La recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 4123/2021 ci offre l’opportunità di soffermare l’attenzione sulla disciplina del Daspo (acronimo di “divieto di accedere alle manifestazioni sportive”).
L’istituto in esame ha natura di atto amministrativo (specificamente, di provvedimento inibitorio) e trova la sua disciplina nella legge n. 401/1989, adottata all’indomani dei numerosi fenomeni di violenza legati allo svolgimento delle manifestazioni sportive e, in particolare, dei tragici eventi di Bruxelles verificatisi in occasione della finale di Coppa dei Campioni Juventus – Liverpool, in cui persero la vita ben 39 persone.
Destinatari della misura possono essere diversi soggetti e, segnatamente, ai sensi dell’art. 6 della richiamata legge: a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza; b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lettera a), nonché coloro i quali, nei cinque anni precedenti, siano stati denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, per una serie di delitti contro l’ordine pubblico, in materia di criminalità organizzata ed ulteriori fattispecie criminose tassativamente previste dal legislatore.
Con il Daspo il Questore preclude ad un soggetto ritenuto pericoloso (anche se minorenne, ma ultraquattordicenne), per un periodo che va da uno a cinque anni (che possono arrivare a otto nei casi più gravi), l’accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive, ferma, altresì, la possibilità di obbligarlo a presentarsi presso gli uffici di polizia durante lo svolgimento degli incontri. In quest’ultimo caso, però, in ragione della maggiore afflittività della misura (idonea ad incidere sulla libertà personale dell’individuo) è necessario che il provvedimento sia anche convalidato dal G.I.P. nelle 48 ore successive alla notifica del medesimo.
Tralasciando questa seconda ipotesi, nella presente sede appare interessante cercare di comprendere quali siano, secondo la giurisprudenza amministrativa, le condotte rilevanti per l’emanazione del Daspo.
Con la sentenza in esame, i Giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che “è legittimo il provvedimento di Daspo inflitto per minacce all’arbitro durante un allenamento calcistico, potendo l’allenamento rientrare nella “manifestazione sportiva”.
Nel caso di specie, in particolare, il giudice amministrativo, pur segnalando la presenza di orientamenti diversi di alcuni giudici penali, prendendo le mosse dal dato normativo, ha precisato che le condotte legittimanti l’adozione del provvedimento inibitorio di che trattasi non sono esclusivamente quelle commesse “in occasione di una manifestazione sportiva” (e quindi, fondamentalmente, durante la partita), ma anche quelle verificatesi “a causa” della manifestazione sportiva e, dunque, anche in un momento antecedente o successivo alla stessa, purché, però, avvinte da un rapporto di diretta causalità con la manifestazione medesima.
Ed infatti, la ratio dell’istituto in esame è quella di prevenire il verificarsi di episodi di violenza che possano mettere in pericolo l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica pur quando non strettamente connessi all’incontro sportivo in sé, ma comunque espressione di un’insana rivalità tra tifosi, ben lontana dai concetti di sport e fair play.
In questo contesto, quindi, secondo il Consiglio di Stato, ben si collocano gli episodi di violenza verificatisi durante un allenamento o in circostanze analoghe.
Con un’altra recentissima pronuncia, invero, lo stesso giudice ha ritenuto la legittimità del Daspo adottato nei confronti di alcuni tifosi per condotte violente dagli stessi tenuti (paradossalmente) in seguito alla commemorazione svoltasi in onore delle vittime dello stadio di Bruxelles, posto che, anche in quel caso, pur non trattandosi di “competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)”, lo scontro verificatosi era comunque connesso alla “competizione” e alla rivalità tra le tifoserie protagoniste del campionato.
D’altronde, come correttamente è stato rilevato dalla giurisprudenza, diversamente opinando si giungerebbe all’illogica conclusione per cui resterebbero immuni da sanzione tutti quegli episodi comunque espressivi di una visione distorta e patologica della competizione ed altrettanto lesivi dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, ma apparentemente non rilevanti semplicemente perché non avvenuti nell’immediatezza dell’evento sportivo.
Analogamente, affinché l’irrogazione della misura in esame sia legittima non è necessario che la condotta del tifoso sia effettivamente rilevante sotto il profilo penale, potendosi la stessa estrinsecare in un fatto non punibile perché (eventualmente) di particolare tenuità.
Difatti, fermo l’accertamento del dato storico, le valutazioni delle stesse circostanze fattuali compiute dal giudice penale e dall’autorità amministrativa sono tra loro autonome e non condizionate, oltre che finalizzate alla tutela di beni e interessi pubblici diversi.
In conclusione, quindi, ciò che rileva ai fini dell’adozione del Daspo è l’idoneità della condotta tenuta in occasione o a causa di una manifestazione sportiva ad offendere in modo chiaro ed univoco interessi meritevoli di tutela giuridica quali, appunto, l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini.
Avv. Agnese Notarangelo