Per le fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 42-bis, d.P.R. n. 327 del 2001 la rinuncia-abdicativa del proprietario del bene occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione, anche a non voler considerare i profili attinenti alla forma, non costituisce causa di cessazione dell’illecito permanente dell’occupazione senza titolo (Cons. Stato, A. P., 20 gennaio 2020, n. 4).
Il fondo in comproprietà agli appellati, dichiarato di pubblica utilità con deliberazione della Giunta municipale di Roma Capitale, veniva successivamente occupato in via d’urgenza per l’intera superficie.
Intervenuta rituale espropriazione di una sola parte dell’area occupata con decreti della Giunta regionale del Lazio, la residua superficie del bene immobile veniva utilizzata dal Comune di Roma per la realizzazione dell’opera pubblica approvata con la deliberazione recante la dichiarazione di pubblica utilità del fondo.
Il T. A. R. Lazio, Sede di Roma – adito dagli interessati per conseguire il risarcimento del danno derivante dalla lamentata violazione del loro diritto di proprietà sull’area non espropriata – dichiarava il ricorso inammissibile, attesa l’impossibilità di configurare la pretesa risarcitoria dei ricorrenti quale abdicazione al diritto reale, la cui piena tutela avrebbe richiesto che l’effetto traslativo conseguisse ad una volontà espressa ed inequivoca dei soggetti proprietari.
Il giudice di prime cure, quindi, disponeva con sentenza parziale che l’Amministrazione di Roma Capitale si determinasse ai sensi dell’art. 42-bis del d. P. R. n. 327 del 2001, ritenuto applicabile nella fattispecie dedotta in giudizio.
Intervenuto l’atto di acquisizione del bene oggetto del giudizio con successivo decreto, l’Amministrazione impugnava esclusivamente la sentenza definitiva del Tar Lazio in ragione della dedotta violazione della disciplina sul riparto di giurisdizione, giusta gli artt. 53 del d. P. R. n. 327 del 2001 e 133, comma 1, lett. g) c. p. a..
La Sezione IV del Consiglio di Stato, investita del gravame, pronunciava sentenza parziale con la quale accoglieva l’appello principale dell’Amministrazione, con contestuale ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria di questioni giuridiche relative ad alcune tra le censure formulate con il ricorso incidentale proposto dagli originari ricorrenti, che avevano dedotto la sopravvenuta rinuncia-abdicativa al proprio diritto dominicale sull’area oggetto di occupazione (Cons. Stato, Sez. IV, ord. 30 luglio 2019, n. 5400).
L’Alto consesso precisa in via preliminare come la trasposizione della rinuncia-abdicativa al diritto dominicale – istituto mutuato dall’ambito privatistico – nel settore dell’espropriazione per pubblica utilità, al fine di approntare uno strumento di tutela ulteriore per il proprietario leso dall’occupazione illegittima e dalla trasformazione del fondo da parte della P. A., determini un’irrazionalità amministrativa di tipo funzionale.
Il Collegio, infatti, osserva come l’orientamento favorevole ad una tale configurazione della rinuncia-abdicativa non rechi una soluzione certa ed univoca quanto all’individuazione del titulus e del modus adquirendi del diritto di proprietà in capo all’amministrazione occupante, obbligata al risarcimento dei danni, quale conseguenza, in linea generale e circolarmente, dell’effetto privativo generato dal provvedimento ablativo nella sfera giuridica del privato.
In particolare, l’applicazione alle vicende espropriative dell’art. 827 c. c. – uno degli indici normativi dai quali la dottrina civilistica prevalente ricava l’ammissibilità della rinuncia-abdicativa – non è idonea a supportare la configurazione dell’istituto nelle fattispecie espropriative, atteso che la norma de qua contempla l’acquisto a titolo originario del bene al patrimonio disponibile dello Stato piuttosto che la sua acquisizione in capo a diversa amministrazione occupante, che non ne diverrebbe proprietaria, quindi, sebbene l’avvenuto versamento della somma liquidata a titolo risarcitorio.
Ugualmente inconferente risulta la tesi che identifica l’inadempimento dell’amministrazione occupante all’obbligo di corrispondere il controvalore monetario liquidato dal giudice in sede di definizione della controversia quale condizione risolutiva che acceda alla rinuncia alla titolarità del bene, posto che permane lo iato – determinato dall’applicazione estensiva dell’art. 827 c.c. – tra l’effetto abdicativo sortito dalla rinuncia-abdicativa del privato e l’effetto acquisitivo che si realizza in capo all’amministrazione occupante.
Tale impostazione, infatti, – in virtù della quale il provvedimento di liquidazione escluderebbe in via definitiva la verificazione dell’inadempimento, quale evento dedotto in condizione, e sarebbe soggetto a trascrizione (artt. 2643 n. 5) e 2645 c. c), anche al fine della retroazione dell’effetto acquisitivo in capo alla P. A. al momento della rinuncia-abdicativa del proprietario – collide con la funzione precipua assolta dalla trascrizione, tesa ad assicurare l’opponibilità a terzi degli atti di disposizione che abbiano ad oggetto diritti reali, non già ad integrarne la validità o l’efficacia.
Il Collegio, inoltre, confutata la tesi che ravvisa nella rinuncia-abdicativa un’ipotesi di formazione tacita di un accordo traslativo tra parte privata e P. A. ed osserva come l’applicazione in via analogica di altre fattispecie di acquisto a titolo originario – quali gli artt. 923, 940 o 942 c.c. – e la ricostruzione in via pretoria di fattispecie traslative complesse, mediate da eventuali sentenze costitutive, incorrerebbero nella violazione del principio di legalità e del principio di tassatività che presiedono alla disciplina delle fattispecie ablative.
In secondo luogo, l’Alto consesso rileva come l’ermeneusi che ammette la configurazione della rinuncia-abdicativa nelle fattispecie espropriative per pubblica utilità si ponga in contrasto con i principi che informano la disciplina della responsabilità aquiliana, posto che la perdita della proprietà – elemento costitutivo del fatto illecito produttivo del danno – risulterebbe cagionato dal medesimo soggetto danneggiato – quale conseguenza della prestazione della rinuncia al diritto dominicale sul bene – piuttosto che in ragione del rapporto di causalità diretta tra evento dannoso e condotta del soggetto responsabile.
Il Collegio, da ultimo, chiarisce come l’art. 42-bis del d. P. R. n. 327 del 2001 rechi in modo compiuto la disciplina del procedimento volto alla ricomposizione dell’interesse privato del proprietario con l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione del bene in capo alla P. A., la quale – secondo una scelta doverosa nell’an – può decidere di porre termine allo stato di illegalità determinato dall’occupazione illegittima del bene – assunto dal legislatore quale presupposto della norma – attraverso la sua restituzione al privato, previa rimessione in pristino, ovvero mediante l’acquisizione sanante.
La fattispecie normativa di diritto amministrativo settoriale contemplata dall’art. 42-bis del d. P. R. n. 327 del 2001, quale tassativamente predeterminata in sede legislativa, pertanto, non può venire integrata in via analogica mediante il ricorso ad un istituto di matrice prettamente privatistica, quale la rinuncia-abdicativa, che sortirebbe un effetto limitativo e derogatorio dell’istituto dell’acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P. R. n. 327 del 2001.
Tale operazione ermeneutica risulta non necessaria, atteso che l’ordinamento offre una gamma di istituti idonei ad incrementare la garanzia dell’effettività della tutela del proprietario leso dall’illecito permanente della P. A., al quale risulterebbe attribuito altrimenti un diritto potestativo direttamente incidente nella sfera giuridica dell’amministrazione, mediante l’introduzione praeter legem di un’inedita fattispecie ablativa e traslativa, in guisa difforme rispetto ai principi di legalità, tassatività e tipicità che informano la materia dell’espropriazione per pubblica utilità.
Preminenti esigenze di prevedibilità della fattispecie abdicativa/acquisitiva e del traffico giuridico immobiliare, pertanto, impediscono di riconoscere la rilevanza – ai fini della cessazione dell’illecito permanente perpetrato dell’amministrazione attraverso l”occupazione sine titulo del bene – di un atto unilaterale di rinuncia-abdicativa della parte privata al proprio diritto dominicale ed ancorarne l’effetto a manifestazioni di volontà enucleabili da atti processuali privi di contenuto univoco, quale la proposizione di una domanda risarcitoria per equivalente del danno da perdita della proprietà.
Avv. Marco Bruno Fornaciari