“La responsabilità della Pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. – da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento – i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ., e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ. (1)”.
“Con riferimento al periodo temporale nel quale hanno avuto vigenza disposizioni su incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che non sono stati erogati a seguito di una sopravvenienza normativa, è in astratto ravvisabile il nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili quando la mancata ammissione al regime incentivante sia stato determinato da un divieto normativo sopravvenuto che non sarebbe stato applicabile se i termini del procedimento fossero stati rispettati; con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, occorre stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate, per la sopravvenuta abrogazione della normativa sugli incentivi, nel qual caso il pregiudizio è riconducibile alla sopravvenienza legislativa e non più imputabile all’amministrazione, oppure se l’interessato avrebbe comunque avuto diritto a mantenere il regime agevolativo, in quanto la legge, per esempio, faccia chiaramente salvi, e sottratti quindi all’abrogazione, gli incentivi già in corso di erogazione e fino al termine finale originariamente stabilito per gli stessi; in ogni caso, il danno va liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa, e non può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione “(2)
Con la sentenza di cui agli estremi dedotti in epigrafe, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel dirimere la questione posta dal C.g.a. con sentenza non definitiva 15 dicembre 2020, n. 1136, ha definitivamente chiarito che la responsabilità in cui incorre la P.A. per l’esercizio delle sue funzioni può pacificamente ritenersi riconducibile al modello aquiliano, soffermando, poi, l’attenzione sul rapporto intercorrente tra sopravvenienza normativa e ritardata conclusione dei procedimenti ex art. 12, D.lgs. n. 387/2003.
Per quanto concerne il primo profilo, il massimo consesso della giustizia amministrativa ha preso le mosse dalla disciplina di cui all’art. 1218 del Codice civile, il quale pone a fondamento della responsabilità contrattuale il non esatto adempimento della “prestazione” cui il debitore è obbligato in base al contratto, rilevando che, a differenza di quanto previsto nell’ambito dei rapporti privatistici, per la P.A. non si configura un vincolo obbligatorio di tale portata. Ed infatti, essa agisce nel perseguimento del pubblico interesse definito dalla norma attributiva, che fonda la causa giuridica del potere autoritativo. In capo a quest’ultima, dunque, difetta un “obbligo giuridico”, assimilabile a quello che caratterizza i rapporti tra privati, sussistendo, invece, un potere attribuito dalla legge, da esercitarsi nel rispetto della stessa e coerentemente con i canoni di corretto uso del potere individuati dalla giurisprudenza. Analogamente, l’Adunanza Plenaria ha definitivamente escluso la possibilità di ricondurre la fattispecie di che trattasi nell’ambito della c.d. responsabilità da “contatto sociale”, chiarendo che nel rapporto amministrativo è sempre possibile riscontrare la “supremazia” della P.A., per definizione inconciliabile con la relazione paritaria posta a fondamento delle teorie sul contatto sociale.
Escludendosi, pertanto, in ragione della suddetta asimmetria, la possibilità di equiparare l’Amministrazione al debitore privato obbligato ad adempiere al contratto, deve ritenersi che laddove quest’ultima arrechi un pregiudizio al destinatario dell’azione amministrativa, sia mediante l’emanazione di atti illegittimi che per un’inerzia colpevole, il regime di responsabilità applicabile sia quello riconducibile al paradigma di cui all’art. 2043 del Codice civile, in ossequio al principio generale del neminem laedere.
Fulcro centrale della responsabilità di che trattasi, dunque, è l’ingiustizia del danno.
Conseguentemente, per quel che in questa sede rileva, il soddisfacimento della pretesa risarcitoria deve ritenersi subordinato alla dimostrazione che il superamento del termine di legge abbia impedito al privato di ottenere il provvedimento ampliativo favorevole per il quale aveva presentato istanza.
L’ingiustizia del danno così declinata, tuttavia, non è il solo presupposto della responsabilità ex art. 2-bis l. n. 241 del 1990, assumendo rilievo il ricorso ai rimedi di natura procedimentale e processuale previsti dall’ordinamento.
I rimedi procedimentali, pur non rilevando quale presupposto processuale dell’azione risarcitoria (stante il venir meno della pregiudizialità amministrativa), possono invece assumere rilievo come fattore di mitigazione o anche di esclusione del risarcimento del danno. Di conseguenza, il suddetto “onere di cooperazione” può essere ricondotto allo schema di carattere generale del «(c)oncorso del fatto colposo del creditore» previsto dall’art. 1227 del codice civile, richiamato dall’art. 2056 cod. civ. per la responsabilità da fatto illecito, rilevando quale criterio per la individuazione delle conseguenze risarcibili.
In particolare, non vi è risarcimento danni che il privato avrebbe potuto evitare.
Analogamente, si esclude il ristoro di quei danni rispetto ai quali il fatto illecito non si pone in rapporto di necessità o regolarità causale, ma ne costituisce una semplice occasione non determinante del loro verificarsi.
Concludendo sul punto, quindi, per la responsabilità da fatto illecito della P.A., ivi compresa quella per danno da ritardo dell’azione amministrativa, sarà necessario avere riguardo alla disciplina di cui agli artt. 1223, 1226, 1227 del Codice civile.
Chiarito quanto sopra, con la pronuncia in esame, l’Adunanza Plenaria ha soffermato l’attenzione sull’incidenza di una sopravvenienza normativa che escluda l’applicazione di un regime tariffario incentivante nelle ipotesi in cui il mancato accesso a detto regime sia stato determinato dalla ritardata conclusione dei procedimenti autorizzativi ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003.
Oggetto di esame, dunque, è stata la collocazione della sopravvenienza normativa nella sequenza causale produttiva del danno, sul piano della conseguenzialità “immediata e diretta”.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno precisato che tale valutazione debba essere compiuta ponendo una distinzione tra periodo anteriore rispetto alla normativa che ha soppresso gli incentivi e arco temporale successivo. Ed infatti, nel primo caso, il rapporto di consequenzialità tra il ritardo dell’Amministrazione e il mancato accesso agli incentivi è pacifico e non è il alcun modo reciso dalla sopravvenienza normativa, posto che è proprio il ritardo della P.A. a rendere detta sopravvenienza rilevante. Viceversa, nella seconda ipotesi, occorre, invece, verificare se le erogazioni sarebbero comunque venute meno, per la sopravvenuta abrogazione della normativa sugli incentivi – e, in tal caso, il pregiudizio sarebbe riconducibile alla sopravvenienza legislativa e non più imputabile all’amministrazione – oppure se l’interessato avrebbe comunque avuto diritto a mantenere il regime agevolativo in ragione di particolari previsioni derogatorie disposte dal legislatore.
Precipitato logico delle precedenti considerazioni, quindi, è che se da un lato è vero che nella generale dinamica delle relazioni giuridiche la sopravvenienza consente escludere l’imputazione soggettiva delle relative conseguenze pregiudizievoli, dall’altro lato, è evidente che l’ingiustificato ritardo nel rilascio del provvedimento ingeneri una responsabilità in capo all’amministrazione.
Ciò premesso, nell’ottica di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, contraddistinta da una pluralità di rimedi a disposizione del privato contro l’inerzia dell’amministrazione, quest’ultima risponde sul piano risarcitorio della mancata realizzazione degli investimenti nel settore quando questi siano causati da una condotta antigiuridica.
Conclusivamente, in coerenza con la funzione dissuasiva e di equa ripartizione dei rischi tipica del rimedio risarcitorio, il mutamento normativo deve pertanto essere considerato un rischio imputabile all’amministrazione quando la sopravvenienza normativa non avrebbe avuto rilievo se i tempi del procedimento autorizzativo fossero stati rispettati, fermo restando che, in ogni caso, il danno va liquidato sulla scorta dei criteri di determinazione del danno da perdita di chance e non può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione.
Avv. Agnese Notarangelo