Ai fini della procedibilità del ricorso, è sufficiente che la somma stabilita a titolo di oblazione ex art. 36, comma 2 del D. P. R. n. 380/2001 (T. U. Ed.), che riprende il previgente art. 34 della L. n. 47/1985, sia contestata giudizialmente, sia pure nelle forme dell’azione impugnatoria, e che permanga, come nel caso di specie, l’interesse alla decisione anche dopo l’effettivo pagamento dell’oblazione contestata in riferimento al quantum (1).
Ai fini della determinazione della misura dell’oblazione da corrispondere per l’abuso edilizio ed il conseguimento della concessione in sanatoria, i mutamenti di destinazione d’uso con o senza opere, posti in essere in assenza di titolo abilitativo, ove non determinino aumenti di cubatura e superficie rientrano nella tipologia n. 4 dell’Allegato alla L. n. 47/1985. Diversamente, laddove l’opera abusiva abbia determinato un aumento di cubatura la misura dell’oblazione dovrà essere determinata secondo i criteri di cui alla tipologia n. 1 (2) (Cons. Stato, Sez. II, 24 giugno 2020, n. 4047).
La sentenza di cui agli estremi dedotti in epigrafe definisce il ricorso interposto da parte appellante per la riforma della sentenza del primo grado di giudizio, che aveva parzialmente accolto l’impugnazione proposta dall’originario ricorrente avverso il provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale aveva disposto il versamento, da parte dell’interessato, di una somma a titolo di conguaglio dell’oblazione ex art. 34 della L. n. 47/1985, onde conseguire la sanatoria di opere edilizie abusive, consistenti nel mutamento di destinazione d’uso dello stesso immobile (T. A. R. Puglia – Bari, Sez. III, 26 giugno 2009, n. 1649).
Il primo comma della richiamata disposizione, invero, dispone che i soggetti autorizzati a conseguire la concessione o l’autorizzazione in sanatoria di cui all’art. 31, commi 1 e 3, hanno titolo, in disparte il versamento del contributo di concessione contemplato dall’art. 37 della stessa L. n. 47/1985, a conseguire il titolo edilizio in sanatoria delle opere abusive, previo versamento all’erario, a titolo di oblazione, di una somma determinata, con riferimento alla parte abusivamente realizzata, secondo le prescrizioni dell’allegata Tabella, in relazione al tipo di abuso commesso ed al tempo in cui l’opera abusiva è stata ultimata.
L’Allegato unico alla L. n. 47/1985, infatti, contempla in distinte tipologie di abuso le opere realizzate in assenza ovvero in difformità della licenza edilizia o della concessione e non conformi alle norme urbanistiche, nonché alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (tipologia n. 1); ovvero le opere realizzate in difformità dalla licenza edilizia o dalla concessione e che non comportino un incremento della superficie utile o del volume assentito, le opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’art. 31, lett. d) della L. n. 457/1978, realizzate senza licenza edilizia o concessione ovvero in difformità da essa, nonché le opere che abbiano determinato un mutamento di destinazione d’uso (tipologia n. 4).
L’originario ricorrente, pertanto, in qualità conduttore di un’unità immobiliare posta in un fabbricato sito nel territorio del Comune resistente e ricadente in zona industriale con destinazione ad uso ufficio, giusta titolo concessorio già rilasciato, instava ai sensi degli artt. 31 ss. della L. n. 47/1985 e dell’art. 39 della L. n. 724/1984 per la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso effettuato mediante la realizzazione di un complesso di opere interne in assenza di titolo abilitativo edilizio, sì da adibire l’immobile a propria abitazione principale.
Le censure formulate dalla originaria ricorrente avverso il gravato provvedimento involgevano la corretta quantificazione dell’oblazione dovuta in ragione della sussunzione dell’intervento posto in essere dal conduttore nella tipologia 1, come assunto dall’Amministrazione comunale resistente, ovvero nella tipologia 4 della Tabella allegata alla richiamata L. n. 47/1985, nonché l’applicazione del beneficio della riduzione dell’oblazione di cui all’art. 34, comma 3 della stessa L. n. 47/1985 e di cui all’art. 39, comma 13 della L. n. 724/1994.
L’art. 34, comma 3 della L. n. 47/1985 statuisce, segnatamente, che la somma dovuta a titolo di oblazione è ridotta di un terzo quante volte l’opera abusiva sia stata eseguita ovvero acquistata al solo fine di essere destinata a prima abitazione del richiedente la sanatoria e questi vi risieda all’atto dell’entrata in vigore della presente legge.
L’art. 39, comma 13 della L. n. 724/1994, inoltre, prescrive che, per le opere realizzate al fine di ovviare a situazioni di estremo disagio abitativo, la misura dell’oblazione è ridotta percentualmente in relazione ai limiti, alla tipologia del reddito ed all’ubicazione delle stesse opere secondo quanto previsto dalla tabella D allegata alla stessa legge.
Ai sensi di tale ultima disposizione, peraltro, l’Amministrazione comunale, costituitasi in resistenza, ridimensionava, nelle more della definizione del giudizio, l’importo della somma ingiunta al ricorrente a titolo di conguaglio dell’oblazione prescritta dall’art. 34 della L. n. 47/1985, che conseguiva la richiesta concessione in sanatoria in ragione dell’avvenuto versamento dell’importo dell’oblazione come rideterminato e ridimensionato.
Il Giudice di prima istanza, tuttavia, disattendeva l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere (art. 100 c. p. c.; art. 39, comma 1 c. p. a.), atteso che la ragione della corresponsione in litispendenza, da parte del ricorrente, della somma ingiunta dall’Amministrazione comunale a titolo di oblazione ex art. 34 della L. n. 47/1985 doveva essere individuata nella sola finalità di ottenere il titolo autorizzatorio in sanatoria.
La successiva proposizione di motivi aggiunti, invero, confermava l’intendimento del ricorrente di proseguire nella contestazione del quantum del conguaglio dell’oblazione già versato, atteso che la corresponsione della somma ingiunta non integrava un inequivocabile comportamento ovvero una volontà espressa in tal senso dall’interessato, dai quali soltanto ricavare, secondo la giurisprudenza, la prova dell’acquiescienza alla determinazione provvedimentale assunta dalla P. A. (cfr., infra, (2)).
L’Amministrazione comunale soccombente, pertanto, interponeva ricorso in appello per la riforma della statuizione del Giudice del primo grado di giudizio, con il quale riproponeva, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso – in ragione del sopravvenuto difetto di interesse a seguito dell’avvenuto pagamento dell’oblazione e della mancata proposizione di una domanda dichiarativa, che accertasse il diritto alla restituzione delle somme corrisposte – ed eccepiva, nel merito, l’erroneità della tesi accolta dalla sentenza impugnata.
(1) La Sezione, sulla scorta della precedente giurisprudenza del Collegio, rileva come soltanto atti, comportamenti ovvero dichiarazioni univoci, posti in essere liberamente dal destinatario dell’atto e recanti la chiara ed incondizionata volontà di accettarne gli effetti e l’operatività, possano integrare l’acquiescienza ad un provvedimento amministrativo (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4140; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 novembre 2012, n. 5966; Id., 25 agosto 2011, n. 4805).
Tale univoca volontà rende necessaria una ricostruzione particolarmente rigorosa della fattispecie controversa, attesa la sostanziale rinuncia al diritto di agire in giudizio che vi è sottesa, e non può certamente ricavarsi in termini equivoci dall’avvenuto pagamento della somma richiesta a titolo di conguaglio dell’oblazione dovuta ex art. 34 della L. n. 47/1985, quale rideterminata ai sensi dell’art. 39, comma 13 della L. n. 724/1994, ovvero dall’apparente mancata proposizione di una domanda restitutoria.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso originario in ragione della sopravvenuta carenza dell’interesse a ricorrere in capo all’istante per la sanatoria (art. 39, comma 1 c. p. a.; art. 100 c. p. c.), riproposta dall’Amministrazione comunale tra i motivi di censura devoluti al grado di appello, risulta, pertanto, infondata.
La statuizione del Giudice di prime cure, peraltro, non integra una sentenza resa ultra petita, atteso che l’azione impugnatoria proposta dalla parte originaria ricorrente postulava un accertamento inerente al corretto computo della somma da richiedere a titolo di oblazione, onde scrutinare la legittimità del provvedimento impugnato.
La valutazione della legittimità dell’avversato provvedimento, invero, sottende l’accertamento dell’erroneo computo dell’oblazione da parte del Comune odierno appellante, che importa molteplici conseguenze sul piano esecutivo, in tesi deducibili in sede di ottemperanza, tra le quali annoverare le puntuali indicazioni per la corretta determinazione dell’oblazione, desumibili ex lege e lungi da poteri discrezionali che residuino in capo alla stessa Amministrazione comunale.
(2) La Sezione precisa come nella fattispecie oggetto di giudizio risulti incontestato che il complesso di opere interne realizzate da parte appellata non abbia importato una variazione dei volumi ovvero delle superficie originariamente autorizzate, sebbene abbia inciso sulla destinazione d’uso dell’unità immobiliare.
Il Collegio, d’altra parte, rileva come la corretta sussunzione, ai fini dell’individuazione della misura dell’oblazione, delle modifiche apportate all’immobile nella tipologia n. 4 della Tabella allegata alla L. n. 47/1985 piuttosto che nella tipologia n. 1 del medesimo Allegato unico risulti confermata dal disposto dell’art. 2, comma 53 della L. n. 662/1996, applicabile retroattivamente, come nella fattispecie oggetto di giudizio, in quanto norma di interpretazione autentica.
La richiamata disposizione, invero, statuisce che la tipologia di abusi di cui al n. 4 della Tabella allegata alla L. n. 47/1985 deve intendersi applicabile anche agli abusi consistenti in mutamenti di destinazione d’uso eseguiti senza opere edilizie, altrimenti configurabili quali abusi annoverati dal medesimo Allegato unico nella tipologia n. 1.
Nel caso di specie, inoltre, la sussunzione delle opere edilizie realizzate nella tipologia di abusi di cui al n. 1 della suddetta Tabella, ai fini del corretto computo della oblazione di cui all’art. 34 della L. n. 47/1985, non rinviene supporto nella asserita contrarietà delle norme di P. R. G. al mutamento di destinazione d’uso posto in essere dal richiedente la sanatoria, come eccepito da parte appellante.
La Tabella allegata alla L. n. 47/1985, infatti, individua fattispecie precise e puntualmente determinate, ovvero autonome ed indipendenti ipotesi di violazione, la cui disciplina risulta definita ope legis e si esaurisce nella casistica descritta dalla norma, che contempla espressamente la destinazione d’uso tra le fattispecie di abuso di cui alla categoria n. 4.
La prospettazione di parte appellante, peraltro, risulta infondata anche in chiave sistematica, atteso che l’adesione ad ogni diversa ricostruzione ermeneutica importerebbe il possibile esperimento, da parte dell’interessato ed a fronte di un mutamento di destinazione d’uso conforme alle prescrizioni urbanistiche, del rimedio – introdotto dalla stessa L. 47/1985 e certamente meno oneroso, nonché sostanzialmente identico nei risultati – dell’accertamento di conformità.
Risulta illegittimo, altresì, il diniego, da parte dell’Amministrazione comunale appellante, dell’applicazione, ai fini del corretto computo dell’oblazione di cui all’art. 34 della L. n. 47/1985, del beneficio di cui all’art. 34, comma 3 della stessa Legge, in ragione della asserita carenza, da parte dell’interessato, della qualità di proprietario dell’immobile ed in disparte l’intervenuto riconoscimento in litispendenza del beneficio della riduzione dell’oblazione ex art. 39, comma 13 della L. n. 724/1994.
La richiamata giurisprudenza del Collegio, invero, ha precisato come la sanatoria degli abusi edilizi contemplata dall’art. 31 della L. n. 47/1985, nonché dalla successiva L. n. 724/1985, possa essere richiesta dal proprietario ovvero da terzi interessati con fungibilità ratione personarum, diversamente dalla riduzione della misura dell’oblazione prescritta dall’art. 34 della L. n. 47/1985, che risulta computata alla stregua del solo criterio funzionale della destinazione economica delle opere, ovvero ratione rei (Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3520).
L’accesso al beneficio della riduzione dell’oblazione ex art. 34, comma 3 della L. n. 47/1985, pertanto, non risulta precluso in ragione della carenza del possesso del titolo di proprietà in capo all’interessato che insti per la sanatoria, posto che la riduzione dell’oblazione assume come presupposto la sola concreta destinazione d’uso, quale prima abitazione del richiedente la sanatoria, effettivamente assegnata all’opera abusiva piuttosto che il titolo formale di proprietario.
Avv. Marco Bruno Fornaciari