Il potere regionale di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire, disposto ai sensi dell’art. 39, T. U. Edilizia n. 380 del 2001, è una autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-nonies L. n. 241 del 1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di perdurante vigenza (1).
Al fine dell’annullamento, da parte della Regione, del permesso di costruire, disposto ai sensi dell’art. 39, T. U. Edilizia n. 380 del 2001, non è sufficiente la sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero interesse pubblico al ripristino della legalità violata, ma occorre invece che sia stata commessa una grave violazione urbanistico edilizia e che vi sia un interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, da compararsi con l’affidamento legittimo del soggetto cui è stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio (2) (C. G. A., 26 maggio 2020, n. 325).
Il Collegio definisce il giudizio di gravame instaurato con il ricorso interposto dagli appellanti avverso la statuizione del Giudice di di prima istanza, che aveva rigettato l’impugnazione del provvedimento con il quale l’Amministrazione regionale intimata aveva disposto l’annullamento-di-ufficio ex art. 39 D. P. R. n. 380/2001 (T. U. Ed.) della concessione edilizia e della concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985, rilasciate agli stessi ricorrenti, nonché della successiva DIA presentata con riferimento alle opere già assentite (T. A. R. Sicilia – Catania, Sez. III, 19 febbraio 2019, n. 268).
La realizzazione da parte di uno dei ricorrenti di distinte unità immobiliari nei due corpi di fabbrica già oggetto dei titoli abilitativi edilizi oggetto di annullamento-di-ufficio, invero, non sarebbe stata conforme alle prescrizioni urbanistiche di cui alle N. T. A. del P. R. G. in punto di osservanza della destinazione residenziale dei fabbricati nelle zone agricole, avrebbe implicato il superamento dell’indice di densità fondiaria stabilito dal P. R. G. comunale ed avrebbe configurato una lottizzazione abusiva ex art. 30, D. P. R. n. 380/2001.
Gli originari ricorrenti insorgevano avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio, censurato in ragione dell’asserita violazione dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, nonché dell’art. 53, commi 2, 3, e 4 della L. R. 27 dicembre 1978, n. 71.
L’art. 21-nonies, comma 1 della L. n. 241/1990, invero, dispoIl potere ne che il provvedimento amministrativo illegittimo (cfr. art. 21-octies), può essere annullato di ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato per maturazione del silenzio-assenso (art. 20), e tenuto conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
La richiamata disposizione di legge regionale, peraltro, dispone che, entro dieci anni dalla loro adozione, le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che consentono l’esecuzione di opere in violazione delle leggi vigenti, delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o delle norme dei regolamenti edilizi, possono essere annullati dall’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente (A. R. T. A.), su parere del Consiglio regionale dell’urbanistica (C. R. U.) (art. 53, comma 2, L. R. n. 71/1978).
Il provvedimento di annullamento-di-ufficio è emesso entro diciotto mesi dalla data della contestazione delle violazioni stesse al titolare della licenza o della concessione, al proprietario della costruzione, al progettista, nonchè al sindaco, recante, altresì, l’invito a presentare controdeduzioni entro un termine a tal fine stabilito (art. 53, commi 3 e 4, L. R. n. 71/1978).
Le opere oggetto dei titoli edilizi annullati in autotutela, pertanto, sarebbero risultate completate fin dall’anno 2010, senza che l’Amministrazione regionale, peraltro, effettuasse la dovuta comparazione tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall’azione amministrativa, tra i quali ultimi certamente contemplare l’affidamento (cfr. artt. 1175 e 1375 c. c.) maturato in capo agli originari ricorrenti in ordine alla legittimità degli atti amministrativi successivamente caducati in un torno di tempo successivo al decorso del termine prescritto dall’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 – come modificato, da ultimo, con la L. n. 124/2015 – per l’esercizio del potere di annullamento-di-ufficio.
La norma generale di cui all’art. 7, n. 4 del D. M. 2 aprile 1968, n. 1444, come richiamato dall’art. 48 delle N. T. A. al P. R. G., inoltre, avrebbe consentito la destinazione abitativa in zona agricola con l’unico limite costituito da un indice di densità fondiaria molto esiguo, senza riferimento alcuno alla conduzione agricola del fondo e lungi dalla ammissibilità della funzione abitativa nell’ambito delle zone agricole del territorio comunale quale strettamente connessa a “servizio del fondo“.
La possibilità di conferire una destinazione residenziale ai manufatti assentiti con i titoli abilitativi edilizi oggetto di annullamento-di-ufficio e realizzati senza il frazionamento dell’area di interesse in lotti distinti, oltre che senza la necessaria realizzazione di opere di urbanizzazione, inoltre, avrebbe richiesto l’esperimento di un compiuto accertamento da parte delle Amministrazioni intimate.
L’Amministrazione comunale resistente, pertanto, disponeva la sospensione della realizzazione delle opere nelle aree lottizzate e l’acquisizione delle stesse al patrimonio disponibile dell’Ente locale, quali sanzioni contemplate dall’art. 30, commi 7 e 8 del D. P. R. n. 380/2001, nonché dall’art. 1 della L. R. n. 16/2016, nella fattispecie di trasformazione urbanistica ed edilizia di terreni a scopo edificatorio, illegittima in quanto realizzata senza la prescritta autorizzazione.
A mente della richiamata disposizione di legge nazionale, invero, nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nell’art. 29, comma 1, ne dispone la sospensione.
Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari (art. 30, comma 7, D. P. R. n. 380/2001).
Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del suddetto provvedimento di sospensione delle opere, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune, il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere abusive.
In caso di inerzia, si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’art. 31, comma 8 dello stesso T. U. Ed. (art. 30, comma 8, D. P. R. n. 380/2001).
Il ricorso principale e quello per motivi aggiunti proposti dagli originari ricorrenti avverso i richiamati provvedimenti sanzionatori, peraltro, venivano respinti dal Giudice di prime cure, previa riunione delle stesse impugnazioni al ricorso proposto avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi già rilasciati, sebbene la sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento di acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile del Comune, già concessa nelle more del sindacato giurisdizionale.
Il Collegio, invero, rilevava come il decorso anche di un torno di tempo considerevole dal rilascio del titolo abilitativo edilizio importi la necessità per l’Amministrazione di compiere una valutazione comparata e motivata tra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo ed il complesso delle circostanze e degli interessi rilevanti – tra i quali annoverare le istanze espresse dal destinatario del provvedimento illegittimo – piuttosto che incidere ab imis sul potere di disporre l’annullamento d’ufficio del medesimo titolo abilitativo edilizio.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, d’altra parte, ha precisato come la ragionevolezza del termine prescritto per l’adozione del provvedimento di annullamento-di-ufficio di un titolo abilitativo edilizio postuli l’esigibilità dell’esercizio del relativo potere nei confronti della stessa Amministrazione, in guisa da ritenerne congruo il decorso soltanto dal momento in cui l’Autorità è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto amministrativo (cfr. Cons. Stato, A. P., 17 ottobre 2017, n. 8).
I termini prescritti dall’art. 53, commi 2 e 4 della L. R. n. 71/1958 per l’annullamento-di-ufficio delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali in materia edilizia sarebbero risultati comunque osservati, atteso che soltanto l’esposto-denuncia delle associazioni ambientalistiche e l’espletamento della successiva indagine ispettiva disposta dall’A. R. T. A., giammai il mero rilascio ai ricorrenti della concessione edilizia da parte dell’Amministrazione comunale intimata, avrebbero reso edotta l’Amministrazione regionale dei motivi che infirmavano la legittimità degli atti amministrativi successivamente annullati di ufficio.
Il Collegio, inoltre, rilevava come la necessaria osservanza del richiamato onere motivazionale (art. 3, L. n. 241/1990) dovesse ritenersi pienamente assolta mediante il richiamo, nell’avversato provvedimento dell’Amministrazione regionale di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi già rilasciati agli originari ricorrenti, alle finalità di tutela e di conservazione prefigurate dal P. R. G., come enucleate nell’art. 48 delle N. T. A.
La pregnanza degli interessi pubblici sottesi alla disciplina in materia edilizia e la prevalenza che deve essere riconosciuta ai valori che essa intende tutelare, infatti, avrebbero importato un’attenuazione del suddetto obbligo di motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico sottese all’annullamento-di-ufficio, il cui rilievo relativo sarebbe rimasto immutato, in uno alla preminenza che deve essere riconosciuta al complesso di interessi e valori che informa la normativa in tema di governo del territorio (cfr. Cons. Stato, A. P., 17 ottobre 2017, n. 8).
La regolarità urbanistica degli edifici realizzati, peraltro, sarebbe risultata esclusa in ragione delle prescrizioni di cui all’art. 48 delle N. T. A. del P. R. G., in punto di destinazione dell’area di interesse e di osservanza dei limiti di densità di cui al richiamato art. 7, n. 4 del D. M. n. 1444/1968, nonché degli esiti dell’indagine ispettiva disposta dall’Amministrazione regionale, che avrebbe reso evidente la insussistenza di alcuna carenza di istruttoria sulla possibilità effettiva di conferire una diversa destinazione alle unità immobiliari oggetto dei titoli abilitativi edilizi annullati d’ufficio.
La fattispecie oggetto di giudizio, invero, avrebbe configurato una fattispecie di lottizzazione abusiva c. d. negoziale (scilicet, cartolare), che risulta integrata quante volte l’illegittima trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici venga realizzata mediante la sottoscrizione di atti negoziali che denuncino, in modo inequivoco e sulla scorta anche soltanto di alcuni indizi o di un solo indizio, la destinazione dell’area lottizzata a scopo edificatorio (art. 30, comma 1, D. P. R. n. 380/2001) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2004).
D’altra parte, la richiamata disposizione del T. U. Ed. contempla l’illecito amministrativo anche quale lottizzazione abusiva c. d. materiale, del pari ricorrente nel caso di specie, mediante la quale l’ordinamento giuridico interno intende preservare, sulla scorta di una interpretazione del dato testuale normativo funzionale alla ratio legis che vi è sottesa, la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione, nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione, quali beni giuridici tutelati.
(1) Il Collegio precisa come il procedimento di annullamento-di-ufficio regionale dei titoli abilitativi edilizi illegittimi, contemplato dall’art. 53 della L. R. n. 71/1978 in guisa conforme alla disciplina recata dalla norma omologa di cui all’art. 39 del D. P. R. n. 380/2001, integri un procedimento di “secondo grado” nella materia del governo del territorio siciliano, onde evitare l’adozione, da parte degli Enti locali, di provvedimenti in materia urbanistica-edilizia, che non prestino la necessaria osservanza alle scelte amministrative di ordine generale assunte dall’Ente territoriale ed agli atti generali adottati dagli stessi Enti locali.
Nell’autonoma disciplina dell’annullamento-di-ufficio approntata dall’ordinamento regionale, che ne prescrive i termini e la necessaria successione in fasi distinte, il provvedimento dell’A. R. T. A. viene emesso su parere del C. R. U., che assume la configurazione di un atto propedeutico e costituente parte integrante del provvedimento di secondo grado adottato dall’organo esecutivo regionale.
Il potere regionale di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi illegittimi, pertanto, quale divisato nell’art. 53 della L. R. n. 71/1978, in conformità all’omologa norma di cui all’art. 39 del D. P. R. n. 380/2001, configura una autotutela speciale, sussumibile nel paradigma generale di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, in disparte la specialità dei termini di esercizio del potere di ritiro degli atti amministrativi illegittimi, che permangono vigenti, e lungi dalla integrazione di un potere di vigilanza e di controllo.
La identificazione del procedimento di annullamento-di-ufficio disciplinato dalla richiamata disposizione di legge regionale quale espressione di un potere di amministrazione attiva e di secondo grado – che, in coerenza con la disciplina recata dalla legge sul procedimento amministrativo, può essere esercitato non soltanto dall’Amministrazione che ha adottato il provvedimento, ma anche da altro organo previsto dalla legge (art. 21-nonies, comma 1, L. n. 241/1990) – rinviene corrispondenza negli indici che si ricavano dall’ermeneusi del dato testuale normativo.
L’ordinamento regionale, invero, appronta una normativa omologa all’art. 39 del D. P. R. n. 380/2001, che contempla l’annullamento-di-ufficio delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzino interventi non conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi ovvero, comunque, in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente, quale esercizio di un potere discrezionale, peraltro non coercibile da parte del privato ovvero da un altro organo dell’Amministrazione.
D’altra parte, il potere regionale di ritiro, quale contemplato dall’art. 39, D. P. R. n. 380/2001 e dall’art. 53, L. R. n. 71/1978 con riferimento ai provvedimenti comunali illegittimi inerenti il governo del territorio, anche qualora configurato quale esercizio di un potere di vigilanza e di controllo, non potrebbe essere sottratto all’applicazione dell’art. 21-nonies, comma 1 della L. n. 241/1990, atteso che la legge sul procedimento amministrativo non reca una delimitazione dell’annullamento-di-ufficio al solo ambito della c. d. autotutela.
Come precisato retro, il dato testuale della disposizione di legge nazionale, invero, attribuisce il potere di annullamento-di-ufficio non soltanto all’Amministrazione che abbia adottato l’atto amministrativo successivamente caducato, ma anche ad un altro organo previsto dalla legge, in guisa che la stessa norma riceva applicazione quante volte l’ordinamento giuridico attribuisca il potere di annullamento-di-ufficio di atti amministrativi ad un organo di amministrazione attiva, in disparte la qualificazione della natura del potere esercitato, nonché le ipotesi di controllo affidato alla Corte dei conti ovvero di annullamento in sede giurisdizionale.
La qualificazione del potere regionale di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi illegittimi impinge in punto di corretta individuazione dei termini che presiedono all’esercizio del potere di ritiro degli atti amministrativi riconosciuto agli organi dell’Ente territoriale, non soggetto al termine di diciotto mesi prescritto dall’art. 21-nonies, comma 1 della L. n. 241/1990, bensì ai diversi termini che l’art. 39, commi 1 e 2 del D. P. R. n. 380/2001 e l’art. 53, commi 2 e 4 individuano nell’esercizio del potere discrezionale entro dieci anni dall’adozione delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali inerenti alla materia del governo del territorio ed entro diciotto mesi dall’intervenuto accertamento della violazione.
La richiamata disposizione del T. U. Ed., infatti, si pone in rapporto di specialità e, pertanto, di prevalenza, rispetto all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, che – in quanto modificato, da ultimo, con la L. n. 124/2015 – configura uno ius superveniens, senza importare, peraltro, l’abrogazione, tanto meno in forma tacita, della norma anteriore di cui allo stesso art. 39, commi 1 e 2 del D. P. R. n. 380/2001, che permane vigente in omaggio al principio lex specialis derogat generali.
Il Collegio, pertanto, ritiene che il provvedimento con il quale l’Amministrazione regionale appellata ha disposto l’annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi già rilasciati dall’Ente comunale agli appellanti non integri violazione alcuna del termine ragionevole per l’esercizio del potere di autotutela, in quanto adottato nell’osservanza dei termini prescritti dall’art. 39, commi 1 e 2 dell D. P. R. n. 380/2001 per l’esercizio del potere discrezionale di ritiro degli atti amministrativi, maggiore di quelli previsti dall’art. 21-nonies, comma 1 della L. n. 241/1990 quale ius superveniens.
(2) Il Collegio, sulla scorta del carattere discrezionale attribuito al potere regionale di annullamento -di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi già rilasciati dal Comune, quale contemplato dall’art. 39, commi 1 e 2 del D. P. R. n. 380/2001 e dall’art. 53, commi 2, 3 e 4 della L. R. n. 71/1978, in uno alla sussunzione della fattispecie nel paradigma generale dell’autotutela amministrativa, afferma il principio di diritto richiamato in epigrafe, peraltro assistito da corrispondenze nella giurisprudenza recenziore.
Il dato testuale della norma di cui all’art. 53, commi 2, 3 e 4 della L. R. n. 71/1978, invero, importa che il provvedimento regionale che disponga l’annullamento-di-ufficio degli atti comunali illegittimi rechi, in guisa analoga all’annullamento in autotutela in tesi operato dall’Ente comunale, una congrua motivazione (art. 3, L. n. 241/1990) sull’interesse pubblico a procedere, che non si esaurisca in un mero richiamo alla necessaria osservanza del principio di legalità e lungi da qualsiasi obbligatorietà ed automaticità nell’adozione del provvedimento di secondo grado (C. G. A., A. S. R., parere 2 febbraio 2017, n. 67).
L’opera di comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti nell’azione amministrativa – il cui necessario contemperamento non viene escluso esplicitamente dall’indirizzo pretorio che individua un interesse pubblico in re ipsa nell’esercizio del potere di annullamento-di-ufficio – rende necessario che il confronto tra le istanze opposte avvenga nei termini di un perspicuo rigore, che, mediante una adeguata motivazione, escluda meccanismi presuntivi sia con riferimento alla sussistenza dell’interesse pubblico alla caducazione dell’atto amministrativo che, non da ultimo, con riguardo all’eventuale affidamento del privato (C. G. A., A. S. R., parere 12 marzo 2004, n. 383).
La doverosa lettura costituzionalmente orientata dell’art. 39, commi 1 e 2 del D. P. R. n. 380/2001 e la necessaria osservanza del principio di buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97, comma 2 Cost.), inoltre, importano l’esigenza di conformare anche l’esercizio del potere regionale straordinario di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi illegittimi alle prescrizioni di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, sebbene la richiamata norma del T. U. Ed. contempli i presupposti per l’esercizio del potere discrezionale in termini meno puntuali rispetto alla norma della legge sul procedimento amministrativo (Cons. Stato, Sez. VI, 6 agosto 2018, n. 4822).
Il potere regionale di annullamento-di-ufficio dei titoli abilitativi edilizi illegittimi di cui all’art. 39, commi 1 e 2 D. P. R. n. 380/2001 ed all’art. 53, commi 2, 3 e 4 della L. R. n. 71/1978, invero, risulta assimilato, nei presupposti che vi sono sottesi, all’esercizio del potere di autotutela da parte della P. A. titolare del potere ordinario di annullamento-di-ufficio.
Il rilievo rinviene riscontro sia in punto di interesse pubblico specifico, sia di doveroso apprezzamento degli interessi e degli eventuali affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di fatto incisa dall’azione amministrativa esperita in via straordinaria, sì da assicurarne la conformità ai richiamati canoni di cui all’art. 97, comma 2 Cost., nonché al principio di ragionevolezza e di proporzionalità dell’agire pubblico (art. 3 Cost.).
I richiamati canoni di matrice costituzionale, infatti, contribuiscono a fondare un limite al potere discrezionale autoritativo di ritiro, di tipo motivazionale e procedurale, che, lungi dalla configurazione di una preclusione all’esercizio dello stesso potere di annullamento-di-ufficio, si collega al principio di correttezza, di ragionevolezza, di proporzionalità – in quanto vieta l’uso scorretto, irragionevole e sproporzionato del potere pubblico -, la cui osservanza, quale requisito di legittimità del provvedimento di annullamento-di-ufficio, può essere assicurata soltanto mediante un’articolata e completa motivazione (cfr. art. 3, L. n. 241/1990).
Il Collegio, inoltre, rileva come l’affidamento legittimo dei privati, quale principio generale comune agli Stati membri UE (cfr. artt. 1175 e 1375 c. c.), renda necessaria una motivazione del provvedimento amministrativo che disponga l’annullamento-di-ufficio di un atto amministrativo in precedenza adottato tanto più esaustiva, da cui desumere la sussistenza del pubblico interesse all’emissione del provvedimento di secondo grado, che non si esaurisca nel mero richiamo alla violazione delle regole urbanistiche ovvero nella avvenuta ponderazione e comparazione con i contrastanti interessi di cui sono portatori gli stessi destinatari dell’azione amministrativa.
Il Collegio, in accoglimento del ricorso di appello, rileva, da ultimo, come la maturazione delle primigenie scelte amministrative, di segno ampliativo della sfera giuridica dei privati, nello svolgimento di un rapporto con la P. A. apparentemente informato alla reciproca osservanza del canone della buona fede, piuttosto che quale conseguenza di comportamenti fraudolenti realizzati dai destinatari dell’azione amministrativa, renda ancora più marcato l’obbligo di attendere alla motivazione del provvedimento che disponga l’annullamento-di-ufficio di un atto amministrativo già adottato.
Avv. Marco Bruno Fornaciari