La quarta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza non definitiva n. 3820/2021, ha ritenuto “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, lett. c-bis, l. reg. Puglia n. 14 del 2009, in relazione all’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., nella parte in cui rimette(va) ai Comuni – prima dell’espressa abrogazione disposta dall’art. 1, l. reg. Puglia n. 3 del 2021 – mediante motivata deliberazione di consiglio comunale, “l’individuazione di ambiti territoriali nonché di immobili ricadenti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), approvato con Deliberazione di G.R. n. 176 del 2015, nei quali consentire, secondo gli indirizzi e le direttive del PPTR, gli interventi di cui agli artt. 3 e 4 della presente legge, purché gli stessi siano realizzati, oltre che alle condizioni previste dalla presente legge, utilizzando per le finiture, materiali e tipi architettonici legati alle caratteristiche storico-culturali e paesaggistiche dei luoghi”, in deroga al divieto posto dal precedente comma 1, lett. f, del medesimo art. 6”.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato dinanzi al Tar Puglia, (Lecce), con il quale il ricorrente ha impugnato la determinazione della Soprintendenza di Lecce, recante parere negativo, in ordine al progetto, presentato dallo stesso, per l’ampliamento volumetrico del proprio trullo, ai sensi della dell’art. 3, l. r. n.14/09 (Piano casa per la Regione Puglia), sito nel Comune di Martina Franca, onde consentire la realizzazione di un pergolato, una piscina, un forno, un barbecue ed altri accessori.
Il compendio immobiliare, essendo situato in un’area costituente patrimonio dell’Unesco, denominata “Murgia dei trulli” e sottoposta a numerosi vincoli relativi ad area di rispetto dei boschi, paesaggio rurale, coni visuali e strade panoramiche, è stato oggetto di diversi pareri contrastanti sulla variazione della qualità paesaggistica.
Invero, nonostante i preventivi pareri favorevoli avuti dall’ufficio tecnico comunale, dalla Commissione locale per il paesaggio e dal responsabile dell’Ufficio paesaggio del Comune di Martina Franca, la Soprintendenza ha espresso parere negativo, ai sensi dell’art. 146, comma 5, del Codice dei beni culturali, secondo ben due ordini di ragioni:
1) per l’incompatibilità degli interventi di ampliamento con i valori culturali e paesaggistici tutelati dal vincolo gravante sulla “zona di notevole interesse pubblico”;
2) per il contrasto del progetto con il rigoroso divieto posto dall’art. 6, comma 1, lett. f) della l. r. Puglia n. 14/09.
Ciononostante, con sentenza n. 39/2020, il Tar leccese, ha accolto le censure proposte dal ricorrente, definendo del tutto erroneo l’assunto della Soprintendenza a dire del quale nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico non sarebbe possibile applicare la L. 14/09 (Piano casa), attesa la previsione delle suindicate deroghe, espressamente disciplinate dal Comune di Martina Franca.
A mente del Giudice di prime cure, “il parere è comunque immotivato in ordine al rilevato contrasto tra l’intervento di recupero (risanamento conservativo e ampliamento) del vecchio fabbricato e i valori paesaggistici dei luoghi, non risultando di facile comprensione sotto quale aspetto il limitato ampliamento volumetrico e il recupero dell’immobile possano comportare lo stravolgimento dell’immobile esistente, considerato compatibile con il contesto dei luoghi. In definitiva, non risulta affatto chiarito sotto quale aspetto i limitati interventi in esame incidano in misura rilevante sul piano strutturale sì da giustificare la conclusione attinta dalla Soprintendenza”.
Tuttavia, il Ministero dei beni culturali ha appellato la pronuncia sostenendo la palese distonia tra l’intervento edilizio programmato e l’identità paesaggistica e i valori culturali espressi dal territorio soggetto a vincolo.
Ad avviso del Ministero appellante, infatti, il progetto sarebbe difforme pure rispetto alle prescrizioni del Piano paesaggistico territoriale (segnatamente, con gli artt. 77 e 78 delle NTA) e della l. r. Puglia n. 14 del 2009, applicabili al caso di specie. Non solo. Il primo giudice avrebbe erroneamente riconosciuto all’art. 6, comma 2, lett. c-bis una portata derogatoria più ampia di quella prevista, idonea ad incidere sia sulla competenza riservata dalla Costituzione allo Stato in materia di tutela paesaggistica, sia sulle prescrizioni del Piano paesaggistico territoriale pugliese.
Secondo il Mibact “se si interpretasse la normativa in rassegna nel senso auspicato dal ricorrente, si giungerebbe a riconoscere ai Comuni un eccezionale potere di pianificazione e trasformazione del territorio, tale da derogare anche ai vincoli paesaggistici insistenti sullo stesso. Diversamente opinando, e cioè ove la norma summenzionata venisse interpretata nel senso di avere introdotto un regime derogatorio rispetto al divieto posto dal medesimo art. 6, comma 1, lett. f), si prospetterebbe un serio dubbio di legittimità costituzionale che andrebbe rimesso alla Corte”.
Orbene, il Consiglio di Stato, in ordine ai motivi di doglianza sollevati ha, in primis, ritenuto infondato il primo motivo di appello, confermando così l’accoglimento del secondo motivo di ricorso di primo grado.
A mente della quarta Sezione, l’art. 146, comma 8, del Codice prevede che “Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui all’articolo 140, comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti.
Tuttavia, il Ministero appellante nel rendere il parere richiesto dalla legge non ha espresso una adeguata motivazione, perché per un verso non sembra aver tenuto conto dell’effettiva consistenza dell’intervento, rivelatosi modesto, e per un altro verso, non ha preso in espressa considerazione le prescrizioni imposte dalla Commissione comunale, il cui rispetto avrebbe consentito il congruo inserimento dell’intervento in oggetto all’interno della cornice paesaggistica.
Transitando nella disamina delle doglianze, con il secondo motivo di appello, ad avviso del Ministero dei beni culturali, anche a prescindere dalla compatibilità paesaggistica, l’intervento edilizio programmato non potrebbe giammai essere autorizzato perché, nella parte in cui prevede l’ampliamento dell’immobile esistente, sarebbe difforme (anche) rispetto alle specifiche prescrizioni contenute nel piano paesaggistico territoriale, applicabili al caso di specie e attuate dagli artt. 77 e 78 delle NTA allegate al piano medesimo.
Nell’insistere per la corretta interpretazione e applicazione della normativa in oggetto, il Ministero ha fatto richiesta di rimessione alla Corte della questione di legittimità costituzionale in via subordinata, e cioè nell’ipotesi in cui la Sezione condivida la soluzione esegetica accolta dal giudice di prime cure.
A tal proposito, il Consiglio di Stato nel svolgere un inquadramento normativo della fattispecie ha statuito che “l’abrogata lett. c-bis) del comma 2 dell’art. 6 introduceva una vera e propria deroga all’espresso divieto – previsto dalla lett. f) del comma 1 del medesimo art. 6 – di realizzare gli interventi edilizi di cui agli artt. 3 e 4 della medesima legge su immobili ubicati in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli articoli 136 e 142 del Codice, sia pure con determinate cautele: ai fini dell’operatività della deroga, era infatti necessario che i Comuni, compatibilmente con i limiti di cui al summenzionato comma 1 e con le disposizioni dettate dal P.P.T.R. pugliese, individuassero gli ambiti territoriali ovvero le aree in cui erano situati gli immobili di cui alla lettera c-bis), ed esigessero il rispetto di determinate modalità costruttive relativamente a finiture, materiali e tipi architettonici.
La Sezione ritiene che la chiara ed univoca lettera della normativa in rassegna consentisse ai Comuni, fino all’espressa abrogazione avvenuta nel 2021, di esercitare un eccezionale potere di pianificazione e trasformazione del territorio, tale da incidere sia sulla competenza esclusiva riservata dalla Costituzione allo Stato in materia di tutela paesaggistica, sia sulle prescrizioni del Piano paesaggistico territoriale pugliese.
L’operatività della deroga contenuta nella citata lett. c-bis) del comma 2 dell’art. 6 al divieto previsto dalla lett. f) del precedente comma 1 del medesimo articolo, era sostanzialmente rimessa, infatti, alla decisione (potestativa) dei Comuni di prevedere (con motivata deliberazione del consiglio comunale) ambiti territoriali o aree di interesse all’interno dei siti vincolati, ove autorizzare, sia pure con determinate cautele costruttive, ciò che, in linea di principio, né la normativa statale, né quella regionale di piano, consentivano.
Dunque, non risulta condivisa affatto la prospettiva esegetica data dal Mibact poiché la lettera c-bis consentiva certamente di incidere mediante l’esercizio della pianificazione urbanistica, su beni sottoposti a vincoli paesaggistici, essendo rimesso agli organi assembleari dei singoli comuni pugliesi di autorizzare determinate tipologie di interventi di per sé vietati dalla legge regionale.
Ciò posto, il Collegio ha considerato che la summenzionata previsione della legge regionale n. 14 del 2009, nella parte in cui prevedeva – prima della sua espressa abrogazione – la derogabilità delle prescrizioni dei piani paesaggistici e in particolare di quelle contenute nel P.P.T.R. della Puglia, appare porsi in contrasto con l’art. 145, comma 3, del Codice, quale norma interposta in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., suscitando il relativo dubbio di legittimità costituzionale.
Pertanto, atteso che la presente controversia si caratterizza per il fatto che la norma regionale sia sospettata di incostituzionalità – poiché consente al comune di incidere sui presupposti di rilascio della autorizzazione paesaggistica in deroga alle previsioni di tutela stabilite dal Codice e dal piano paesaggistico -, codesta Sezione ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale.
Avv. Lucia Di Ciommo