Presupposti per il rimborso delle spese-legali sostenute dal pubblico dipendente per la difesa in giudizio per fatti attinenti il proprio lavoro sono la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento definitivo del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente, e la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali (Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137).
L’art. 18 della l. n. 67 del 1997, come convertito nella l. n. 135 del 1997, assegna all’Amministrazione un peculiare potere valutativo in ordine all’an ed al quantum del rimborso delle spese-legali sostenute dal dipendente relativamente a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa – promossi nei suoi confronti in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità – e, con l’ausilio del parere di natura obbligatoria e vincolante dell’Avvocatura dello Stato, della loro congruità.
A fronte della natura tecnico-discrezionale del parere sulle spese-legali rimesso all’Amministrazione – che assume alla propria base non l’importo preteso dal difensore o quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito, ma le effettive necessità difensive – sussiste in capo al dipendente una posizione di interesse legittimo.
La univoca e convergente giurisprudenza di legittimità e del Consiglio di Stato hanno identificato due presupposti indefettibili per l’applicazione del rimborso delle spese-legali ex art. 18 della l. n. 67 del 1997, quali la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente all’esito di un accertamento della assenza di responsabilità, anche nella ipotesi di applicazione dell’art. 530, comma 2 c. p. p.; e la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
Il rimborso delle spese-legali contemplato dall’art. 18 della l. n. 67 del 1997, pertanto, in tale guisa appronta una tutela per il dipendente statale che, sebbene innocente, abbia dovuto difendersi nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti nell’esercizio del munus publicum – sia stato coinvolto nel procedimento penale, in quanto sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, ma ugualmente involgenti il dipendente.
In tali ultime ipotesi ed ai fini del proscioglimento del dipendente statale, viene meno il discrimen tra natura attiva ovvero omissiva della condotta oggetto della contestazione, in quanto assume rilievo l’accertamento giudiziale della estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio e calunnioso delle dichiarazioni altrui.
Infine, individuata la ratio della regola del rimborso delle spese-legali per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio nella necessità di un nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del munus publicum, onde “evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere“, il Collegio esclude che in materia rilevino di per sè le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, atteso che l’art. 18 della l. n. 67 del 1997 ha indicato i presupposti indefettibili per la spettanza del rimborso.
Avv. Marco Bruno Fornaciari