Cons. Stato, Sez. II, 30 agosto 2019, n. 6000
L’ordine di demolizione di opere abusive non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che non può mai essere legittimata dai fattori rappresentati dall’appellante, ovverosia il trascorrere del tempo, la contraddittorietà con precedenti provvedimenti, azioni od omissioni dell’amministrazione, il carattere minimale dell’abuso, nonché la complessità tecnica e la gravosità economica della concreta attività demolitoria.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato la natura di atto dovuto del provvedimento di demolizione in presenza di abusivismo edilizio, sicché esso: a) deve essere adottato anche a distanza di molto tempo dall’edificazione dell’opera abusiva (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 6 settembre 2017, n. 4243); b) non necessita, come già segnalato sopra con svariati riferimenti giurisprudenziali, di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento; c) non abbisogna di particolare motivazione, in quanto atto rigorosamente vincolato dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che esso è già dotato di un adeguato e sufficiente supporto motivazionale attraverso la descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 6 febbraio 2019, n. 903).
Non rileva nemmeno la asserita sdemanializzazione tacita del suolo, atteso che a tal fine occorre la presenza di atti o fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della pubblica amministrazione di sottrarre il bene demaniale alla sua destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 23 novembre 2018, n. 6658, 28 ottobre 2013, n. 5207), non potendosi ciò desumere, come nel caso di specie, dalla mera circostanza che il bene non sia più adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 25 maggio 2018, n. 3143; Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 13 dicembre 2017, n. 5852).
Avv. Marco Bruno Fornaciari