La bonifica del sito inquinato mediante esecuzione di obblighi-di-ripristino può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento (Cons. Stato, A. P., 23 ottobre 2019, n. 10).
L’Alto consesso chiarisce in primo luogo come, anche prima che nell’ordinamento giuridico venissero introdotti la bonifica ed i connessi obblighi-di-ripristino, con il più volte citato art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997, ora disciplinata dagli artt. 239 ss. del d.lgs. n. 152/2006 (c. d. Codice dell’ambiente), l’inquinamento ambientale, sulla scorta della concezione c. d. monista di ambiente sviluppata in dottrina ed assistita da riscontro nella giurisprudenza, era considerato un fatto illecito, attesa la sua avvenuta positivizzazione, in assonanza con la cifra dell’atipicità che connota l’art. 2043 c. c., mediante l’art. 18 della l. 8 luglio 1986, n. 349, ora abrogato.
L’ambiente sarebbe stato configurato quale «bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili ad unità» ed elevate a bene protetto attraverso l’azione dei pubblici poteri «imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto» (cfr. Corte cost., 31 dicembre 1987, n. 641).
Quanto alla comune funzione ripristinatoria-reintegratoria ravvisata dalla Sezione rimettente nei rapporti tra la figura dell’illecito ambientale e l’istituto della bonifica di cui agli artt. 239 ss. del vigente Codice dell’ambiente, l’art. 18, comma 4, del citato regolamento approvato con d.m. n. 471 del 1999 (ora abrogato), laddove disponeva che «E’ fatto comunque salvo l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi e di risarcimento del danno ambientale ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349», assurge ad indice di siffatta identità funzionale.
Come rilevato dalla Sezione rimettente, infatti, la bonifica costituisce in estrema sintesi «uno strumento pubblicistico teso non a monetizzare la diminuzione del relativo valore (in ciò sostanziandosi la tutela per equivalente), ma a consentirne il recupero materiale a cura e spese del responsabile della contaminazione» (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 7 maggio 2019, n. 2929).
Pertanto, diversamente da quanto affermato dalla Sezione Quinta nella sentenza del 5 dicembre 2008, n. 6055, non vi è luogo nel caso ora descritto ad alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell’illecito, ma piuttosto all’applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto, atteso il carattere permanente del danno ambientale, ovvero perdurante fintanto che persista l’inquinamento, come riconosciuto dalla pacifica giurisprudenza di legittimità.
Quanto agli obblighi risarcitori, ed in primis agli obblighi-di-ripristino ed a quelli di reintegrazione dello stato dei luoghi derivanti dal danno ambientale, nell’ipotesi di fusione di società per incorporazione, il Collegio, nella sua composizione nomofilattica e con il conforto della giurisprudenza di legittimità, sulla scorta del paradigma del c. d. proprietario incolpevole, ne afferma la trasmissibilità in virtù di fusione per incorporazione dalla società responsabile – incorporata – alla società incorporante, in ragione del disposto dell’art. 2504-bis, espressione del principio cuius commoda eius et incommoda.
Avv. Marco Bruno Fornaciari