E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120 comma 5, c. p. a. nella parte in cui fa decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi-aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79, D. Lgs. n. 163 del 2006, per contrasto con il diritto di difesa e il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., in quanto, equiparando il termine per la proposizione dei motivi-aggiunti a quello per la proposizione del ricorso, impedisce di fatto la tutela giurisdizionale della parte ricorrente avverso i vizi di legittimità del provvedimento di aggiudicazione rivelati dagli atti e dai documenti successivamente conosciuti (1) (T. A. R. Puglia – Lecce, Sez. III, ord. 2 marzo 2020, n. 297).
-
Il Collegio rileva come l’art. 120, comma 5 c. p. a. risulti non conforme al diritto di difesa enucleato nell’art. 24 Cost., in ragione del quale il legislatore ha contemplato l’istituto del ricorso per motivi-aggiunti ex art. 43 c. p. a., utile alla contestazione di atti o vizi ulteriori rispetto alle censure formulate in sede di ricorso principale e conosciuti dal ricorrente soltanto successivamente al momento di proposizione dell’atto introduttivo del giudizio, in ragione, spesse volte, del ritardato adempimento dell’obbligo di ostensione che grava sulla P. A. a fronte del diritto di accesso esercitato dall’interessato.
La norma censurata, infatti, dispone che per l’impugnazione dei provvedimenti delle procedure di affidamento (art. 119, comma 1, lett. a) c. p. a.) il ricorso, principale o incidentale ed i motivi-aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi-aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79, comma 2 D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
L’estensione del termine di trenta giorni a partire dalla comunicazione dell’aggiudicazione di cui all’art. 79, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006 anche alle ipotesi di proposizione di ricorso per motivi-aggiunti, infatti, collide con la necessaria osservanza del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva ex art. 24 Cost., che richiede di individuare il dies a quo del computo del termine di decadenza stabilito dall’art. 120, comma 5 c. p. a. nel momento in cui interviene la concreta possibilità per l’operatore economico di esercitare consapevolmente il diritto di azione.
La Sezione, pertanto, non aderisce ai distinti orientamenti registrati nella giurisprudenza al fine di mitigare la rigida applicazione della norma censurata – oggetto di una compiuta ricognizione mediante parziale richiamo testuale -, atteso che l’univoco dato letterale offerto dalla disposizione ed i definitivi effetti preclusivi decadenziali che conseguono alla sua applicazione – peraltro priva di eccezioni contemplate in sede legislativa – non fugano i forti dubbi di illegittimità costituzionale della disposizione per violazione del diritto di difesa e del principio di effettività della tutela giurisdizionale enunciati nell’art. 24 Cost.
Il Giudice a quo, più specificamente, non condivide la ricostruzione ermeneutica che identifica il riferimento nell’art. 120, comma 5 c. p. a. alla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79, D. Lgs. n. 163/2006 quale rinvio mobile all’art. 76, comma 2 del medesimo Codice dei contratti pubblici previgente, che prevede la comunicazione delle ragioni dell’aggiudicazione su istanza dell’operatore economico interessato.
Tale esegesi della norma censurata, infatti, in chiave sistematica, priverebbe l’istituto del ricorso per motivi-aggiunti della ratio legis che vi è sottesa e si porrebbe in contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici di cui all’abrogato, art. 120, comma 2-bis c. p. a., in disparte il chiaro tenore letterale della disposizione.
Il potere-dovere del Giudice di attendere ad una interpretazione costituzionalmente adeguatrice della disposizione rilevante per la definizione del giudizio a quo, quante volte sia necessario recuperare una maggiore conformità della norma alla “lettera” ed allo “spirito” della Carta fondamentale – sebbene mediante l’individuazione di un significato meno prossimo alla littera legis – non importa, infatti, la possibilità di pervenire ad una “disapplicazione” del testo normativo, che dovrà, quindi, costituire oggetto di sindacato di legittimità rimesso alla Corte costituzionale attraverso deferimento di q. l. c. (cfr. Corte cost., 22 maggio 2013, n. 91; Corte cost., 5 aprile 2012, n. 78; Corte cost., 28 gennaio 2010, n. 26).
Il carattere intangibile del dato testuale della disposizione recante profili di illegittimità costituzionale ad una ermeneusi che conduca ad una sua disapplicazione non viene meno, ugualmente, quante volte la norma contrasti al contempo con il diritto comunitario direttamente applicabile nell’ordinamento interno, in guisa da renderne necessaria l’interpretazione comunitariamente conforme e – ove il conflitto permanga successivamente all’eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE (art. 267 TFUE) – la disapplicazione, in omaggio al principio della primauté del diritto comunitario (cfr. art. 117, comma 1 Cost; Dichiarazione n. 17 allegata al Trattato di Lisbona).
Nell’ordinamento europeo, infatti, non è dato rinvenire una norma processuale self-executing che possa ricevere applicazione in luogo dell’art. 120, comma 5 c. p. a., suscettibile, pertanto, di integrare un’ipotesi di c. d. doppia pregiudizialità in ragione del contrasto con i principi di effettività del ricorso alla tutela giurisdizionale nella materia degli appalti pubblici, per come enucleati nella giurisprudenza della CGUE ed in linea con le richiamate pronunce della giurisprudenza interna (cfr., da ultimo, Corte cost. n. 20/2019 e n. 63/2019; CGUE, 8 maggio 2014, C- 161/13).
Del resto, la competenza nella definizione delle modalità processuali utili ad assicurare la contestazione delle decisioni adottate nel corso dell’espletamento della procedura ad evidenza pubblica, anche attraverso la prescrizione di esigui termini di decadenza, residua in capo alle Autorità dei singoli Stati membri, attesa l’assenza nelle Direttive ricorsi di un termine per l’adeguamento degli ordinamenti nazionali, sebbene la necessità della previsione di regole non meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi in materie analoghe o che ostino all’esercizio dei diritti riconosciuti nell’ordinamento giuridico europeo.
Avv. Marco Bruno Fornaciari