E’ illegittima la risoluzione di una convenzione-urbanistica per l’edificazione di un edificio da adibire a Centro di cultura islamico che sia stata disposta per mancanza di bilanciamento tra la gravità dell’inadempimento all’obbligo di pagare una certa somma per opere di urbanizzazione e la finalità della convenzione di garantire il libero esercizio del culto (Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2019, n. 8328).
Il Collegio richiama in primo luogo la sentenza n. 16 del 1963, con la quale la Corte costituzionale ha precisato come la convenzione-urbanistica prevista dall’art. 70, comma 2 ter della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, necessaria nella fase di applicazione della normativa in questione da parte del Comune, debba essere ispirata alla finalità, tipicamente urbanistica, di assicurare lo sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitati.
Nella concreta applicazione delle previsioni della convenzione-urbanistica, il Comune dovrà in ogni caso specificamente considerare se – tra gli strumenti che la disciplina urbanistica mette a disposizione per l’ipotesi di mancato rispetto da parte dell’ente delle stipulazioni e tra le quali la disposizione de qua annovera la risoluzione o la revoca della convenzione – non ve ne siano altri, ugualmente idonei a salvaguardare gli interessi pubblici rilevanti, ma meno pregiudizievoli per la libertà di culto, il cui esercizio rinviene nella disponibilità di luoghi dedicati una condizione essenziale.
Il difetto della ponderazione di tutti gli interessi coinvolti potrà essere sindacato nelle sedi competenti, con lo scrupolo richiesto dal rango costituzionale degli interessi attinenti alla libertà religiosa.
La disposizione in questione, così interpretata, si presta a soddisfare il principio e il test di proporzionalità, che impongono di valutare se la norma oggetto di scrutinio, potenzialmente limitativa di un diritto fondamentale, quale è la libertà di culto, sia necessaria ed idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva di applicare sempre quella meno restrittiva dei diritti individuali ed imponga sacrifici non eccedenti quanto necessario per assicurare il perseguimento degli interessi ad essi contrapposti.
In altri termini, l’Ente locale non può interpretare le convenzioni ex art. 70, comma 2 ter, come se si trattasse di una qualunque convenzione-urbanistica, ma – come detto – deve valutare, e di conseguenza motivare, se gli inadempimenti addotti debbano necessariamente comportare la risoluzione, la revoca o la decadenza o se non siano utilizzabili diversi strumenti, meno lesivi per la libertà di culto.
Avv. Marco Bruno Fornaciari