E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la corretta interpretazione dell’art. 38, T. U. 6 giugno 2001, n. 380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si chiama ” fiscalizzazione-dell’-abuso “ (1) (Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2020, n.1735).
L’ordinanza con la quale la Sezione remittente ha deferito all’Adunanza Plenaria del Collegio la questione di diritto richiamata in epigrafe interviene nel giudizio di appello introdotto con ricorso interposto avverso la sentenza del T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 17 gennaio 2019, n. 98 che aveva accolto il ricorso per ottemperanza della sentenza resa dal Collegio nel giudizio instaurato dalla controinteressata per l’annullamento del permesso di costruire rilasciato dall’Amministrazione comunale agli odierni appellanti per l’esecuzione di interventi edilizi di modifica sul bene immobile di loro proprietà (T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 27 aprile 2016, n. 813) (confermata da Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1725).
Successivamente all’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo edilizio, l’Amministrazione comunale appellata avviava un procedimento amministrativo all’esito del quale comminava agli appellanti, proprietari titolari del permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38 del D. P. R. n. 380/2001 (T. U. Ed.) – la cui liquidazione era rimessa ad un successivo accordo con l’Agenzia delle Entrate – ed ordinava, al contempo, la demolizione della porzione dell’immobile oggetto di ampliamento, nonché del volume interrato ad essa sottostante, realizzati in esecuzione del titolo abilitativo edilizio già rilasciato.
L’art. 38, commi 1 e 2, D. P. R. n. 380/2001, infatti, dispone che, in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria, la cui corresponsione integrale produce i medesimi effetti del permesso di costruire di cui all’art. 36 T. U. Ed., pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale (c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso).
L’Amministrazione comunale, pertanto, non riteneva possibile rieditare l’esercizio del potere di emissione del permesso di costruire – previa emenda dei vizi procedimentali che avevano determinato l’annullamento in sede giurisdizionale del titolo edilizio – ovvero disporre la restituzione in pristino dello stato dei luoghi, in ragione della collocazione originaria dell’organismo edilizio oggetto del permesso di costruire all’interno della fascia di rispetto inedificabile di un torrente, a rischio esondazione, nonché all’interno della zona terminale di una frana attiva, censita dalla Carta dei vincoli dello strumento urbanistico e che già in passato aveva posto a rischio il fabbricato.
Avverso tale provvedimento insorgevano con due distinti ricorsi, qualificati in principalità come ricorsi per ottemperanza della sentenza T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 27 aprile 2016, n. 813, l’originaria ricorrente, che sosteneva come la corretta esecuzione del dictum giurisdizionale avrebbe reso necessario disporre la demolizione integrale del manufatto edilizio complessivamente realizzato; ed i proprietari ed originari intestatari del permesso di costruire, odierni appellanti, che instavano per l’annullamento del provvedimento gravato nella parte in cui disponeva la demolizione della porzione di immobile oggetto di ampliamento, attesa la possibilità di conservarlo contro il pagamento di una sanzione ulteriore.
Con sentenza T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 17 gennaio 2019, n. 98, il Giudice del’ottemperanza, previa riunione dei ricorsi ex art. 70 c. p. a., accoglieva le censure formulate dall’originaria ricorrente e controinteressata, dichiarava la nullità del provvedimento adottato dall’Amministrazione comunale successivamente all’annullamento del permesso di costruire disposto in sede giurisdizionale, nonché di tutti gli atti consequenziali ed ordinava al Comune di eseguire la sentenza da ottemperare mediante la demolizione dell’intero manufatto.
Gli odierni appellanti, dunque, interponevano ricorso in appello contro la pronuncia di ottemperanza, mediante la deduzione di cinque censure, articolate in quattro distinti motivi di gravame, con i quali sostenevano, segnatamente, la razionalità e la correttezza delle scelte compiute dall’Amministrazione mediante l’applicazione, con riferimento all’organismo edilizio originario, della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso, espressione di un potere sostanzialmente discrezionale assegnato all’Autorità da una norma speciale di favore rispetto all’ordinario regime di repressione degli abusi edilizi, quale l’art. 38, D. P. R. n. 380/2001.
Al contempo, parte appellante deduceva come la demolizione della porzione di immobile di loro proprietà, oggetto degli interventi di ampliamento, avrebbe richiesto la valutazione di ragioni diverse dalla ritenuta assenza di pregiudizio recato dalla ingiunzione alla restante parte dell’immobile, atteso che la valutazione rimessa all’Amministrazione dal disposto dell’art. 38, D. P. R. n. 380/2001 si ispirerebbe a ragioni di opportunità e di non aggravio economico eccessivo sul proprietario.
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La Sezione richiama in primo luogo i distinti orientamenti registrati nella giurisprudenza in ordine all’interpretazione della norma di cui all’art. 38, D. P. R. n. 380/2001 – disposizione che riproduce sostanzialmente il testo del previgente ed analogo art. 11 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, sebbene il riferimento alla diversa denominazione ratione temporis del titolo edilizio maggiore –, che rendono necessario il deferimento all’Adunanza Plenaria della questione giuridica richiamata in epigrafe, al fine di consentirne la corretta ermeneusi.
Secondo un primo indirizzo pretorio, l’annullamento del permesso di costruire in sede giurisdizionale importerebbe comunque in capo all’Amministrazione il dovere di applicare la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, D. P. R. n. 380/2001, quale fiscalizzazione-dell’abuso edilizio, in luogo della restituzione in pristino dello stato dei luoghi, quante volte la caducazione del titolo abilitativo edilizio sia intervenuto in ragione di vizi sostanziali non emendabili, giammai per soli vizi formali afferenti al procedimento propedeutico al suo rilascio.
Il richiamo ai “vizi delle procedure amministrative” recato dall’art. 38 T. U. Ed., infatti, non esaurisce le ipotesi nelle quali è consentita l’applicazione della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso, ma sarebbe applicabile anche nelle fattispecie nelle quali l’Amministrazione ritenga che la rimessione in pristino dello stato dei luoghi non sia possibile successivamente all’annullamento in sede giurisdizionale del titolo abilitativo edilizio (Cons. Stato, Sez. VI, 19 luglio 2019, n. 5089).
La valutazione rimessa all’Autorità amministrativa dall’art. 38 del D. P. R. n. 380/2001, in particolare, quale esercizio di un potere discrezionale, dovrebbe essere informata a ragioni di equità o anche soltanto di mera opportunità, che ostino alla demolizione dell’opera edilizia già assentita, in guisa da configurare una particolare ipotesi di condono di costruzione nella sostanza abusiva, quale rimedio a tutela dell’affidamento maturato nella sfera giuridica del privato in ordine alla conservazione dell’opera realizzata sulla base di un permesso di costruire rilasciato e successivamente caducato in sede giurisdizionale.
L’art. 38 del D. P. R. n. 380/2001 rappresenterebbe una “speciale norma di favore”, in ragione della quale il previo rilascio del permesso di costruire contribuirebbe comunque a differenziare sensibilmente la posizione dell’interessato che abbia realizzato l’opera divenuta abusiva soltanto in seguito al sopravvenuto dictum giurisdizionale di annullamento del titolo edilizio rispetto a coloro che abbiano espletato un intervento edilizio non assistito da titolo abilitativo alcuno (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 novembre 2018, n., 6753).
Una diversa ricostruzione ermeneutica, che rinviene conferma nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 11 giugno 2010, n. 209), ammette, peraltro, l’applicabilità dell’istituto della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso edilizio nelle sole fattispecie di annullamento giurisdizionale del permesso di costruire per vizi formali o procedurali non emendabili, posto che in ogni altra ipotesi di illecito edilizio graverebbe in capo all’Amministrazione l’obbligo di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2016, n. 1861; Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535).
Un orientamento intermedio, infine, ritiene che la c. d. fiscalizzazione-dell’abuso edilizio, quale commutazione della restituzione in pristino con la sanzione pecuniaria ex art. 38, D. P. R. n. 380/2001, sarebbe possibile nelle ipotesi di annullamento giurisdizionale del permesso di costruire non soltanto in ragione di vizi relativi al procedimento amministrativo propedeutico all’emissione del titolo edilizio, ma anche per vizi sostanziali emendabili (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4221; Cons. Stato, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2355, Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4923).
L’istituto della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso, pertanto, non integrerebbe una sanatoria edilizia, che verrebbe meno con le opportune modifiche apportate al progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, resa possibile senza il previo accertamento della c. d. doppia conformità prescritta dall’art. 36, comma 1 del D. P. R. n. 380/2001 per l’emissione del permesso di costruire in sanatoria.
Il Collegio precisa come i distinti orientamenti giurisprudenziali richiamati, sebbene difformi nelle conclusioni alle quali pervengono in ordine all’ammissibilità della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso edilizio, muovano da premesse teoriche comuni, quali l’assenza di un particolare affidamento in capo all’interessato, che abbia edificato l’opera sulla base di un permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, rispetto al privato che abbia realizzato l’organismo edilizio senza titolo alcuno.
L’ipotesi della caducazione in sede giurisdizionale di un permesso di costruire, all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre, infatti, integra, diversamente dall’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo ex art. 21-nonies della L. n. 241/1990, un rischio ed un pericolo immanente alla realizzazione dell’intervento edilizio assentito, in guisa da impedire la configurazione di un affidamento legittimo nella sfera giuridica del privato, peraltro estraneo all’oggetto del sindacato giurisdizionale, limitato allo scrutinio della domanda proposta.
Secondo l’indirizzo teorico comune, inoltre, sebbene il giudicato di annullamento di un permesso di costruire sia vincolante erga omnes, il legislatore, mediante l’istituto della c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso di cui all’art. 38, D. P. R. n. 380/2001, avrebbe coniato un “potere nuovo” rispetto alla emissione del titolo edilizio, in guisa da contemperare l’esigenza di assicurare la necessaria osservanza al dictum giurisdizionale con la necessità di attendere ad “un assetto della fattispecie diversificato” da quello divisato in sede giudiziale, sebbene “non in contrasto con quest’ultimo” (cfr. Cons. Stato n. 4355/2014)
L’orientamento di maggior favore, tuttavia, ritiene che il riferimento recato dall’art. 38, D. P. R. n. 380/2001 ai vizi del procedimento propedeutico al rilascio del permesso di costruire ed alla impossibilità di disporre la rimessione in pristino dello stato dei luoghi mediante ingiunzione di demolizione configuri del pari due presupposti alternativi della sanatoria di un illecito edilizio mediante la c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso, intesa quale esito normale dell’annullamento giurisdizionale del titolo abilitativo, in omaggio alle esigenze di tutela della buona fede che informano l’ordinamento giuridico (cfr. art. 2 Cost. ed art. 1175 c. c.).
Diversamente, alla stregua dell’indirizzo restrittivo e di quello intermedio – alla cui impostazione aderisce la Sezione remittente – il ricorso alla c. d. fiscalizzazione-dell’-abuso edilizio di cui all’art. 38, D. P. R. n. 380/2001 in ogni ipotesi di illecito sopravvenuto in ragione della caducazione giurisdizionale dell’originario permesso di costruire potrebbe ledere l’affidamento nella stabilità della disciplina giuridica della fattispecie maturato dal terzo controinteressato che abbia impugnato il titolo edilizio – che risulterebbe privato del suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (art. 24, comma 1 Cost. ed art. 1 c. p. a.) – e non sarebbe conforme al principio di separazione tra la funzione giurisdizionale e quella amministrativa, come ricavato dall’art. 102 Cost.
Avv. Marco Bruno Fornaciari