Cass., S. U., 17 settembre 2019, n. 23102
Nella pronuncia dedotta in epigrafe, il Collegio, nella sua composizione nomofilattica, ricorda come la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato il principio, richiamato anche dalla sentenza impugnata, secondo cui, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e 191 del 2006, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie promosse in epoca successiva al 10 agosto 2000, aventi ad oggetto occupazioni illegittime preordinate all’espropriazione e realizzate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile come tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, e ciò anche nel caso in cui l’ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonché la sua irreversibile trasformazione, siano avvenute senza alcun titolo che le consentisse, ovvero nonostante il venir meno di detto titolo.
La predetta giurisdizione non trova giustificazione in ragione nell’idoneità della dichiarazione di pubblica utilità a determinare l’affievolimento del diritto di proprietà, e quindi nella configurabilità della posizione giuridica del proprietario come interesse legittimo, ma nella riconducibilità della fattispecie alla materia urbanistico-edilizia, come definita dall’art. 7, comma 1, lett. b), l. 21 luglio 2000, n. 205, in virtù della quale spettano alla cognizione del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere da parte della Pubblica Amministrazione, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest’ultima, nonché la natura (restitutoria o risarcitoria) della pretesa avanzata; essa si estende quindi a tutte le ipotesi in cui l’esercizio del potere si è manifestato con l’adozione della dichiarazione di pubblica utilità, anche se poi quest’ultima sia stata annullata da parte della stessa autorità amministrativa che l’ha emessa o dal giudice amministrativo, oppure la sua efficacia sia altrimenti venuta meno, o ancora l’apprensione e/o l’irreversibile trasformazione del fondo abbiano avuto luogo in assenza di titolo o in virtù di un titolo a sua volta caducato.
Il Collegio rileva, inoltre, come al pari dell’occupazione realizzata in virtù di una dichiarazione di pubblica utilità illegittima o inefficace, anche l’occupazione di superfici eccedenti quelle indicate nel provvedimento ablatorio costituisce espressione di un potere autoritativo preordinato o comunque connesso allo esproprio, il cui sindacato, ancorché denunciato quale lesivo di diritti soggettivi, compete in via esclusiva al giudice amministrativo.
In definitiva, la circostanza che l’occupazione e la trasformazione irreversibile del fondo di proprietà degli attori abbiano avuto luogo in virtù della delibera di approvazione del progetto di un’opera, cui la legge attribuisce efficacia di dichiarazione di pubblica utilità, deve considerarsi sufficiente, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come riformulato dall’art. 7, comma 1, lett. b), l. n. 205 del 2000, ai fini della devoluzione della domanda di risarcimento dei danni alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di un comportamento riconducibile all’esercizio di un pubblico potere, indipendentemente dall’intervenuto annullamento o dalla sopravvenuta efficacia del titolo legittimante l’espropriazione.
Avv. Marco Bruno Fornaciari