Al fine di escludere l’esenzione dal pagamento del contributo-concessorio ex art. 17, D. P. R. 6 giugno 2001, n. 380 non è possibile operare un frazionamento dell’intervento tale da escludere la qualificazione giuridica di opere pubbliche per le strutture che ne rappresentano parte integrante e ne garantiscono la piena funzionalità, come i magazzini (1) (Cons. Stato, Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1776).
(1) L’art. 1 della L. 4 agosto 1990, n. 240, statuisce che per interporto si intende un complesso organico di strutture e servizi integrati e finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi ed in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione. Il raggruppamento, pertanto, è costituito dal complesso delle strutture organicamente avvinte alla realizzazione di piattaforme territoriali logistiche, tese a favorire la concentrazione dei flussi di trasporto delle merci mediante la razionalizzazione del territorio ed il decremento dell’impatto ambientale.
L’art. 2, comma 1, L. n. 240/1990, nella sua formulazione originaria, prevedeva, pertanto, una classificazione degli interporti in primo ovvero in secondo livello ed attribuiva al Comitato interministeriale per la programmazione economica ed i trasporti (CIPET) di cui all’art. 2, L. 15 giugno 1984, n. 245, la predisposizione, di concerto con l’attuale Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIT) e sentite le Regioni interessate, la predisposizione di uno schema di piano quinquennale degli interporti, attese le finalità di pubblico interesse immanenti alla tipologia di infrastruttura.
L’art. 3, comma 1, L. n. 240/1990, d’altra parte, affidava la realizzazione e la gestione degli interporti ad enti pubblici ed a società per azioni, anche riuniti in consorzi, mediante la previsione di un regime concessorio, cui accedesse la sottoscrizione di una convenzione, successivamente abrogato dall’art. 6, comma 3 del D. L. 1 aprile 1995, n. 98 – convertito, con modificazioni, nella L. 30 maggio 1995, n. 204 -, che ha determinato, di fatto, la “privatizzazione” di tali infrastrutture, definite dal Piano generale dei trasporti e classificate in ragione della loro rilevanza nazionale o meno in luogo della distinzione di cui alla formulazione precedente del richiamato art. 2, comma 1, L. n. 240/1990.
L’art. 24, comma 2 della L. 5 marzo 2001, n. 57, poi, ha disposto l’abrogazione delle disposizioni relative al piano quinquennale degli interporti di cui allo stesso art. 2, comma 1, L. n. 240/1990, a decorrere dalla entrata in vigore del decreto legislativo con il quale il Governo avrebbe dovuto attuare la delega conferita dal comma 1 della medesima disposizione per il riordino ed il completamento della normativa afferente la rete interportuale nazionale – parte del Sistema integrato dei trasporti (SNIT) -, ad oggi, peraltro, ancora non emanato.
Il Collegio, tuttavia, osserva come il processo di privatizzazione degli Interporti, intervenuto sul piano della gestione del raggruppamento, non ne abbia attinto la struttura fisica, che risulta funzionale al perseguimento di rilevanti interessi pubblici per la comunità, quali la concentrazione dei flussi commerciali, la promozione del trasporto multimodale con particolare riferimento alla modalità ferroviaria, la tutela dell’ecosistema, l’incremento della competitività e dell’efficienza delle imprese di trasporto e di logistica, nonché lo sviluppo di reti logistiche nazionali ed internazionali che assicurino servizi migliori al sistema produttivo.
La Sezione, pertanto, rileva come il requisito oggettivo prescritto dall’art. 17, comma 3, lett. c), D. P. R. n. 380/2001 per l’esenzione dal contributo-concessorio previsto dall’art. 16 dello stesso T. U. Ed. quale condizione per il rilascio del permesso di costruire di cui agli artt. 10 ss. permanga quante volte il titolo abilitativo edilizio richiesto abbia ad oggetto, come nella fattispecie controversa nel giudizio definito con la sentenza dedotta in rassegna, interventi di completamento di un interporto.
L’art. 17 comma 3, lett. c), D. P. R. 6 giugno 2001, n. 380 (T. U. Ed.), infatti, statuisce, in termini analoghi al previgente art. 9, comma 1, lett. f) della L. 28 gennaio 1977, n. 10, che il contributo-concessorio afferente al permesso di costruire di cui all’art. 16, D. P. R. n. 380/2001 non è dovuto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.
Lo speciale regime di gratuità contemplato dalla richiamata norma del T. U. Ed. per il rilascio del titolo abilitativo edilizio nelle ipotesi ivi enucleate soggiace, pertanto, alla necessaria sussistenza di due requisiti, di carattere oggettivo e soggettivo, che devono concorrere pari tempo e che vengono individuati nel carattere pubblico o di pubblico interesse dell’opera oggetto dell’istanza di permesso di costruire ovvero nella connotazione generale degli interessi perseguiti – in via diretta ovvero indiretta – mediante la loro fruizione, oltreché nella presenza di un ente istituzionalmente competente, in qualità di soggetto realizzatore dell’organismo edilizio.
L’esenzione del soggetto istituzionale che intervenga per l’attuazione del pubblico interesse dal contributo-concessorio, prestazione patrimoniale imposta dall’art. 16, D. P. R. n. 380/2001 quale compartecipazione del privato alla spesa pubblica necessaria per la realizzazione delle opere di urbanizzazione complementari all’intervento edilizio oggetto del permesso di costruire (cfr. art. 53 Cost.), infatti, assolve alla funzione di favorire l’esecuzione di opere che rechino un utile apporto per la collettività e, al contempo, di salvaguardare il beneficio – quale minore aggravio fiscale per gli utenti, reso possibile dalla dimidiazione dei costi di realizzazione consequenziale allo sgravio di cui all’art. 17, D. P. R. n. 380/2001 – che l’opera importa per la comunità, sulla quale graverebbe, altrimenti, il contributo-concessorio, sebbene in via indiretta.
Il Collegio, dunque, precisa come il frazionamento dell’intervento costruttivo inerente ad un interporto non possa escludere la medesima qualificazione giuridica di opera pubblica o di pubblico interesse, presupposto dell’esenzione dalla prestazione del contributo-concessorio ex art. 17, D. P. R. n. 380/2001, per le strutture – quali i magazzini per la logistica – che contribuiscono ad integrare la configurazione del raggruppamento quale complesso organico di strutture non scindibile e ne garantiscono la piena funzionalità in un rapporto di strumentalità rispetto al resto degli interventi concernenti l’infrastruttura.
L’implementazione dei lavori di completamento di un interporto che avvenga in esecuzione di una concessione ex art. 37 della L. 11 febbraio 1994, n. 109, inoltre, importa che le prestazioni progettuali, finanziarie, realizzative e gestionali – in disparte la natura commerciale o meno che possano assumere in una considerazione parcellizzata ed in ottiche settoriali – risultino funzionalizzate al pubblico interesse mediante il perseguimento delle condizioni economico-finanziarie necessarie per la realizzazione e la successiva necessaria gestione dell’opera di pubblica utilità.
La Sezione, pertanto, precisa come il richiamato requisito soggettivo, richiesto dall’art. 17, comma 3, lett. c), D. P. R. n. 380/2001 per la configurazione dell’esenzione del contributo-concessorio prescritto dall’art. 16 dello stesso T. U. Ed., risulti integrato, altresì, quante volte le opere assentite con il rilascio del permesso di costruire ed afferenti all’esercizio dell’attività in concessione risultino realizzate dai soggetti concessionari della P. A. (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 13 maggio 2019, n. 3054; Cons. Stato, Sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5356; Cons. Stato, Sez. V, 7 maggio 2013, n. 2467; Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2011, n. 1332).
La giurisprudenza di legittimità richiamata dal Collegio, infatti, ha chiarito come l’istituto della concessione di opera pubblica, al quale risulta assimilata la figura della finanza di progetto (c. d. project financing) ex art. 183, D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, sia caratterizzato dal trasferimento, in tutto o in parte, al concessionario delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente e necessarie per la realizzazione dell’opera, atteso che il concedente, di regola, non detiene alcun potere di ingerenza su di essa e conserva esclusivamente un potere di controllo, nell’interesse pubblico, i cui effetti si esauriscono nel rapporto con il concessionario (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 3 aprile 2003, n. 5123).
Avv. Marco Bruno Fornaciari