La astratta ammissibilità di provvedimenti a contenuto plurimo [quale un permesso-di-costruire rilasciato in sanatoria ed in variante], caratterizzati da un’unitarietà solo formale, ma non anche sostanziale, in quanto scindibili in molteplici atti di diverso contenuto, indipendenti l’uno dall’altro, deve essere contemperata col divieto di commistione tra profili incompatibili tra di loro (1).
In materia di abusi edilizi, la peculiare natura della c. d. sanatoria ordinaria, per il rilascio della quale l’Amministrazione è chiamata a svolgere una valutazione vincolata, priva di contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile, non consente l’integrazione con diverse fattispecie previste da altri corpi normativi (2).
Non è consentito sanare, né legittimare per il tramite di una semplice variante, un vizio del permesso-di-costruire, stante che nell’uno come nell’altro caso l’avallo postumo ha ad oggetto l’illecito, non il titolo edilizio; per intervenire sul provvedimento, infatti, occorre che l’Amministrazione agisca in autotutela che, ove si concretizzi in una convalida, avente efficacia ex tunc proprio in ragione delle sottese esigenze di economia dei mezzi dell’azione amministrativa e di conservazione, renderebbe legittimo l’intervento ab origine, senza necessità di alcuna sanatoria (3) (Cons. Stato, Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288).
Con la sentenza dedotta in rassegna, il Collegio definisce il ricorso interposto da parte appellante appellante per la riforma della sentenza con la quale il Giudice di prima istanza aveva accolto l’azione per annullamento, proposta dalla originaria ricorrente avverso il provvedimento adottato dall’Amministrazione comunale appellata, recante contestuale accertamento di conformità ex art. 36, D. P. R. 380/2001, mediante rilascio di permesso-di-costruire in sanatoria, e c. d. variante essenziale in corso d’opera, quale contemplata dagli artt. 31 e 32 dello stesso T. U. Ed., con riferimento agli interventi realizzati dalla società proprietaria in un’area ubicata nel territorio dello stesso Ente locale (T. A. R. Abruzzo – L’Aquila, 16 dicembre 2009, n. 572).
Il permesso-di-costruire rilasciato dall’Amministrazione comunale, invero, assumeva la superficie catastale dichiarata quale parametro per il computo della superficie edificabile assentita, peraltro oggetto di successive e distinte istanze – del pari respinte dallo stesso Comune – con le quali la società appellante prospettava un sensibile ridimensionamento, anche in termini di numero di unità abitative, della metratura dell’organismo edilizio assentito, sebbene non risultasse chiaro e coerente se la enunciata variazione risultasse effettuata in chiave di sanatoria ex art. 36 D. P. R. 380/2001 ovvero quale variante ex artt. 31 e 32 T. U. Ed.
L’Amministrazione appellata, peraltro, con distinti provvedimenti, adottati medio tempore rispetto al diniego di rilascio del permesso-di-costruire ex art. 36 D. P. R. 380/2001 ovvero alla concessione della variante di cui agli artt. 31 e 32 T. U. Ed., disponeva la sospensione dei lavori, attesi il riscontro dell’assenza del nulla-osta per il vincolo idrogeologico, nonché la verifica, intervenuta in sede di rilievo celerimetrico, dell’estensione delle superfici del lotto in misura inferiore rispetto a quanto riportato negli atti catastali, oltre che la edificazione del muro di contenimento e di recinzione su zona destinata a strada.
In sede di evasione di una successiva ed inedita istanza, con la quale la società proprietaria instava onde conseguire la sanatoria e la variante del progetto edilizio già assentito, l’Amministrazione comunale rilasciava l’avversato permesso-di-costruire quale atto a contenuto plurimo, in quanto recante contestuale accoglimento delle istanze di accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001 e la concessione in variante di cui agli artt. 31 e 32 T. U. Ed., senza precisarne il riferimento, tuttavia, nelle singole parti del provvedimento
L’Amministrazione, invero, rilasciava il permesso-di-costruire – recante, peraltro, un’estensione della superficie finale ulteriormente ridotta dalla società in via collaborativa, mediante la detrazione di una sezione relativa alla strada di piano e già ricompresa nel computo in ragione della ritenuta decadenza del relativo vincolo per decorrenza dei termini di legge – senza la previa richiesta di chiarimenti integrativi, che la mancata produzione, da parte degli istanti, di elaborati progettuali quotati, ovvero idonei a rendere computabile la superficie effettiva del lotto e la percentuale di superficie edificabile, avrebbe reso necessaria.
La difesa civica in primo grado, pertanto, riconosceva la portata innovativa delle opere edilizie realizzate, in guisa da rendere ragione delle deduzioni dell’originaria ricorrente a difesa dell’inammissibilità dell’integrazione ex post di un provvedimento, quale il permesso-di-costruire oggetto di impugnativa, in tesi chiaro nei diversi postulati sottesi alla stessa determinazione assunta dall’Amministrazione comunale procedente e, tuttavia, confutata in termini, attesa la difforme lettura prospettatane dalla stessa Autorità amministrativa.
L’omessa tamponatura di una parte del manufatto realizzato dalla società appellante al momento della presentazione dell’istanza ex art. 36 D. P. R. 380/2001, inoltre, non avrebbe consentito la configurazione di una superficie edificata (i. e. volumetria) e – come successivamente rilevato dal Giudice di appello – avrebbe reso ragione della successiva destinazione d’uso, in guisa da cristallizzare l’estensione del’organismo edilizio in quella già realizzata e da assicurare l’osservanza dell’indice di zona, moltiplicato per l’estensione della superficie del lotto, quale definitivamente individuata.
Il Giudice di prima istanza, pertanto, rilevava al contempo l’insanabilità delle opere, in quanto realizzate su sedime non di proprietà e ragione dell’espresso condizionamento dell’efficacia della sanatoria ex art. 36 D. P. R. 380/2001 alla demolizione parziale dell’organismo edilizio realizzato, nonché la configurazione quale variazione essenziale delle opere eseguite, che avrebbero importato il necessario rilascio di un autonomo permesso-di-costruire, giusta gli artt. 31 e 32 dello stesso T. U. Ed. e l’art. 5 della L. R. 52/1989.
Il carattere difforme della progettualità non assentita rispetto a quella riveniente dal permesso-di-costruire già rilasciato, che assumeva indici di edificabilità computati alla stregua di una superficie complessiva, successivamente riscontrata non veritiera, avrebbe ostato all’implementazione di un intervento in variante, quale contemplato dai richiamati artt. 31 e 32 T. U. Ed.
La società soccombente, pertanto, censurava la statuizione del Giudice di prime cure mediante l’articolazione di molteplici e distinti motivi di gravame devoluti al grado di appello, individuati, in primo luogo, nell’error in iudicando nel quale sarebbe incorso il Collegio mediante la sussunzione tra le fattispecie suscettibili di accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001, in luogo della variante di cui agli artt. 31 e 32 dello stesso T. U. Ed., dei singoli interventi realizzati complessivamente sull’organismo edilizio, sì da importare l’indebito disconoscimento dell’assentibilità delle opere abusive.
Secondo la prospettazione di parte appellante, inoltre, la sostanziale omogeneità dell’intervento posto in essere rispetto alla progettualità originaria avrebbe integrato, a mente delle richiamate disposizioni del T. U. Ed. e della normativa di fonte regionale, una variante pura piuttosto che essenziale, sì da rendere inammissibile il ricorso di primo grado – attesa la mancata e tempestiva impugnativa del permesso-di-costruire – e la scelta di avallo adottata dall’Amministrazione comunale procedente.
Le variazioni al progetto originario, tra le quali annoverare la rettifica della superficie del lotto, le conseguenti riduzioni delle superfici edificabili e le modeste modifiche della sagoma dell’edificio – considerate sia singolarmente, sia nel risultato complessivo dell’organismo edilizio – avrebbero integrato, infatti, varianti comuni, in difformità soltanto parziale rispetto al progetto ed al permesso-di-costruire originari, nonché nel profilo oggettivo ed ontologico come nel profilo ed agli effetti giuridici.
La società appellante, identificata quale pertinenza piuttosto che quale porzione dell’edificio, al pari delle scale esterne e degli ingressi pedonali e carrabili, l’asserita collocazione del muro di recinzione al di fuori del confine della proprietà – oggetto della preventivata demolizione in variante, e non in sanatoria -, rilevava come l’articolata strutturazione del provvedimento avrebbe assolto ad esigenze di economia procedimentale, quali enucleate negli artt. 21-octies e 21-nonies della L. n. 241/1990, che contemplano la sanzione dell’annullabilità del provvedimento amministrativo e l’istituto dell’annullamento d’ufficio.
Le ragioni che informano gli istituti di cui alle richiamate disposizioni della Legge sul procedimento amministrativo, in uno alla necessità di evitare un pregiudizio anche economico al costruttore in guisa conforme alle coordinate che si ricavano dal dettato costituzionale, avrebbero richiesto, infatti, di salvaguardare gli effetti dell’avversato provvedimento di rilascio del permesso-di-costruire mediante l’applicazione sostanziale, sebbene in forma sintetica, della funzione sottesa all’istituto dell’accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001 e dell’attività di vigilanza sull’attività edilizia in genere, alla quale l’Amministrazione è chiamata ad attendere, giusta gli artt. 27 ss. T. U. Ed.
Parte appellante, ritenuta non configurabile violazione alcuna del coefficiente di impermeabilizzazione, nonché, più in generale, del Regolamento edilizio e delle disposizioni urbanistiche vigenti, deduceva la insussistenza di ogni vincolo di natura idrogeologica demandato alla tutela di competenza della Provincia.
Successivamente, la stessa società versava agli atti del giudizio di gravame la determina con la quale il responsabile UTC dell’Amministrazione comunale appellata prendeva atto del mancato accoglimento della domanda, proposta in via incidentale, di sospensione della impugnata sentenza di primo grado e demandava all’Agenzia del Territorio la stima delle opere realizzate, onde pervenire alla compiuta quantificazione della sanzione pecuniaria ex art. 38 D. P. R. 380/2001.
L’originaria ricorrente, costituitasi in resistenza nel giudizio di gravame, contestava la prospettazione di parte appellante e riproponeva i motivi di censura già articolati avverso il gravato provvedimento recante rilascio del permesso-di-costruire, ma ritenuti dal Giudice di prima istanza assorbiti nei distinti profili di illegittimità dell’atto amministrativo scrutinati, peraltro senza proporre, a tale fine, appello incidentale.
Il decisum giurisdizionale, invero, sarebbe risultato corretto, benché l’intervento conseguente alla demolizione del muro di contenimento configurasse un contrasto con le N. T. A., attesa la radicale modifica progettuale apportata all’opera originariamente assentita.
Ampio riscontro documentale di tale difformità rispetto alle disposizioni di Piano sarebbe stato rinvenibile nella D. I. A. successivamente presentata dalla società appellante al fine di ottemperare alle indicazioni di cui al provvedimento oggetto di impugnativa, oltre che in sede di CTU disposta nel procedimento penale instaurato con riferimento alla medesima fattispecie oggetto di sindacato dinanzi al G. A., in ragione del ritenuto carattere non veritiero delle dichiarazioni contenute nelle istanze di parte.
Parte appellata, da ultimo, deduceva come risultasse confermata l’assenza del nulla-osta idrogeologico, posto che l’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste territorialmente competente aveva precisato, a mezzo della nota trasmessa all’UTC comunale, come il provvedimento già adottato potesse essere equiparato, in guisa difforme da quanto enunciato nel titolo abilitativo edilizio rilasciato, alla prescritta autorizzazione idrogeologica, bensì recasse la mera indicazione delle modalità di esecuzione dei lavori, a mente dell’art. 20, comma 3, r. d. n. 1126/1926, con riferimento ai profili tecnico forestali, in disparte ogni eventuale diritto di terzi ed autorizzazione di competenza.
L’Amministrazione comunale – costituitasi nel giudizio di secondo grado con atto di stile, analogamente all’Ente Regione – aderiva alla prospettazione della società appellante mediante successiva memoria depositata in controdeduzione ed in difesa dell’operato degli uffici tecnici.
La difesa civile riproponeva l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario e deduceva come l’avvenuta decadenza del vincolo idrogeologico per decorrenza del termine di legge importasse il venir meno di problemi di distanza delle opere oggetto di permesso-di-costruire dalla sede stradale, atteso che lo stesso vincolo – riveniente dal Piano territoriale paesaggistico (P. T. P.) – avrebbe integrato una mera indicazione per l’Amministrazione comunale nella redazione del P. R. E., lungi da una disposizione di diretta applicazione per i singoli lotti; e come la percentuale di impermeabilizzazione del terreno risultasse ampiamente rispettata.
(1) (2) (3) Il Collegio rileva in primis et ante omnia come la ricognizione in punto di fatto operata da parte appellante riproduca, in sede di proposizione dell’atto di gravame, l’ambiguo contenuto delle istanze originarie proposte dalla società appellante, in quanto priva di un chiaro discrimen tra gli interventi oggetto dell’invocato accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001 e le opere assentite in quanto integranti c. d. variazioni essenziali di cui agli artt. 31 e 32 T. U. Ed., nonché tra gli organismi edilizi che si è chiesto di sanare ed i manufatti che si intendeva variare.
In tale guisa, risulta disatteso l’onere di esplicitazione in termini intellegibili del contenuto delle proprie domande che, specie in ambito urbanistico-edilizio, grava in capo al singolo istante già al momento di avvio della serie procedimentale, il cui mancato assolvimento, nel caso di specie, spiega effetti nei termini della non perspicua prospettazione di parte appellante, in funzione della compiuta cognizione della fattispecie oggetto di giudizio alla quale è chiamato ad attendere l’organo giurisdizionale.
La Sezione, con il conforto della richiamata giurisprudenza, conferma la statuizione del Giudice di prime cure che, in adesione alle argomentazioni della stessa Amministrazione comunale, ha rilevato come l’avversato provvedimento di rilascio del permesso-di-costruire, sebbene unitario nella forma, recherebbe una duplice valenza, di sanatoria ex art. 36 D. P. R. 380/2001 e, al contempo, di variante a norma degli artt. 31 e 32 T. U. Ed., alla stregua delle ordinarie tecniche giuridiche che informano l’atto amministrativo a contenuto plurimo, la cui eccezione di intrinseca illegittimità formulata dalla originaria ricorrente risultava, pertanto, disattesa.
L’assenza di alcuna pregiudiziale sistematica alla confluenza in un solo provvedimento di due distinte finalità, che possa importare ex se la illegittimità derivata dell’atto plurimo riveniente dalla ridetta sommatoria, rinviene corrispondenza nella insussistenza di alcun principio che precluda una siffatta ipotesi all’interno dell’ordinamento giuridico, che ammette esplicitamente la categoria degli atti a contenuto plurimo, la cui cifra caratteristica risiede in un’unitarietà soltanto formale, piuttosto che anche sostanziale, attesa la loro scindibilità in molteplici atti di diverso contenuto, indipendenti l’uno dall’altro (cfr. T. A. R. Campania, Sez. VIII, 17 febbraio 2010, n. 8718).
La Sezione, peraltro, precisa come il G. A., nell’esercizio del sindacato giurisdizionale, sia chiamato ad assumere quale oggetto la valutazione in termini concreti della coesistenza di tali molteplici e distinti atti nel provvedimento che li compendia, ovvero la possibilità che ciascuna delle determinazioni de quibus assunte dall’Amministrazione conservi o meno l’idoneità ad esplicare la finalità che vi è sottesa, senza attingere ai contenuti degli altri provvedimenti amministrativi, a fortiori quante volte questi ultimi risultino eterogenei negli stessi presupposti.
Nella fattispecie oggetto di giudizio, quindi, il provvedimento oggetto della domanda caducatoria proposta dalla ricorrente di primo grado e recante il permesso-di-costruire rilasciato alla società appellante assolve alla duplice e distinta funzione di sanatoria, mediante accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001, con riferimento a parte delle opere – quali realizzate secondo modalità difformi dalla progettualità di cui al titolo abilitativo edilizio già rilasciato – nonché di legittimazione delle opere ancora da eseguire in forma di c. d. variante essenziale ex artt. 31 e 32 T. U. Ed., che, peraltro, postula necessariamente un progetto assentito, lungi alla integrazione mediante la progettualità oggetto dell’invocato avallo ex post, attesa la riscontrata illegittimità del titolo abilitativo edilizio originario.
L’affermazione del Giudice di prima istanza, che ha ritenuto non assentibile un aggiustamento in funzione del recupero all’alveo della legalità del titolo abilitativo edilizio già rilasciato, la cui legittimità risulta infirmata dall’erronea rappresentazione del dato reale, benché oggetto di dichiarazione incolpevole – scilicet, senza dolo – in ragione della sua acquisizione mediante la consultazione della documentazione catastale.
Il rilievo rinviene corrispondenza nell’accertamento intervenuto in sede di giurisdizione ordinaria nell’ambito del procedimento penale instaurato con riferimento alla medesima fattispecie oggetto di giudizio e che non importa il superamento dell’abuso edilizio, attesa la distorta configurazione del manufatto – in punto di estensione, oltre che di allocazione del lotto di riferimento – che ne deriva.
Il Collegio precisa come l’istituto del c. d. accertamento di conformità, ovvero sanatoria ordinaria – già contemplato dall’art. 13 della L. 47/1985, tributario dell’art. 36 D. P. R. 380/2001 – assuma per oggetto la legittimazione postuma dei soli abusi formali, in quanto inerenti ad opere realizzate nell’osservanza della disciplina che presiede all’utilizzo del territorio – vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria come al momento della edificazione dell’opera abusiva – e sebbene difformi dal permesso-di-costruire ovvero eseguite senza il rilascio dello stesso titolo abilitativo edilizio (c. d. doppia conformità).
Il carattere sanabile dell’intervento edilizio realizzato, pertanto, postula la necessaria insussistenza di ogni violazione di tipo sostanziale, altrimenti passibile della potestà sanzionatorio – repressiva degli abusi edilizi, quale prevista dagli artt. 27 ss. D. P. R. 380/2001, il cui doveroso esercizio, secondo l’acquisizione della costante giurisprudenza, conforta l’assunto enunciato con riferimento all’accertamento di conformità ex art. 36 D. P. R. 380/2001, aliunde ragione dell’introduzione, all’interno dell’impianto normativo del T. U. Ed., di un’aporia.
L’ordinamento giuridico, invero, da un lato imporrebbe all’Amministrazione di reprimere e sanzionare gli abusi edilizi e, dall’altro lato, consentirebbe la sanatoria di violazioni sostanziali della normativa di settore, quali integrate – sul piano urbanistico – dalla realizzazione di opere prive della c. d. doppia conformità, atteso il necessario riferimento al momento dell’edificazione del manufatto onde valutare la sussistenza o meno dell’abuso edilizio.
L’art. 22, comma 2 D. P. R. 380/2001, quale modificato dai successivi e molteplici interventi legislativi, statuisce, d’altra parte, che sono realizzabili mediante S. C. I. A. le varianti ad un permesso-di-costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio – quante volte lo stesso organismo edilizio risulti sottoposto a vincolo a mente del D. Lgs 42/2004 (c. d. Codice dei beni culturali e del paesaggio) – e non violano le eventuali prescrizioni recate dal titolo abilitativo edilizio.
L’ultimo alinea della disposizione del T. U. Ed. da ultimo richiamata, inoltre, precisa come – ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia di cui agli artt. 27 ss., nonché ai fini dell’agibilità – tale S. C. I. A. costituisca parte integrante del procedimento propedeutico al rilascio del permesso-di-costruire che deve precedere l’esecuzione dell’intervento principale e come la stessa segnalazione possa essere presentata nel torno di tempo anteriore alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.
La ricognizione del dato normativo, pertanto, consente di configurare la c. d. variante in corso d’opera ex art. 22, comma 2 D. P. R. 380/2001 quale modalità contemplata dall’ordinamento in funzione dell’adeguamento – in itinere e prima della chiusura dei lavori – di un progetto in ragione di esigenze pratiche sopravvenute in corso di esecuzione, sì che il riferimento della disposizione alla sagoma dell’edificio rilevi soltanto nelle ipotesi di sussistenza di un vincolo contemplato dal D. Lgs. 42/2004.
La richiamata giurisprudenza recenziore della Sezione, invero, ha contribuito alla definizione della categoria concettuale delle c. d. varianti in senso proprio, identificata con le sole modifiche, sia qualitative che quantitative, apportate al progetto originario, che, tuttavia, permanga immutato nei lineamenti di fondo alla stregua di indici distinti, quali la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, oltre che le caratteristiche funzionali e strutturali – interne ed esterne – dell’organismo edilizio realizzato (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 14 aprile 2020, n. 2381; Id., 22 luglio 2019, n. 5130).
La disciplina recata dal D. P. R. 380/2001 in punto di repressione degli abusi nell’attività edilizia, complementare alla definizione dei singoli interventi, prevede le opere realizzate in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, le variazioni essenziali rispetto al titolo abilitativo edilizio e gli organismi edificati in parziale difformità dallo stesso permesso-di-costruire quali distinte fattispecie, graduate in ragione della gravità dell’infrazione alla pertinente normativa ed in ogni caso assistite, almeno in tesi, dalla sanzione dell’ingiunzione a demolire l’opera realizzata.
La Sezione, d’altra parte, rileva come, sebbene il combinato disposto degli artt. 31 e 32 D. P. R. 380/2001 equipari l’esecuzione di opere in c. d. variazione essenziale – quali individuate alla stregua dei criteri di massima enunciati nella formulazione vigente ratione temporis del T. U. Ed. – a quella effettuata in assenza di titolo, la determinazione in concreto delle singole ipotesi di variazione venga rimessa alla competenza dell’Ente Regione, chiamato ad attendere all’opera di sussunzione nell’osservanza dei richiamati parametri rivenienti dalla normativa di fonte statale.
Il concetto di c. d. variazione essenziale ex artt. 31 e 32 D. P. R. 380/2001, dunque, inerisce alle modalità di esecuzione delle opere e differisce dalle c. d. varianti di cui all’art. 22, comma 2 T. U. Ed., che – in quanto modifiche di non rilevante consistenza del progetto già assentito – assumono quale oggetto la stessa realizzazione di un organismo edilizio, ma consentono, al contempo, l’adeguamento dell’originario titolo abilitativo edilizio e soggiacciono al rilascio di un permesso-di-costruire in variante (recte, S. C. I. A.), complementare ed accessorio, anche nei termini temporali della normativa operante, rispetto al titolo abilitativo edilizio già adottato.
Le c. d. varianti essenziali (i. e., difformità totale), piuttosto, sottendono l’incompatibilità, in termini qualitativi e quantitativi, dell’intervento eseguito dall’istante con il progetto edificatorio originario secondo i parametri enucleati nel richiamato art. 32 D. P. R. 380/2001 ed importano la necessaria acquisizione di un permesso-di-costruire del tutto inedito ed autonomo rispetto al titolo abilitativo edilizio già rilasciato, soggetto alle disposizioni vigenti al momento della realizzazione dell’opera in variante, in quanto inerenti ad un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione ed ubicazione (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 27 febbraio 2014, n. 34099).
Il Collegio rileva come la ritenuta ammissibilità di atti a contenuto plurimo nell’ordinamento giuridico non importi la possibilità di commistione tra distinti provvedimenti amministrativi, attesa, inoltre, la natura immanente agli stessi e sebbene tale divieto di commistione risulti marcato quante volte ricorra l’addizione contenutistica con un provvedimento di sanatoria, come precisato dalla giurisprudenza intervenuta sul procedimento speciale di variante contemplato dall’art. 5 D. P. R. 447/1998 (“Progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici“), informato alla medesima logica di semplificazione, che secondo la prospettazione di parte appellante, sarebbe sottesa alla scelta di sintesi compiuta dall’Amministrazione comunale (cfr. T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 2206).
La norma da ultimo richiamata, invero, prescriveva il necessario rigetto dell’istanza inerente gli impianti produttivi di beni e servizi quante volte il progetto presentato risultasse in contrasto con lo strumento urbanistico ovvero ne importasse la necessaria variazione.
La conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro – senza la previa individuazione, nello strumento urbanistico, delle aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero la loro insufficiente estensione rispetto al progetto presentato – avrebbe reso possibile, peraltro, la motivata convocazione, da parte del responsabile del procedimento, di una conferenza di servizi ex artt. 14 ss. L. 241/1990, in guisa da assumere le conseguenti decisioni.
Anche in tale ipotesi si è ritenuto non assentibile in sanatoria un intervento, in uno alla variazione della incompatibile destinazione di piano, atteso che la riconosciuta natura eccezionale del procedimento derogatorio de quo, alla medesima stregua del carattere ampiamente discrezionale del potere esercitato mediante lo svolgimento della serie procedimentale, precludeva l’equiparazione sostanziale dell’istituto al permesso-di-costruire in deroga ex art. 36 D. P. R. 380/2001, in applicazione del paradigma del c. d. accertamento di doppia conformità, quale enucleato nella disposizione del T. U. Ed. da ultimo richiamata ed informato alla distinta finalità di recuperare all’alveo della legalità opere edilizie soltanto formalmente abusive.
Il rilascio della sanatoria di cui all’art. 36 D. P. R. 380/2001, invero, postula una valutazione vincolata – priva di profili di discrezionalità e funzionale alla implementazione di un assetto di interessi già prefigurato in sede di disciplina urbanistica applicabile – alla quale è chiamata ad attendere l’Amministrazione secondo il solo schema applicabile, ovvero l’accertamento di conformità contemplato dal T. U. Ed..
L’assunto rinviene conferma almeno in linea generale ed in disparte ogni ipotesi particolare e temporanea di condono, recante natura eccezionale ed individuata in termini rigorosamente tassativi nelle singole leggi istitutive, senza possibili integrazioni ovvero equiparazioni con distinte fattispecie contemplate da diversi corpi normativi, quale il D. P. R. 447/1998 (cfr. T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 2206; T. A. R. Puglia – Lecce, Sez. III, 14 gennaio 2010, n. 146).
La convergenza uno actu di due distinti provvedimenti, pertanto, non ne rende ammissibile la commistione anche contenutistica, come avvenuto nella fattispecie oggetto di giudizio, posto che la peculiare variante urbanistica prevista dall’abrogato D. P. R. 447/1998 – recante la disciplina in tema di Sportello Unico delle Attività Produttive – si risolve nella ammissibilità del rilascio di un titolo abilitativo edilizio in deroga alla disciplina previgente – sebbene il contestuale adeguamento all’avallato stato di fatto – senza, tuttavia, pervenire ad una copertura postuma dell’abuso edilizio, che integra per definizione il prodotto finito di un comportamento ormai esaurito, i cui effetti illeciti, tuttavia, persistono ed ostano all’espletamento di attività valutative contestuali ad adeguamenti pro futuro.
Avv. Marco Bruno Fornaciari