L’impresa colpita da informazione-antimafia-interdittiva può stipulare contratti con i privati, essendo i limiti introdotti dell’art. 89, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 applicabili solo quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. III, 20 gennaio 2020, n. 452).
Con la pronuncia di cui agli estremi dedotti in epigrafe, il Collegio accoglie il gravame proposto avverso la sentenza del giudice di prime cure, che aveva rigettato l’impugnazione del provvedimento con il quale l’UTG di Brescia – su richiesta da Confindustria Venezia ed in virtù di un Protocollo di legalità sottoscritto tra la Confederazione degli industriali ed il Ministero dell’Interno – aveva emesso l’informazione-antimafia-interdittiva a carico dell’operatore economico ricorrente.
L’impresa attinta dalla misura inibitoria, infatti, aveva invocato l’attivazione di detto Protocollo mediante l’espletamento delle verifiche antimafia ivi contemplate sui propri fornitori, sebbene non aderenti all’accordo ed in funzione della stipula con questi ultimi di un contratto estraneo a qualsiasi procedimento o provvedimento pubblico.
Il Collegio chiarisce in primo luogo come la natura pubblicistica dei soggetti, individuati dall’art. 83, comma 1 del d. lgs. n. 159 del 2011, in capo ai quali grava esclusivamente l’obbligo di acquisire la documentazione di cui all’art. 84 del c. d. Codice delle leggi antimafia – peraltro utile nei soli rapporti tra P. A. e privato, giammai nei rapporti tra privati – costituisca espressione della voluntas legis.
L’impostazione non collide con la giurisprudenza della Sezione, che ha affermato l’applicabilità dell’informazione-antimafia-interdittiva anche ai provvedimenti autorizzatori ed alle attività soggette a s.c.i.a., giusta il disposto dell’art. 89, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 159 del 2011, alla stregua di una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, in ragione del quale è ravvisabile un rapporto tra amministrato ed amministrazione in ogni ipotesi di attività economica sottoposta ad attività provvedimentale.
Tale conclusione risulta confermata dal disposto dell’art. 87 del d.lgs. n. 159 del 2011, che – nella versione attuale, recata dalla novella di cui al d.lgs. n. 218 del 2012 – non contempla più la legittimazione a chiedere il rilascio della comunicazione antimafia in capo ai soggetti privati, in termini consonanti con l’osservanza dell’art. 41, comma 1 Cost. – che riconosce l’iniziativa economica privata quale libera – ma in guisa difforme rispetto alla trama intessuta dal d.lgs. n. 159 del 2011.
La ratio legis del Codice delle leggi antimafia – individuata nella necessità di isolare le imprese contigue agli ambienti della criminalità organizzata mediante l’esclusione dal settore economico pubblico e dai finanziamenti pubblici – risulta compromessa, infatti, dalla possibilità di operare nel settore privato – nel quale risulta più accentuata a fortiori la capacità persuasiva delle consorterie criminali – residuata in capo agli operatori economici attinti dalla documentazione antimafia in quanto ritenuti dall’Autorità prefettizia competente “più probabilmente che non” collusi o in contatto con le mafie.
Ad avviso della Sezione, pertanto, occorre valutare il recupero della formulazione originaria del Codice delle leggi antimafia, in modo da consentire il rilascio dell’informazione-antimafia-interdittiva anche su richiesta di un soggetto privato ed anche nei rapporti intercorrenti esclusivamente tra privati, in presenza di elementi sintomatici idonei a suffragare l’influenza, anche indiretta, delle organizzazioni criminali sull’attività di impresa, nella duplice veste della c. d. contiguità soggiacente o della c. d. contiguità compiacente.
Le condotte mafiose che tentano di permeare il tessuto economico nazionale, quindi, non integrano soltanto un pericolo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma insidiano anzitutto e soprattutto il rispetto del principio personalistico di cui all’art. 2 Cost., che deve informare anche l’esercizio dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e che viene rinnegato ab imis dalle organizzazioni criminali, attive nel perseguimento a danno dello Stato di un interesse economico comune o convergente con le imprese oggetto del condizionamento o dell’influenza mafiosi.
Il Collegio, infatti, precisa come nella dignità della persona – principio supremo dell’ordinamento nazionale e limite immanente alla stessa attività di impresa, giusta l’art. 41, comma 2 Cost. – è dato rinvenire il fondamento autentico della legislazione antimafia, il cui ripristino nella versione anteriore alla novella recata dal d.lgs. n. 218 del 2012 potrebbe assicurare il contemperamento dei contrapposti valori in gioco della libertà di impresa, da un lato, e, dall’altro, della tutela dei diritti fondamentali che presidiano il principio di legalità sostanziale, alla stregua della logica della prevenzione.
Avv. Marco Bruno Fornaciari