti giurisprudenziali successivamente intervenuti hanno riconosciuto il carattere impugnabile anche degli atti generali o regolamentari assistiti da portata immediatamente prescrittiva ovvero vincolante la successiva attività amministrativa, sì da qualificare il successivo atto alla stregua di un atto meramente dichiarativo ovvero ricognitivo (Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2016, n. 4130; Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2019, n. 2572).
Il Collegio chiarisce come, nella fattispecie oggetto di giudizio, le disposizioni di cui alle Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018 – in disparte la mancata congruenza della soft law con il perimetro di regolazione quale divisato dall’abrogato art. 177, comma 3 D. Lgs. 50/2016 – integrino comunque vincoli conformativi puntuali imposti per la successiva attività espletata dagli enti concedenti e dai concessionari, in capo ai quali non residuano facoltà di modulazione del contenuto e dell’estensione – anche sotto il profilo temporale, come già direttamente stabilito dalla legge – delle indicazioni ivi contemplate.
Il riferimento è all’esecuzione di modalità operative mediante inedite esternalizzazioni, al rinnovo delle esternalizzazioni – già intervenute a mezzo di contratto – mediante l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica in prossimità della loro scadenza, alla cessazione degli affidamenti diretti – a società in house providing ovvero collegate e previo recesso – e temporali, ovvero entro l’anno successivo, onde conseguire il riequilibrio delle situazioni di criticità, nonché alle modalità di computo della sanzione che assiste l’inadempimento dell’obbligo prescritto dall’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, agli obblighi di pubblicazione dei dati sulle concessioni a carico degli enti concedenti e dei concessionari e la puntuale indicazione delle modalità di verifica delle quote di affidamento da parte dei titolari delle concessioni.
La Sezione rileva come la circostanza che le disposizioni recate dalle Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018 fungano quali meri strumenti di applicazione dei princìpi comunitari di concorrenza e della più ampia apertura al mercato, piuttosto che recare attuazione delle richiamate Direttive comunitarie in tema di contratti pubblici – escluda ab imis la fondatezza delle censure formulate con riferimento all’asserita violazione delle Direttive comunitarie e, in termini più generali, dei princìpi di matrice euro-unitaria, la cui osservanza risulta assicurata, inoltre, mediante la previsione del c. d. divieto di gold plating, giusta l’art. 32 L. 234/2012 e la L. 245/2005 (cfr. Corte cost., 27 maggio 2020, n. 100).
D’altra parte, l’analoga ratio sottesa alla norma delegante di cui all’art. 1, comma 1, lett. iii) della L. 11/2016 ed alla norma delegata di cui all’abrogato art. 177, comma 3 D. Lgs. 50/2016, quale attuato con le Linee Guida A. N. A. C. n. 11/2018, esclude la violazione dell’art. 43 della Direttiva 2014/23/UE, dedotta da parte appellante quale conferma che la disciplina comunitaria non contempla, tra le cause che legittimano la modifica delle concessioni, l’esigenza di assicurare l’apertura alla concorrenza del mercato di riferimento dello stesso contratto pubblico, posto che la norma invocata postula l’affidamento delle concessioni mediante esperimento di una procedura ad evidenza pubblica, certamente non esperita nella fattispecie oggetto di giudizio.
Il Collegio, inoltre, precisa come la ricognizione del dato testuale normativo di cui all’art. 1, comma 1, lett. iii) L. 11/2016 e di cui all’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 non consenta di configurare l’obbligo di esternalizzazione dell’attività complessivamente svolta, che grava in capo ai concessionari quali individuati dalla richiamata disposizione del vigente Codice dei contratti pubblici, come dotato di efficacia retroattiva, in guisa da rendere necessaria la verifica della conformità di tale onere con il dettato costituzionale e, segnatamente, con gli artt. 41, 3 e 97 della Carta fondamentale.
Risulta in primo luogo esclusa, pertanto, l’adesione alla interpretazione costituzionalmente orientata prospettata da parte appellante, in ragione della quale il computo della quota di dismissione prescritta dall’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 dovrebbe avvenire con riferimento alla sola parte delle concessioni oggetto di effettiva esternalizzazione nell’intendimento dei rispettivi titolari, onde ovviare all’effetto di un integrale affidamento dei servizi assicurati, foriero di un significativo pregiudizio economico per lo stesso concessionario.
La Sezione, invero, rileva come il perseguimento della finalità sottesa alla norma di cui all’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 risulterebbe rimessa, in tale guisa ed in termini irragionevoli, alla sola volontà dei titolari delle concessioni, sebbene l’assenza di criteri – oggettivi ed inequivoci – ai quali informare l’adempimento all’obbligo di affidamento dei contratti pubblici già in essere, onde assicurare il contemperamento con gli interessi pubblici rilevanti ed in disparte la disamina del dato testuale normativo, dalla quale non si ricava margine di incertezza alcuno con riferimento all’intentio legis.
La giurisprudenza amministrativa – intervenuta in sede consultiva con riferimento ai pareri resi sul D. Lgs. 561/2017 (c. d. correttivo al Codice dei contratti pubblici) e sulle Linee Guida n. 11/2018 – ha già precisato, d’altronde, come l’impostazione ermeneutica avversata da parte appellante risulti la sola plausibile, nonché conforme al criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lett. iii) L. 11/2016, atteso, peraltro, il mancato rilievo di profili inediti e distinti, idonei ad una riconsiderazione delle conclusioni alle quali si è in già pervenuti (cfr. Cons. Stato, parere 20 giugno 2018, n. 1582; Id., parere 30 marzo 2017, n. 782).
Disattesa l’interpretazione costituzionalmente conforme della norma di cui alla richiamata disposizione del Codice dei contratti pubblici, assume rilievo, pertanto, la prospettata q. l. c. dell’art. 1, comma 1, lett. iii) L. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016, in ragione della configurazione delle disposizioni recate dalla parte I dell’atto di soft law quale coerente e diretta applicazione della censurata norma del Codice dei contratti pubblici, che integra, peraltro, il presupposto per l’esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori attribuiti all’Autorità amministrativa indipendente dalle disposizioni di cui alla parte II del medesimo atto di regolazione secondaria.
Il carattere non manifestamente infondato della prospettata q. l. c., d’altra parte, rinviene conferma, nella necessaria osservanza della guarentigia assicurata dall’art. 41 Cost. alla libertà di iniziativa economica privata, posto che l’obbligo di dismissione totale delle concessioni di importo pari o superiore ad euro 150.000 già in essere – come richiamato retro e quale prescritto dall’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 ai rispettivi titolari nella misura della quota ivi contemplata – configura un precetto difforme rispetto alle coordinate rivenienti dal dettato costituzionale.
Il necessario espletamento di una procedura ad evidenza pubblica ex art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016 importa, invero, una marcata rimodulazione degli equilibri di carattere economico – finanziario che informano il medesimo rapporto concessorio e che fondano le opzioni di pianificazione ed operative selezionate dai titolari delle concessioni, quante volte tale onere risulti riferito ad un obbligo di dismissione totale, sì da assimilare l’attività dei concessionari alle funzioni di una mera stazione appaltante, chiamata ad attendere alla disciplina ed all’attuazione dell’affidamento a terzi dell’unitaria concessione già affidata dall’Amministrazione, nell’osservanza delle Linee Guida 11/2018.
L’esigenza di ripristinare la concorrenza per il mercato – venuta meno all’atto dell’affidamento senza gara delle concessioni, sì da integrare, sul piano logico-giuridico e su quello sistematico, la ratio del disposto di cui alla richiamata disposizione del D. Lgs. 50/2016 – non rende inconferente il rilievo sotteso alla declaratoria di non manifesta infondatezza della q. l. c. dell’art. 1, comma 1, lett. iii) L. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1 D. Lgs. 50/2016.
Il Collegio, d’altra parte, aderisce alla prospettazione di parte appellante, che ha rilevato come l’esautoramento dell’istituto della concessione riveniente dall’applicazione delle norme censurate mediante q. l. c. importi una autentica disgregazione del compendio aziendale preposto alla erogazione delle prestazioni oggetto del rapporto concessorio, in uno al conseguente depauperamento del konow how acquisito dai titolari delle concessioni nell’esecuzione dei contratti pubblici, che assolve non soltanto alla funzione di incremento del profitto privato, ma anche al perseguimento dell’interesse pubblico all’attuazione delle concessioni.
L’obbligo di dismissione totalitaria di cui alle norme oggetto di q. l. c., pertanto, configura un impedimento assoluto e definitivo alla prosecuzione dell’attività economica comunque intrapresa ed esercitata in ragione di un titolo amministrativo illegittimo nell’ordinamento interno, giusta le disposizioni vigenti ratione temporis, nonché il ruolo del concessionario quale mera articolazione operativa degli enti concedenti, in termini difformi dalla funzione di soggetto chiamato all’esercizio di attività di interesse pubblico, in quanto proposto dall’Amministrazione.
La disciplina approntata dall’ordinamento interno quale attuazione delle Direttive comunitarie, censurata mediante la prospettata q. l. c., sebbene persegua la finalità di ovviare all’originaria inosservanza, in sede di affidamento senza gara delle concessioni già in essere, degli imperativi princìpi di matrice euro-unitaria di libera concorrenza, non esclude, dunque, la violazione della guarentigia che l’art. 41 Cost. assicura alla libertà di iniziativa economica privata, nonché l’esigenza, del pari contrapposta, di salvaguardia della funzione complessiva delle concessioni, altrimenti considerate in chiave limitatrice degli obblighi di dismissione che gravano in capo ai concessionari senza gara (artt. 146 e 253, comma 25 D. Lgs. 163/2006).
Il carattere rilevante della prospettata q. l. c., inoltre, rinviene conferma nell’affidamento dei privati affidatari, ritenuto apprezzabile in quanto non irragionevole ovvero colpevole, attesa la validità dei titoli costitutivi al momento della loro formazione e la insussistenza di profili di incompatibilità con l’ordinamento interno, aliunde ragione di annullamento, di risoluzione ovvero di riduzione della durata delle concessioni.
La Sezione, da ultimo, rilevato il carattere irragionevole delle norme censurate anche in ragione dell’indistinto riferimento dell’obbligo di dismissione ai concessionari titolari di affidamento senza gara – in disparte ogni richiamo al valore economico delle concessioni ed alla efficacia o meno dei rapporti concessori al momento della entrata in vigore dell’art. 177 D. Lgs. 50/2016 – precisa come la q. l. c. risulti non manifestamente infondata anche alla stregua dell’evocato parametro di cui all’art. 97, comma 2 Cost.
La norma delegante e quella delegata, infatti, pretermettono ogni considerazione inerente agli effetti negativi rivenienti dal prescritto obbligo di dismissione nei termini del compiuto svolgimento di servizi pubblici essenziali, in quanto funzionali ad istanze fondamentali espresse dalla collettività, sebbene affidati a concessionari privati in ragione della incapacità strutturale della P. A. di attendere alla loro gestione in termini efficienti ed efficaci.
Avv. Marco Bruno Fornaciari