In tema di informazione-antimafia-interdittiva, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della Legge 13 agosto 2010, n.136), sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione dal Tribunale ordinario di Palermo (1) (Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57).
La Commissione provinciale per l’artigianato territorialmente competente disponeva la cancellazione dall’Albo delle imprese artigiane della ditta nella titolarità di parte ricorrente nel giudizio a quo, instaurato in sede di impugnazione avverso il silenzio-rigetto serbato dalla Commissione regionale per l’artigianato quale Amministrazione competente a conoscere del ricorso gerarchico proposto per l’annullamento dei provvedimenti di iscrizione, modificazione e cancellazione negli Albi, giusta l’art. 7, commi 5 e 6 della L. n. 443/1985.
La misura inibitoria era stata adottata dall’organismo pubblico in ragione dell’informazione-antimafia-interdittiva, che aveva attinto l’impresa interessata, ai sensi dell’art. 89-bis del D.Lgs. n. 159/2011 (c. d. Codice antimafia), oggetto delle questioni di legittimità costituzionale deferite dal Giudice a quo.
Nel caso di specie, le verifiche nella banca dati nazionale unica di cui agli artt. 96 ss. del Codice, espletate dalla Prefettura territorialmente competente in sede di rilascio della comunicazione di cui agli artt. 87 ss., avrebbero accertato, invero, la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’organizzazione e negli indirizzi dell’operatore economico.
Tale positivo riscontro, dunque, unitamente alla sussistenza di un provvedimento definitivo di applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al Libro I, Titolo I, Capo II, avrebbero determinato la decadenza di diritto dell’impresa dall’iscrizione predetta, preclusa ai soggetti prevenuti dal disposto dell’art. 67, comma 1 dello stesso Codice (art. 67, comma 2, D.Lgs. n. 159/2011).
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha ritenuto come il carattere pervasivo e l’attitudine lesiva dell’infiltrazione mafiosa nell’economia importino l’applicazione dell’informazione-antimafia-interdittiva di cui agli artt. 90 ss. del D.Lgs. n. 159/2011 al settore delle attività soggette a mera autorizzazione – oggetto della norma vetitoria e delle cause di decadenza di cui al richiamato art. 67 del Codice antimafia – sebbene tradizionalmente inciso dalle comunicazioni di cui agli artt. 87 ss.
Anche in tali fattispecie, invero, il vulnus al principio concorrenziale che presiede all’esercizio dell’attività di impresa, nonché il pregiudizio all’ordine pubblico economico ed alla sicurezza nazionale, recati dalla permeazione delle consorterie criminali nell’economia legale, renderebbero ragione dell’elisione ab imis della libertà di iniziativa economica privata, assicurata dalla guarentigia di cui all’art. 41 Cost., in luogo della preclusione dei rapporti negoziali con la P. A.
La giurisprudenza costituzionale, peraltro, ha già precisato come l’art. 89-bis del D.Lgs. n. 159/2011 – legittimo in punto di osservanza dei principi e criteri direttivi determinati dal Parlamento ex art. 76 Cost. mediante gli artt. 1 e 2 della L. n. 136/2010 – risulti anche conforme al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
L’adozione dell’informazione-antimafia-interdittiva di cui alla norma censurata, infatti, configura la necessaria reazione dell’ordinamento ad una situazione di estrema gravità – quale l’infiltrazione mafiosa nel circuito dell’economia legale, oltre che nei rapporti contrattuali con la P. A. – in uno al riscontro di una precedente informazione-antimafia-interdittiva, intervenuto in sede di rilascio della comunicazione di cui agli artt. 84 ss., richiesta per l’adozione dei provvedimenti contemplati dall’art. 67 del D.Lgs. n. 159/2011 (Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 4).
Il Giudice a quo, peraltro, assumeva che l’assimilazione degli effetti che assistono un atto di natura amministrativa, quale l’informazione-antimafia-interdittiva di cui agli artt. 89-bis e 90 ss. del D.Lgs. n. 159/2011, alle conseguenze di una misura di prevenzione personale disposta con provvedimento giurisdizionale definitivo, contemplate dall’art. 67 dello stesso Codice antimafia sub specie di divieto generalizzato di ottenere tutti i provvedimenti autorizzatori ivi previsti e quale causa di decadenza di quelli eventualmente già ottenuti, risultasse non ragionevole in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
La sussunzione nella sfera di incidenza dell’inibitoria e vieppiù nella sfera della decadenza dell’intera gamma dei provvedimenti previsti dall’art. 67 del D.Lgs. n. 159/2011 – ivi compresi quelli che integrano un mero presupposto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale privata, lungi dalla configurazione di alcun rapporto con la P. A. e da alcun impatto su beni ed interessi pubblici – non sarebbe conforme alle richiamate guarentigie costituzionali.
In tali fattispecie, inoltre, la pretermissione dell’operatore economico dal circuito dell’economia legale ne importerebbe la collocazione in una posizione finanche deteriore rispetto al destinatario di una misura di prevenzione disposta con un provvedimento giurisdizionale definitivo, attesa la norma derogatoria di cui all’art. 67, comma 5 del D.Lgs. n. 159/2011, che costituisce uno degli indici normativi sui quali il Giudice remittente ha fondato in chiave sistematica i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis e, in via consequenziale, dell’art. 92, commi 3 e 4 del Codice antimafia.
L’applicazione dell’esimente dell’operatore economico dai divieti e dalle decadenze previsti dai commi precedenti dell’art. 67, quante volte la loro applicazione priverebbe il soggetto interessato di mezzi di sostentamento, infatti, risulta preclusa all’Autorità prefettizia competente in sede di adozione dell’informazione-antimafia-interdittiva di cui all’art. 89-bis del D.Lgs. n. 159/2011.
La norma del Codice antimafia censurata con le questioni di legittimità costituzionale, inoltre, sarebbe risultata non coerente con il paradigma legislativo dell’informazione-antimafia-interdittiva, che prevede l’efficacia immediata del provvedimento inibitorio, giammai subordinata al carattere definitivo della misura interdittiva, come prescritto, invero, dalla norma censurata del Codice antimafia.
Il Giudice remittente, da ultimo, rilevava come la l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, onde identificare, in conformità alle acquisizioni della giurisprudenza costituzionale, le ipotesi e le condizioni nelle quali il legislatore delegato abbia inteso attribuire all’informazione-antimafia-interdittiva, gli effetti della comunicazione di cui agli artt. 87 ss. del Codice, risultasse preclusa dalla richiamata giurisprudenza amministrativa (cfr. Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 4)
Il Collegio, pertanto, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 89, comma 1 e 92, commi 1 e 2 del D.Lgs. 159/2011, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui non escludono dai divieti e dalle decadenze conseguenti all’informazione-antimafia-interdittiva i provvedimenti previsti dall’art. 67 del medesimo decreto, che siano mero presupposto dell’esercizio del diritto di iniziativa economica privata (Trib. Palermo, ord. 10 maggio 2018, n. 131).
La parte del giudizio a quo, costituita nel giudizio incidentale, aderiva alla prospettazione del remittente e deduceva quale ulteriore parametro di legittimità costituzionale l’art. 117, comma 1 Cost., in relazione all’art. 2, Protocollo 4 della CEDU in riferimento alle sentenze della Corte EDU 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia e 28 giugno 2018, G. I. E. M. e a. c. Italia.
La giurisprudenza della Corte sovranazionale, infatti, ha censurato la disciplina dell’ordinamento interno in tema di misure di prevenzione, in quanto non conforme agli standards di prevedibilità ed accessibilità imposti dal principio di legalità che informa l’art. 2, Protocollo 4 della CEDU e ha richiamato il legislatore nazionale all’osservanza del principio di proporzionalità in tema di misure repressive ovvero sanzionatorie.
La Commissione provinciale per l’artigianato, del pari costituita nel giudizio ad quem, deduceva l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle q. l. c., atteso che, secondo l’attività consultiva e secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o SCIA sarebbero soggette all’informazione-antimafia-interdittiva (cfr. art. 83, comma 1, D.Lgs. n. 159/2011).
L’Avvocatura Generale dello Stato, costituita in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, che aveva spiegato intervento nel giudizio di legittimità costituzionale, rilevava come la salvaguardia dell’interesse pubblico, libero da ogni condizionamento mafioso – assunta dal Legislatore quale ratio sottesa all’istituto dell’informazione-antimafia-interdittiva – configurasse un’esigenza poziore sul piano assiologico rispetto alla stessa guarentigia che assiste la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).
(1) La Corte costituzionale – rilevata in via preliminare l’inammissibilità delle ulteriori censure formulate dalla parte privata, in quanto tese ad ampliare il thema decidendum del giudizio incidentale – rileva come il provvedimento con il quale l’Autorità prefettizia adotti un’informazione-antimafia-interdittiva importi un’anticipazione della soglia di difesa della legalità, resa necessaria dalla costante, crescente e mutevole capacità di permeazione della criminalità organizzata nell’economia nazionale.
La natura cautelare e preventiva dell’informazione-antimafia-interdittiva, adottata dall’Amministrazione sulla base di una prognosi inferenziale, è resa necessaria dal costante monitoraggio delle pratiche e dei comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori sottesi alla libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost. – la cui cognizione è oggetto di sindacato giurisdizionale – in uno all’esigenza di conoscerne le specifiche manifestazioni, individuarne e valutarne i sintomi e di approntare una reazione tempestiva dell’ordinamento (cfr. Cons. Stato, A. P., 6 aprile 2018, n. 3).
La valutazione tecnico-discrezionale in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa nell’organizzazione e negli indirizzi di gestione degli operatori economici in rapporto con la P. A., infatti, risulta vincolata all’esame di elementi fattuali soltanto in parte tipizzati dal Legislatore – quali i c. d. delitti-spia di cui all’art. 84, comma 4, lett. a) e c), D.Lgs. n. 159/2011 – ed altri ancora, c. d. a condotta libera, il cui prudente e motivato apprezzamento discrezionale residua in capo all’Autorità prefettizia territorialmente competente.
L’Amministrazione, invero, può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente ad elementi concreti ed idonei a suffragare l’apporto, anche indiretto, recato dall’attività di impresa alle attività criminose ovvero il condizionamento dell’operatore economico da parte delle consorterie criminali (art. 91, comma 6, D.Lgs. n. 159/2016) (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 aprile 2019, n. 2211; Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
Il contemperamento della libertà di impresa con la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, quali contrapposti valori costituzionali implicati dall’adozione di un’informazione-antimafia-interdittiva, peraltro, postula un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione degli elementi richiamati dall’art. 91, comma 6 del Codice antimafia, che – in uno all’accurata motivazione dei provvedimenti inibitori di cui agli artt. 89-bis e 90 ss. ed al carattere pieno ed effettivo del loro sindacato giurisdizionale – concorre ad escludere la violazione del principio di legalità sostanziale, che deve informare l’esercizio di ogni attività amministrativa (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565).
La giurisprudenza amministrativa costante ed uniforme, pertanto, ha individuato un nucleo consolidato di situazioni indiziarie, che sviluppano ed integrano le indicazioni legislative che incidono su diritti costituzionalmente protetti e configurano un sistema di tassatività sostanziale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105; Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
La fondatezza delle censure di illegittimità costituzionale dell’art. 89-bis del D.Lgs. n. 159/2011 – recante una grave limitazione della libertà d’impresa di cui all’art. 41 Cost., riveniente, peraltro, dall’adozione di un atto amministrativo in luogo dell’emissione di un provvedimento giurisdizionale – risultano infondate, quindi, in punto di asserita violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
Il recupero al mercato dell’impresa attinta da un’informazione-antimafia-interdittiva e la reiscrizione del medesimo operatore economico negli elenchi di cui all’art. 67, resi possibili dalla verifica in ordine alla persistenza o meno dei presupposti del provvedimento inibitorio, il cui esperimento è necessario alla scadenza del termine prescritto dall’art. 86, comma 5 del Codice per la validità della documentazione antimafia – contribuisce, da ultimo, alla dichiarazione di non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale deferite dal Giudice remittente.
Avv. Marco Bruno Fornaciari