Qualora l’annullamento-di-ufficio di un titolo edilizio sia stato annullato in sede giudiziale per difetto di motivazione l’Amministrazione conserva il potere di intervenire nuovamente sulla base di una adeguata motivazione che dia conto dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento del permesso di costruire (1).
L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa; l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione (2) (Cons. Stato, Sez. IV, 26 maggio 2020, n. 3330).
Con la sentenza dedotta in rassegna, il Collegio definisce, previa loro riunione, i distinti ricorsi in appello interposti dalla società ricorrente per la riforma delle pronunce con le quali il Giudice del primo grado di giudizio aveva respinto le azioni per annullamento ex art. 29 c. p. a. proposte avverso i provvedimenti adottati dall’Amministrazione comunale intimata per l’annullamento-di-ufficio ex art. 38 del D. P. R. n. 380/2001 del permesso di costruire in variante rilasciato allo stesso operatore economico, nonché la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, giusta l’art. 31, comma 2 dell’o stesso T. U. Ed. (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 13 novembre 2013, n. 997; Id., Sez. II, 22 gennaio 2015, n. 142).
Il titolo abilitativo edilizio ritirato dall’Amministrazione comunale, invero, assentiva la edificazione di un unico corpo di fabbrica in luogo della costruzione – sulla base di una convenzione di lottizzazione, che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo – di parte delle unità abitative oggetto della concessione edilizia già rilasciata alla precedente proprietà del terreno interessato, successivamente ceduto parzialmente alla società appellante.
Il contratto di compravendita immobiliare, infatti, prevedeva la facoltà dell’operatore economico acquirente di presentare un progetto in variante ai fini della realizzazione del suddetto fabbricato in luogo di parte delle unità abitative già assentite, con volumetria complessiva invariata, in disparte la edificazione delle rimanenti unità abitative da parte dei precedenti proprietari sulla porzione del fondo residuata all’esito del frazionamento del bene immobile conseguente al trasferimento della proprietà.
Il permesso di costruire in variante, pertanto, veniva annullato di ufficio in ragione della omessa realizzazione delle opere di urbanizzazione previste e della collocazione del fabbricato su parte della viabilità interna, da realizzare nell’interesse pubblico generale nel quadro delle opere di urbanizzazione, sebbene l’atto di ritiro del titolo abilitativo edilizio non venisse impugnato dalla società appellante, che richiedeva, quindi, un nuovo permesso di costruire in variante, del pari annullato di ufficio.
Il provvedimento di ritiro del nuovo titolo abilitativo edilizio, motivato in punto di mancata osservanza delle distanze prescritte dalle N. T. A. al P. R. G., quali rivenienti dagli elaborati planimetrici, veniva gravato dalla società appellante mediante proposizione di ricorso per annullamento ex art. 29 c. p. a., accolto – anche all’esito dell’espletamento di verificazione dello stato dei luoghi – in ragione del rilevato difetto di motivazione dell’avversato provvedimento di secondo grado adottato dall’Amministrazione comunale intimata, che, tuttavia, rieditava il provvedimento di annullamento-di-ufficio del titolo abilitativo edilizio (cfr.T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 31 dicembre 2011, n. 1697).
Con la sentenza n. 997/2013, pertanto, il Collegio respingeva il ricorso per annullamento proposto dalla società ricorrente avverso l’ultimo provvedimento di annullamento-di-ufficio del titolo abilitativo edilizio adottato dall’Amministrazione e riteneva i motivi di ricorso tesi a censurare la correttezza del sopralluogo effettuato dall’Amministrazione comunale nell’area di interesse, nonché la sussistenza del potere dell’Amministrazione di rieditare il provvedimento di autotutela successivamente all’intervenuto giudicato.
Il Giudice di prima istanza, inoltre, riteneva fondate le circostanze dedotte dall’Amministrazione comunale resistente quale motivazione del provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante, atteso che il corpo di fabbrica avrebbe occupato una porzione di suolo sottoposta a vincolo di edificabilità, in quanto destinata a viabilità in sede di convenzione di lottizzazione già stipulata, come risultante, peraltro, dalla concessione edilizia già rilasciata.
La Sezione, d’altra parte, riteneva di condividere la censura formulata dall’operatore economico ricorrente in ordine alla insussistenza della contestata violazione delle prescrizioni urbanistiche in punto di distanze, quali rivenienti anche dall’art. 18 delle N. T. A. al P. R. G., sebbene respingesse gli stessi motivi di gravame nella parte relativa al posizionamento dell’immobile sul tracciato della strada contemplata in sede di pianificazione attuativa mediante convenzione di lottizzazione.
L’operatore economico, pertanto, interponeva ricorso in appello per la riforma della statuizione del Giudice di prime cure, censurata in ragione di distinti ed autonomi motivi di gravame, quali la mancata osservanza delle guarentigie partecipative nel procedimento di annullamento-di-ufficio del titolo abilitativo edilizio; la mancata osservanza del principio di imparzialità nell’operato della P. A., peraltro non conforme al pregresso giudicato di annullamento del provvedimento di ritiro del precedente permesso di costruire in variante; l’omesso espletamento dell’esame complessivo necessario per l’esercizio del potere amministrativo di autotutela.
La sentenza impugnata, inoltre, avrebbe sotteso una errata interpretazione della sentenza di accoglimento del ricorso proposto avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio del primo permesso di costruire in sanatoria, lungi dall’accertamento di una inosservanza delle distanze tra costruzioni nella realizzazione del corpo di fabbrica edificato dall’operatore economico, la cui collocazione nell’area di interesse, peraltro, sarebbe risultata conforme a quanto previsto dalla originaria concessione edilizia ed espressamente consentita nell’atto di compravendita.
Le opere edilizie realizzate dalla stessa società appellante, d’altra parte, non avrebbero configurato alcuna occupazione di suolo destinato alla viabilità – posto che l’operatore economico avrebbe concordato con l’Amministrazione comunale odierna appellata la cessione soltanto parziale del terreno destinato a strada dall’originaria in sede di pianificazione attuativa – ed il distacco tra i fabbricati avrebbe potuto integrare, al più, un abuso edilizio, giammai un motivo di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire.
Il provvedimento impugnato, da ultimo, avrebbe recato una motivazione inadeguata e, comunque, non sarebbe risultato sussistente un interesse pubblico all’annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in sanatoria – come attestato, altresì, dal tempo trascorso dal rilascio dello stesso titolo abilitativo edilizio -, caducato, peraltro, senza che l’Amministrazione comunale attendesse al previo espletamento di una fase preliminare, onde emendare il titolo abilitativo edilizio dagli eventuali vizi, sì da consentirne la conservazione.
Con distinto ed autonomo ricorso, successivamente oggetto di riunione ex art. 70 c. p. a. (art. 38 c. p. a.) in ragione della connessione soggettiva e parzialmente oggettiva dei rimedi esperiti, l’operatore economico interponeva appello per la riforma della sentenza n. 142/2015, con la quale il Collegio aveva respinto l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza dell’Amministrazione comunale resistente, che aveva disposto la demolizione delle opere edilizie realizzate in conseguenza del permesso di costruire annullato, nonché il ripristino dello stato dei luoghi, giusta l’art. 31, comma 2 del D. P. R. n. 380/2001.
Secondo la prospettazione di parte appellante, invero, il Giudice del primo grado di giudizio sarebbe incorso in un error in iudicando, posto che il provvedimento di secondo grado adottato dall’Amministrazione comunale appellata ed oggetto del ricorso per annullamento definito con la sentenza n. 997/2013, lungi da una natura strettamente vincolata e necessitata – quale riveniente dalla necessaria conformazione dell’azione amministrativa all’intervenuto giudicato esecutivo – non avrebbe recato una natura meramente confermativa di una precedente determinazione assunta dalla stessa Amministrazione procedente, in guisa da risultare sostanzialmente inoppugnabile.
La ricognizione in punto di fatto della fattispecie oggetto di giudizio, infatti, avrebbe richiesto la più corretta sussunzione del caso di specie nel novero degli interventi edilizi eseguiti in base ad un permesso di costruire annullato, soggetti ad una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente realizzate (art. 38 del D. P. R. n. 380/2001) in luogo del deteriore trattamento sanzionatorio, quale applicato dall’Amministrazione appellata, che l’art. 31, commi 2 e 3 T. U. Ed. commina per gli interventi eseguiti in assenza del permesso di costruire ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al titolo abilitativo edilizio.
In disparte la censura relativa alla omessa valutazione dell’adozione di misure diverse e di carattere sanzionatorio, comminate dall’art. 38 del D. P. R. n. 380/2001 nelle fattispecie di interventi eseguiti in base ad un permesso annullato, la pronuncia del Giudice di prime cure, che aveva respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante, non avrebbe accertato la mancata osservanza delle distanze dal confine, come invece asserito dall’Amministrazione comunale appellata.
L’avversata ordinanza di demolizione ex art. 31, comma 2 del D. P. R. n. 380/2001, inoltre, sarebbe risultata illegittima, in quanto adottata dall’Amministrazione comunale appellata in pendenza del giudizio di appello interposto per la riforma della sentenza del Giudice di prima istanza. che aveva respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio del titolo abilitativo edilizio, ed in quanto non preceduta dall’invio della comunicazione di avvio del procedimento, giusta gli artt. 7 s. della L. n. 241/1990.
L’operato dell’Amministrazione, infine, sarebbe risultato contraddittorio e sarebbe mancata l’esatta indicazione dell’estensione dell’area di sedime oggetto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, comma 3 del D. P. R. n. 380/2001, in ragione della contestata inottemperanza all’ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (art. 31, comma 2, D. P. R. n. 380/2001).
(1) Il Collegio disattende il motivo di gravame con il quale la parte appellante ha censurato la statuizione del Giudice di prime cure in ragione del dedotto mancato rilievo della inosservanza, nell’adozione del provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante, delle guarentigie procedimentali in punto di omessa comunicazione di avvio del procedimento di ritiro in autotutela del titolo abilitativo edilizio, ex artt. 7 ss. L. n. 241/1990.
La funzione ricognitiva assolta dal sopralluogo effettuato dall’Amministrazione comunale appellata, invero, non rendeva necessaria la previa instaurazione del contraddittorio procedimentale, peraltro assicurato dalla comunicazione di avvenuta ispezione, in guisa da consentire alla società interessata l’esercizio del diritto di accesso agli atti relativi (artt. 22 ss., L. n. 241/1990) e la loro eventuale contestazione.
La Sezione, inoltre, esclude la sussistenza di alcuna violazione della disciplina di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, che presiede all’esercizio del potere di autotutela, atteso che la sentenza del Giudice di primo grado di accoglimento del ricorso per annullamento proposto avverso il provvedimento di annullamento-di-ufficio del precedente permesso di costruire in variante avrebbe integrato un giudicato fondato sul rilievo del difetto di motivazione dell’atto di ritiro dello stesso titolo abilitativo edilizio.
L’Amministrazione comunale appellata, pertanto, ha serbato in proprio capo il potere di rieditare – sulla base di una motivazione adeguata, che desse conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto – il provvedimento di annullamento-di-ufficio del titolo abilitativo edilizio rilasciato a seguito di successiva ed analoga istanza presentata dalla società appellante, disposto, peraltro, in ragione di ulteriori profili di illegittimità riscontrati nella realizzazione dell’organismo edilizio, quale il posizionamento del fabbricato su un’area destinata a pubblica viabilità.
L’avversato provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante rilasciato dall’Amministrazione comunale appellata, inoltre, avrebbe rinvenuto supporto, in punto di motivazione adeguata dell’atto di ritiro del titolo abilitativo edilizio, nell’interesse pubblico attuale, concreto ed autoevidente all’ordinato assetto urbanistico, assicurato dalla stabilità delle prescrizioni recate dalla pianificazione attuativa – nel caso di specie integrata da un piano di lottizzazione – nei termini della prevista viabilità, in guisa da rendere recessivo l’eventuale affidamento dell’interessato.
Tali ultimi provvedimenti, invero, involgono la materia della pianificazione urbanistica del territorio, sì che, nelle ipotesi di maggiore rilievo, l’onere motivazionale del provvedimento di ritiro di un titolo abilitativo edilizio, in quanto caratterizzato anche dalla rilevanza ed autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, possa essere soddisfatto mediante il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto ed il rinvio alle disposizioni di tutela che risultino in concreto violate, normalmente idonee ad integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico sottese all’esercizio dello ius poenitendi (cfr. Cons. Stato, A. P., 17 ottobre 2017, n. 8).
D’altra parte, l’intervento del giudicato avrebbe reso necessaria la conformazione dell’esercizio del potere amministrativo di autotutela al decisum giurisdizionale con riferimento alla inedita istanza di rilascio di un titolo abilitativo edilizio presentata dalla società appellante, che, tuttavia, non ha assolto all’onere della prova in giudizio, sulla base di indizi idonei, dell’eventuale sviamento del potere di annullamento-di-ufficio.
Il Collegio, pertanto, disattesi i motivi di gravame della sentenza di primo grado in punto di motivazione inadeguata del provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante, rileva, con riferimento alla censura della omessa fase preliminare finalizzata alla eventuale emenda del procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio, come la convalida di un atto amministrativo, disposta al fine della sua conservazione, si sottragga al fuoco del sindacato di legittimità.
Il potere di convalida, invero, attiene al merito dell’azione amministrativa – sebbene presente, in tesi, ogni elemento formale e sostanziale necessario per il suo esercizio in chiave alternativa al potere di annullamento in autotutela -, soggetto al sindacato giurisdizionale nelle sole ipotesi arbitrarietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza ovvero travisamento dei fatti nell’operato della P. A. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2016, n. 3647).
(2) La Sezione, sulla scorta della precedente giurisprudenza del Collegio, precisa in via preliminare come l’ordine di demolizione ex art. 31, comma 2 del D. P. R. n. 380/2001 rechi la natura di atto vincolato, che postula esclusivamente la sussistenza di opere abusive e giammai richiede una motivazione del concreto interesse pubblico sotteso alla ingiunzione, la cui ponderazione con l’interesse privato viene compiuta ope legis in un torno di tempo anteriore alla riscontrata sussistenza degli organismi edilizi abusivi (Cons. Stato, A. P., 17 ottobre 2017, n. 9).
La natura dell’ordine di demolizione, pertanto, esclude la necessaria preventiva comunicazione di avvio del procedimento amministrativo propedeutico all’adozione del provvedimento di ingiunzione ovvero una particolare motivazione dello stesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2799; Cons. Stato, Sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5595).
Il Collegio rileva come il principio di diritto richiamato in epigrafe importi che la mancata indicazione dell’area di sedime sulla quale insistono le opere abusivamente realizzate ed oggetto dell’ordinanza di demolizione rimasta inosservata, qualora omessa nello stesso provvedimento che dispone il ripristino dello stato dei luoghi (art. 31, comma 2, D. P. R. n. 380/2001), possa intervenire nello stesso provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale successivamente adottato (art. 31, comma 3, D. P. R. n. 380/2001) (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3728).
La mancata individuazione, nell’ordinanza che dispone la demolizione delle opere abusivamente realizzate di cui all’art. 31, comma 2 del D. P. R. n. 380/2001, dell’area oggetto di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune ex art. 31, comma 3 dello stesso T. U. Ed., invero, non integra un motivo di illegittimità del provvedimento dichiarativo dell’intervenuto effetto ablatorio.
La posizione giuridica del destinatario dell’ingiunzione, infatti, risulta tutelata mediante l’espletamento di un successivo e distinto procedimento, propedeutico all’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune delle opere abusivamente realizzate, che, peraltro, assume quale presupposto l’atto di accertamento dell’inottemperanza del responsabile dell’abuso all’ordinanza di demolizione delle opere realizzate, recante la necessaria indicazione dell’area di sedime sulla quale insistono gli organismi edilizi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 755).
Il Collegio, disattesi i restanti motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, rileva come la censura relativa all’omesso accertamento in sede giurisdizionale della reale distanza dai confini del fabbricato realizzato dalla società appellante risulti inammissibile ed infondata, atteso il riferimento ad un distinto provvedimento amministrativo oggetto di un diverso giudizio – definito, peraltro, in senso sfavorevole allo stesso operatore economico –, nonché ad una circostanza priva di rilievo.
Il provvedimento di annullamento-di-ufficio del permesso di costruire in variante, assunto dall’Amministrazione comunale appellata quale presupposto del provvedimento di ingiunzione di demolizione delle opere abusivamente realizzate, rinviene supporto autonomo e sufficiente nell’ulteriore spunto motivazionale relativo all’occupazione dell’area di sedime da destinare a strada secondo il piano di lottizzazione.
La Sezione, da ultimo, ricorda come il recente deferimento all’Adunanza Plenaria della questione di diritto inerente alla corretta interpretazione dell’art. 38 del D. P. R. n. 380/2001, importi la necessaria sospensione c. d. impropria in parte qua del giudizio, giusta l’art. 79, comma 1 c. p. a. (cfr. Cons. Stato, A. P., 15 ottobre 2014, n. 28; Cons. Stato, Sez. III, 29 novembre 2019, n. 8204; Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2016, n. 3339).
Il punto di diritto sottoposto dalla Sezione remittente al Collegio in composizione nomofilattica, invero, involge la compiuta identificazione dei vizi che, nell’ipotesi di intervento edilizio eseguito in base ad un permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, consentano il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ovvero l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria che l’art. 38 T. U. Ed. contempla quale c. d. “fiscalizzazione dell’abuso” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, ord. 11 marzo 2020, n. 1735).
Avv. Marco Bruno Fornaciari