La proposizione dell’azione risarcitoria a fronte di una occupazione sine titulo nell’ambito di un procedimento di espropriazione mai completato è un’opzione spettante al proprietario ed implica rinunzia all’azione di restituzione e non già rinunzia-abdicativa al diritto di proprietà; peraltro, l’abdicazione all’azione non interferisce con i poteri discrezionali della P. A. di disporne l’acquisizione sanante ex art. 42-bis, con la conseguenza che l’opzione finale tra restituzione e risarcimento resta pur sempre rimessa alla P. A., sia pure nei limiti in cui residua il relativo potere discrezionale, tenuto conto dell’interesse pubblico alla conservazione dell’opera, ove realizzata (1) (T. A. R. Puglia – Bari, Sez. III, 30 marzo 2020, n. 4555).
Parte ricorrente, Ente di gestione dell’edilizia residenziale pubblica, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale Civile competente per territorio l’Amministrazione resistente, per sentirne dichiarare la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla trasformazione irreversibile di un’area di proprietà della stessa parte attrice, utilizzata dal Comune per la realizzazione di un’opera pubblica, sebbene senza la previa adozione di un valido ed efficace decreto di esproprio per pubblica utilità, giusta gli artt. 23 ss. del vigente D. P. R. n. 327/2001 (T. U. Espr.).
A mente dell’art. 3 della L. n. 458/1988 – applicabile ratione temporis al caso di specie, sussumibile nella fattispecie contemplata dalla norma de qua – il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da un provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene.
Il G. O., peraltro, in accoglimento dell’eccezione formulata dall’Amministrazione convenuta, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, atteso che la sussistenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità dell’opera avrebbe configurato la condotta del Comune quale occupazione di tipo acquisitivo ovvero appropriativa (c. d. accessione invertita) ed avrebbe radicato la giurisdizione in capo al G. A. (cfr. Cass. Civ., S. U., 26 febbraio 1983, n. 1464).
L’attore, pertanto, con ricorso introduttivo notificato all’Amministrazione resistente, riassumeva il giudizio dinanzi al Collegio e riproponeva l’originaria domanda di condanna del Comune intimato, che, costituito in giudizio, eccepiva in via preliminare l’inammissibilità della domanda risarcitoria, configurabile quale rinunzia-abdicativa, in ragione della mancata preventiva formulazione di una domanda di restituzione del bene immobile oggetto dell’occupazione sine titulo e della dedotta acquisizione della res alla mano pubblica mediante l’usucapione asseritamente compiuta in favore dell’Ente locale.
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Il Collegio richiama il più recente indirizzo giurisprudenziale, in virtù del quale l’intervenuta abrogazione dell’istituto dell’accessione invertita, di matrice pretoria e privo di sugello normativo, avrebbe configurato la domanda risarcitoria ex art. 3, comma 1 della L. n. 458/1988 – consequenziale alla irreversibile trasformazione del cespite, realizzata dall’Amministrazione in costanza di una occupazione appropriativa – quale atto di rinunzia-abdicativa al diritto reale sulla res espresso dal proprietario (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3195).
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La realizzazione di un’opera pubblica, invero, costituisce un mero fatto piuttosto che un titolo di acquisto della proprietà del bene immobile in capo all’Amministrazione che consenta di restituire all’alveo della legalità un fatto illecito permanente, quale l’indebita apprensione di un bene immobile di proprietà di un privato effettuata dalla stessa Autorità amministrativa ed illegittima in quanto mantenuta sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità non seguita nei termini da un provvedimento di esproprio (Cons. Stato, Sez. II, 18 luglio 2019, n. 5050).
Secondo l’indirizzo pretorio maggioritario, infatti, nel quadro ordinamentale attuale, che l’introduzione dell’art. 42-bis nel D. P. R. n. 327/2001 ha contribuito ad innovare, soltanto un provvedimento di acquisizione gratuita e non retroattiva al patrimonio indisponibile dell’Amministrazione, responsabile della indebita occupazione di un bene immobile di proprietà di un privato reca un’attitudine estintiva del diritto dominicale di questi sulla res attinta dalla condotta illegittima dell’Autorità amministrativa (cfr. Cons. Stato, A. P., 20 gennaio 2020, n. 2).
In materia di espropriazione per pubblica utilità, pertanto, la necessità di assicurare l’esperimento del procedimento ablatorio in “buona e debita forma” in conformità alla giurisprudenza della Corte EDU, comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della P. A. e la irreversibile trasformazione del bene immobile per la costruzione di un’opera pubblica non diano luogo, anche qualora sussista la dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione (Cass. civ., S. U., 19 gennaio 2015, n. 735; Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 12961; CEDU, 12 gennaio 2006, Sciarrotta e a. c. Italia).
Il superamento dell’istituto dell’occupazione appropriativa in tutte le sue sfumature e variabili giurisprudenziali, in quanto non conforme all’ordinamento convenzionale, rende necessaria, invero, l’applicazione del paradigma riveniente dal combinato disposto degli artt. 2043 e 2058 c. c., che preclude l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica ed accorda al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare contemplata nei confronti di ogni soggetto giuridico, oltre che il risarcimento del danno per equivalente quale atto rinunzia-abdicativa, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c. c. (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 17 maggio 2019, n. 3195; Cons. Stato, A. P., 9 febbraio 2016, n. 2; CEDU, Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura c. Italia).
Nelle ipotesi di illecito spossessamento da parte della Pubblica Amministrazione di un bene immobile di proprietà di un privato e di irreversibile trasformazione del cespite per la costruzione di un’opera pubblica, dunque, la domanda di risarcimento del danno da perdita del bene immobile, commisurato al valore del fondo, integra – in uno alla proposizione della domanda di restituzione, per il cui tramite il privato manifesta interesse al ripristino della relazione di disponibilità materiale con la res – una facoltà rimessa alla scelta del privato quale atto di rinunzia-abdicativa (Cons. Stato, Sez. VI, 24 maggio 2018, n. 3105).
Un distinto indirizzo pretorio richiamato dal Collegio, peraltro, rileva come la ricognizione delle norme del Codice civile che contemplano ipotesi specifiche di rinunzia a diritti reali su cosa altrui escluda la configurazione della rinunzia-abdicativa quale istituto di carattere generale e consenta di inferirne l’ammissibilità nelle sole fattispecie che non determinino una vacatio nella titolarità del bene oggetto di apprensione illegittima da parte dell’Amministrazione, sì da comportare nelle fattispecie di occupazione illegittima di un bene immobile da parte della P. A. la nullità di un atto di rinunzia-abdicativa al diritto dominicale sul cespite, in quanto negozio potenzialmente idoneo a determinare quel vacuum (T. A. R. Piemonte – Torino, Sez. I, 28 marzo 2018, n. 368).
L’atto di rinunzia-abdicativa, inoltre, risulterebbe sottoposto a condizione risolutiva, il cui mancato inveramento sarebbe rappresentato dal provvedimento con il quale l’Amministrazione attenda all’effettiva liquidazione del danno, soggetto a trascrizione quale adempimento necessario al conseguimento degli effetti dell’acquisizione sanante del diritto reale sul bene immobile in capo all’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636).
Il Collegio, peraltro, rileva come la domanda di condanna al risarcimento del danno, proposta dal proprietario di un bene immobile oggetto di occupazione sine titulo e di irreversibile trasformazione da parte della P. A., sia sussumibile, quale rinunzia all’azione di restituzione del bene, nel novero di più opzioni alternative, nessuna delle quali risulta prodromica né pregiudiziale all’altra, piuttosto che quale rinunzia-abdicativa al diritto dominicale sulla res.
La più recente giurisprudenza civile di legittimità, invero, ha affermato come la scelta dei rimedi a tutela della proprietà sia pur sempre riservata al privato danneggiato, al quale, in particolare, non può imputarsi, anche sub specie di preclusione processuale della domanda risarcitoria, il mancato esperimento del rimedio restitutorio in forma specifica, riconosciuto sia dall’ordinamento interno che da quello internazionale a tutela della proprietà privata (cfr. Cass. Civ., Sez. I, ord. 8 gennaio 2020, n. 144).
Secondo la condivisa giurisprudenza, d’altronde, anche nelle ipotesi di annullamento giurisdizionale del procedimento ablatorio ovvero di suo mancato perfezionamento mediante l’adozione di un decreto di esproprio, la ratio legis sottesa alla disciplina di cui all’art. 42-bis del D. P. R. n. 327/2001- perfettamente inquadrabile nella cornice costituzionale dei limiti che assistono il diritto di proprietà privata (art. 42 Cost.) – ed il principio di atipicità che informa il disposto dell’art. 34, lett. c) c. p. a. impongono che una pronuncia di condanna della stessa Autorità amministrativa si esaurisca nell’enunciazione dell’obbligo generico di assumere una determinazione in punto di adozione o meno di un provvedimento di acquisizione sanante al proprio patrimonio indisponibile del bene immobile oggetto di occupazione illegittima.
Il potere sanante riconosciuto alla P. A. dall’art. 42-bis del D. P. R. n. 327/2001 a titolo originario ed autonomo – soggetto esclusivamente alla valutazione comparativa degli interessi imposta dal Legislatore, in guisa da porre in essere un valido titolo di acquisto dell’area sulla quale insiste l’opera pubblica – risulterebbe eliso, infatti, dal vincolo del giudicato riveniente da una pronuncia che condannasse sic et simpliciter la stessa Autorità amministrativa alla restituzione al privato del bene illegittimamente trasformato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 luglio 2015, n. 3363; Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7334; T. A. R. Puglia – Bari, Sez. III, 10 settembre 2014, n. 1104).
D’altra parte, il mancato riconoscimento al proprietario inciso da una occupazione appropriativa di una tutela reale del proprio diritto dominicale sul cespite attinto dall’illecito permanente perpetrato dall’Autorità amministrativa e la necessità di impedire la reintroduzione nell’ordinamento interno di tale istituto – quale forma surrettizia di espropriazione indiretta, in guisa difforme dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU – avrebbero escluso specularmente, in costanza dell’applicazione della c. d. accessione invertita, la valenza prospetticamente acquisitiva del possesso in capo all’indebito occupante (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 13 agosto 2019, n. 5703; T. A. R. Puglia – Lecce, Sez. I, 17 luglio 2019, n. 1276).
Nelle ipotesi di occupazione sine titulo per ragioni di pubblica utilità, pertanto, l’usucapione potrebbe compiersi soltanto quante volte sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta, si possa individuare il momento esatto del compimento della interversio possessionis e si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del D. P. R. n. 327/2001 (Cons. Stato, A. P., 9 febbraio 2016, n. 2).
Avv. Marco Bruno Fornaciari