Possono fondare i rapporti di informazione-antimafia-interdittiva anche i soli rapporti di parentela, laddove assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali, metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica” (1) (Cons. Stato, Sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651).
(1) Il Collegio, sulla scorta della giurisprudenza precedente della Sezione, ricorda come il rilascio di un’informazione-antimafia-interdittiva postuli, secondo la definizione recata nell’art. 84, comma 3 del D. Lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione delle associazioni di tipo mafioso (art. 416-bis c. p.) nell’organizzazione dell’operatore economico attinto dal provvedimento inibitorio, sì da condizionare le scelte e gli indirizzi della stessa società o dell’impresa interessata e da configurare una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione (cfr. Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57).
L’informazione-antimafia-interdittiva (artt. 84, comma 3 e 90 ss., D. Lgs. n. 159/2011), pertanto, integra una misura cautelare e preventiva, il cui procedimento di adozione da parte dell’Autorità prefettizia assume quale presupposto la sussistenza di una fattispecie di pericolo, che rende necessario l’esperimento da parte della stessa Amministrazione di una valutazione discrezionale secondo un ragionamento induttivo di tipo probabilistico (cfr. Cons. Stato, A. P., 6 aprile 2018, n. 3).
L’esercizio del potere discrezionale riconosciuto all’Autorità amministrativa, alla stregua del paradigma del most probable that not ed in guisa conforme al sistema della Convenzione EDU, implica, dunque, una prognosi inferenziale – sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti – piuttosto che attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, proprio dell’accertamento giurisdizionale della responsabilità penale (Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343; Cons. Stato, Sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483; Cass. pen., Sez. II, 9 luglio 2018, n. 30974).
Il riferimento ai “tentativi di infiltrazione mafiosa“, recato dal dato testuale dell’art. 84, comma 3 del Codice delle leggi antimafia, che contribuisce alla definizione dell’informazione-antimafia-interdittiva, integra, peraltro, una clausola generale ed aperta, giammai una norma in bianco ovvero una delega all’arbitrio dell’Amministrazione, imprevedibile per il cittadino ed irriducibile al sindacato giurisdizionale, anche nelle ipotesi nelle quali la prognosi inferenziale compiuta dall’Autorità prefettizia assuma alla propria base elementi riscontrati in concreto, mediante gli accertamenti disposti nelle singole fattispecie, piuttosto che su elementi “tipizzati” (art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), D. Lgs. n. 159/2011) (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).
Il pericolo di infiltrazione delle consorterie criminali nell’organizzazione di un operatore economico, invero, costituisce al contempo il fondamento ed il limite del potere riconosciuto all’Autorità prefettizia, che demarca la portata della discrezionalità amministrativa, intesa, nell’accezione più moderna e specifica, quale equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione e secondo corretti canoni di inferenza logica piuttosto che nel senso, tradizionale ed ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi (cfr. CEDU, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia).
D’altronde, anche l’ermeneusi di disposizioni legislative – pure caratterizzate da clausole generali o, comunque, da formule recanti un certo grado di imprecisione – riveniente da una giurisprudenza costante ed uniforme può assolvere alla funzione di assicurare la necessaria predeterminazione delle condizioni che legittimano la limitazione di un diritto assistito da guarentigie a livello costituzionale e convenzionale, quale la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), quante volte l’interpretazione compiuta in sede pretoria consenta al soggetto potenzialmente attinto da un provvedimento inibitorio, quale l’informazione-antimafia-interdittiva, di prevedere ragionevolmente l’applicazione della misura stessa (cfr. Corte cost., 24 luglio 2019, n. 195; Corte cost. 27 febbraio 2019, n. 24; CEDU, Sez. V, 26 novembre 2011, Gochev c. Bulgaria; CEDU, Sez. I, 4 giugno 2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; CEDU, Sez, I, 20 maggio 2020, Lelas c. Croazia).
La Sezione, d’altra parte, precisa come l’ammissibilità di soli elementi tipici, prefigurati in sede legislativa, quali presupposti nel procedimento di adozione di un’informazione-antimafia-interdittiva, condurrebbe ad un annullamento del potere discrezionale riconosciuto all’Autorità prefettizia mediante la configurazione della misura inibitoria quale provvedimento vincolato, recante un effetto deresponsabilizzante per la stessa Amministrazione ed inadeguato – in quanto fondato su automatismi o presunzioni ex lege – rispetto alla efficacia adeguatrice alla fattispecie concreta che deve necessariamente assistere la normativa nella materia de qua, attesa la significativa “adattabilità alle circostanze” dimostrata dalle consorterie criminali nel perseguimento dei propri fini illegali (Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57).
L’osservanza dei princìpi di buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97, comma 2 Cost.), nonché il principio di legalità sostanziale declinato in senso forte (art. 1, L. n. 241/1990) rendono necessario, invero, che l’Autorità prefettizia verifichi, mediante la compiuta esternazione della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, che gli elementi fattuali, anche qualora “tipizzati” in sede legislativa (art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), D. Lgs. n. 159/2011), non vengano assunti acriticamente a supporto dell’informazione-antimafia-interdittiva.
Le circostanze che supportano l’adozione del provvedimento di informazione-antimafia-interdittiva, infatti, devono risultare dotate dell’individualità, della concretezza e dell’attualità necessarie alla prognosi di permeabilità mafiosa, recante una struttura bifasica – che contempla la diagnosi dei fatti rilevanti e la prognosi di permeabilità criminale – ed assimilabile alla valutazione che compete all’organo giurisdizionale in sede penale per la disposizione di una misura di sicurezza personale in danno di un prevenuto (cfr. Cass., S. U., 4 gennaio 2018, n. 111).
Il Collegio rileva come la giurisprudenza costituzionale abbia individuato nei rapporti di parentela una tra le situazioni indiziarie idonee a supportare l’adozione di un’informazione-antimafia-interdittiva, sì da sviluppare e completare le indicazioni legislative enucleate nel Codice delle leggi antimafia e da integrare un sistema di tassatività sostanziale, quante volte assumano un’intensità tale da far ritenere una conduzione familiare ed una “regia collettiva” dell’impresa attinta dalla misura inibitoria, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica“, (Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57).
La natura, l’intensità ovvero le altre caratteristiche concrete di tali relazioni, infatti, possono assurgere – nel procedimento propedeutico all’adozione dell’informazione-antimafia-interdittiva e secondo la logica del “più probabile che non” – ad indice sintomatico di una conduzione collettiva e di una regia familiare dell’impresa interessata dal provvedimento interdittivo ovvero del condizionamento criminale delle decisioni assunte dello stesso operatore economico per il tramite della famiglia – nucleo fondante della struttura clanica della mafia – in ragione dell’instaurazione di rapporti di “influenza reciproca” non soltanto tra i soggetti affiliati al sodalizio.
Il ricorso da parte dell’Autorità prefettizia a strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze necessariamente atipici nel procedimento propedeutico al rilascio dell’informazione-antimafia-interdittiva, peraltro, è reso necessario dalla funzione alla quale assolve la misura preventiva, in quanto “frontiera avanzata” rispetto alla capacità, del pari atipica, con la quale le associazioni di tipo mafioso perseguono i propri fini illegali, di guisa che soltanto un fatto inesistente ed obiettivamente non sintomatico può limitare il perimetro valutativo dell’Amministrazione in tale materia (Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
Avv. Marco Bruno Fornaciari