La verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale costituisce un procedimento di valutazione preliminare (c. d. screening) autonomo e non necessariamente propedeutico alla V. I. A. vera e propria, con la quale condivide l’oggetto – “l’impatto ambientale”, inteso come alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente – ma su un piano di diverso approfondimento (1).
Nella fase della verifica di assoggettabilità a V. I. A. di un progetto (c. d. screening), l’Amministrazione ha la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, come espressamente previsto dall’art. 19, comma 6 d.lgs 3 aprile 2006, n. 152. Nell’inserire tale previsione, il legislatore ha evidentemente inteso introdurre un elemento di discrezionalità valutativa anche in ordine alla scelta tra allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte, ovvero addivenire al diniego allo stato degli atti, avendo esso ad oggetto non la V. I. A., ma la mera possibilità di pretermetterla (2).
Nella fase della verifica di assoggettabilità a V. I. A. di un progetto (c. d. screening), non è dovuto l’invio del preavviso di rigetto ex art.10-bis, l. n. 241 del 1990, giusta l’assoluta specialità del procedimento de quo, che resta un – eventuale – passaggio verso la V. I. A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le necessarie istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte vorrà addurre, in quanto essa si risolvibile in un atto di diniego (3) (Cons. Stato, Sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379).
Con la sentenza di cui agli estremi dedotti in epigrafe, il Collegio definisce il ricorso in appello interposto dalla Regione Umbria – quale Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione unica nella fattispecie oggetto di giudizio (art. 12, comma 3, L. 29 dicembre 2003, n. 387) – per la riforma della sentenza del Giudice del primo grado di giudizio, che aveva accolto l’impugnativa formulata dalla società appellata avverso il provvedimento di assoggettabilità a V. I. A. del progetto relativo alla realizzazione di una centrale fotovoltaica (T. A. R. Umbria – Perugia, Sez. I, 26 aprile 2012, n. 152).
Con l’articolazione di quattro distinti motivi di censura, l’originaria ricorrente deduceva in primo luogo come il gravato provvedimento – adottato dal Servizio Valutazioni ambientali, VIA, VAS e Sviluppo sostenibile, quale Autorità procedente in sede di conferenza di servizi istruttoria ex art. 14, comma 1 L. 241/1990 – assumesse quale supporto dell’impianto motivazionale il solo parere con il quale il Servizio VII del Territorio del Paesaggio Tecnologie dell’informazione richiedeva all’operatore economico proponente di attendere alle necessarie integrazioni documentali, quali contemplate dall’attuale la cui richiesta viene contemplata dall’art. 19, comma 6 D. Lgs. 152/2006 (c. d. Codice dell’ambiente).
I profili di illegittimità determina dirigenziale impugnata, inoltre, avrebbero riguardato la mancata adozione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/1990 – ritenuta necessaria quante volte l’adozione del successivo provvedimento amministrativo possa arrecare pregiudizio alla posizione giuridica del privato –, nonché la congruità dei criteri prescritti al soggetto proponente per l’integrazione documentale degli elaborati progettuali già presentati, in uno alla mancata valorizzazione del contenuto recato dagli altri pareri acquisiti al procedimento di verifica di cui algli artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006.
L’Ente regionale, costituito in resistenza nella fase cautelare, deduceva come la disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto di giudizio dovesse essere individuata, segnatamente, nell’art. 20 del D. Lgs. 152/2006, nella versione anteriore agli emendamenti introdotti dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 (c. d. correttivo), in ragione dell’adeguamento della L. R. 16 febbraio 2010, n. 12 alla novella normativa, intervenuto soltanto con la DGR 861/2011, ovvero in un momento asseritamente successivo all’avvio del procedimento di verifica della sottoposizione a V. I. A. mediante istanza di parte ex art. 12, commi 3 e 4 L. 387/2003.
Il Giudice di prima istanza rilevava come la Regione, in sede di definizione del procedimento ex art. 19 D. Lgs. 152/2006, avrebbe dovuto assumere una determinazione negativa con riferimento alla sottoposizione a V. I. A. del progetto presentato dal soggetto proponente, atteso che l’art. 20, comma 4 del Codice – nella versione successiva al D. Lgs. 128/2010, ritenuta applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio, giusta l’art. 10 Disp. prel. c. c. e l’art. 4, commi 4 e 5 del correttivo – limitava il potere dell’Autorità competente alla verifica dei possibili effetti negativi e significativi sull’ambiente, sebbene preceduta dalla richiesta delle necessarie integrazioni documentali.
La collocazione dell’area d’interesse in un ambito adiacente un’area boscata sottoposta a vincolo paesaggistico, in uno al concorso nella determinazione del valore del paesaggio del territorio ed alla presenza di elementi paesaggisticamente qualificanti lineari arborate e qualche quercia isolata, pertanto, avrebbe reso necessario opporre il diniego alla sottoposizione a V. I. A. dell’opera, attesa, inoltre, la intervenuta realizzazione, in prossimità dell’ambito di realizzazione dell’intervento antropico, di un impianto fotovoltaico non acquisito quale elemento in sede di valutazione di impatto paesaggistico, sebbene rilevante.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, inoltre, il documento istruttorio allegato alla DGR 30 giugno 2008, n. 306 e gli artt. 10 ed 11 della L. R. 12/2010 – integranti il quadro normativo regionale applicabile al procedimento di verifica della sottoposizione a V. I. A. ex art. 19 s. D. Lgs. 152/2006 – non avrebbero importato alcuna deroga al principio dell’esclusione dal procedimento di autorizzazione ambientale dei progetti che non rechino un impatto negativo e significativo sull’ambiente, in disparte la possibile prescrizione degli interventi necessari per l’adeguamento del progetto del soggetto proponente alla disciplina vigente.
L’assunto inerente all’applicazione nella fattispecie oggetto di giudizio dell’art. 20, comma 4 D. Lgs. 152/2006, nella versione anteriore agli emendamenti apportati dal D. Lgs. 128/2010, quale dedotta dalla difesa dell’Amministrazione regionale intimata, inoltre, avrebbe dovuto essere disatteso in ragione della portata innovativa del D. Lgs. 128/2010, confermata dall’assenza – nel disposto dell’art. 4 D. Lgs. 128/2010 di alcuna deroga al criterio che presiede all’efficacia della legge nel tempo (art. 10 Disp. prel. c. c.), attesa, inoltre, la norma di cui all’art. 4, comma 5 del correttivo, intesa alla composizione degli equivoci procedimentali che potessero conseguire alla immediata operatività della inedita disciplina.
Il Collegio, invero, rilevava, con il conforto della richiamata giurisprudenza, come l’applicazione nel caso di specie della disciplina di cui al Codice dell’ambiente, nella versione riveniente dalla novella apportata dal D. Lgs. 128/2010, dovesse essere comunque affermata, sebbene l’intervenuto adeguamento dell’ordinamento regionale alla nuova normativa mediante l’adozione della D. G. R. 861/2001, ovvero in un momento asseritamente soltanto successivo all’avvio del procedimento di verifica di sottoposizione alla V. I. A.
In materia ambientale, infatti, il rapporto tra la legislazione nazionale e la normativa di fonte regionale importa la necessaria osservanza, nell’ordinamento dell’Ente territoriale, della disciplina di fonte statale, peraltro derogabile in melius onde stabilire livelli di tutela più elevati che assicurino il perseguimento dei fini sottesi alle competenze che integrano la sfera di attribuzioni della Regione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9375).
La D. G. R. 861/2011, pertanto, recava le specificazioni tecniche e procedurali necessarie al fine di rendere compatibile la procedura di V. I. A. alla inedita disciplina introdotta dal correttivo, in fase di prima applicazione e sino all’emanazione della normativa regionale di riferimento, in osservanza dell’art. 4, comma 4 del D. Lgs. 128/2010, che prescriveva l’adeguamento dell’ordinamento dell’Ente territoriale entro dodici mesi dall’entrata in vigore dell’atto avente forza di legge, mediante la conformazione dell’impianto normativo a criteri di tutela giuridica analoghi alla legislazione statale, immediatamente applicabile, sebbene l’efficacia medio tempore delle disposizioni regionali compatibili.
Il Giudice di prima istanza, pertanto, riteneva come la disciplina applicabile nella fattispecie oggetto di giudizio dovesse essere individuata nell’art. 20 D. Lgs. 152/2006, nella versione anteriore all’entrata in vigore del D. Lgs. 128/2010, in quanto pubblicato sulla G. U. R. I. del 29 giugno 2010 vigente dal 15 luglio 2010, ovvero in un torno di tempo che precedeva l’avvio effettivo del procedimento di verifica ex artt. 19 s. del Codice, individuato nella data di proposizione, da parte del medesimo operatore economico, dell’istanza di verifica di sottoposizione a V. I. A. del progetto relativo ad un distinto impianto fotovoltaico.
In punto di merito, il Collegio precisava come il concetto di impatto ambientale postuli la necessaria incidenza delle opere sottoposte a valutazione sugli elementi naturalistici del territorio, in guisa da importarne la modifica in termini invasivi e penetranti.
Il procedimento di V. I. A., pertanto, risulterebbe integrato da un giudizio comparativo, informato alla necessaria salvaguardia di preminenti valori ambientali ed alla tutela dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera, onde stabilire l’ammissibilità o meno delle alterazioni conseguenti all’intervento antropico (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2006, n. 129; Cons. Stato, Sez. VI, 26 agosto 2003, n. 4841).
Il rilievo rinviene corrispondenza nel disposto dell’art. 20, commi 4 e 5 D. Lgs. 152/2006, quale emendato dal D. Lgs. 128/2010, che attribuisce all’Autorità la competenza a verificare – sulla scorta delle osservazioni pervenute ed alla stregua dei criteri di cui all’Allegato allo stesso Codice – il possibile pregiudizio per l’ambiente conseguente alla realizzazione dell’intervento antropico, in uno all’esclusione del progetto dalla assoggettabilità a V. I. A. quante volte l’opera non rechi effetti negativi e significativi per il bene ambiente, in disparte la prescrizione degli interventi necessari per assicurarne l’adeguamento alla normativa vigente.
La configurazione degli effetti negativi e significativi sull’ambiente rivenienti dall’intervento antropico quale criterio che condiziona il procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A. ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, peraltro, avrebbe rinvenuto conferma nel disposto degli artt. 9 e 10 della L. R. 12/2010, che contemplano l’esperimento di una procedura di V. I. A. semplificata per i piani ed i programmi già sottoposti a procedura di V. A. S. e sottopongono a V. I. A. i progetti di opere ovvero gli interventi enumerati negli Allegati IV e V alla Parte II del Codice, previo esperimento della fase di screening di cui agli artt. 19 s. T. U. Ambiente.
Il Giudice di prime cure, pertanto, accoglieva l’articolato motivo di ricorso, con il quale il soggetto proponente aveva censurato il provvedimento recante di sottoposizione a V. I. A. del progetto relativo ad un impianto fotovoltaico, in ragione della ritenuta necessità di attendere ad un maggiore approfondimento di alcuni profili dell’opera – come richiesto nel parere del Servizio VII – piuttosto che per gli effetti in tesi negativi e significativi sull’ambiente conseguenti alla realizzazione dell’intervento antropico.
Il rilievo sarebbe risultato assistito, sul piano probatorio, da molteplici elementi, quali l’obliterazione – nel gravato provvedimento adottato dall’Amministrazione regionale e recante la sottoposizione a V. I. A. del progetto di impianto – degli esiti ai quali era pervenuta la conferenza di servizi istruttoria ex art. 14, comma 1 L. 241/1990 (art. 12, comma 3 L. 387/2003), nonché la giustificazione – nei successivi pareri resi dai distinti Servizi interni coinvolti per competenza – della sottoposizione del progetto a V. I. A. in ragione della ricaduta parziale del terreno da adibire a centrale in un’area a frana quiescente e della semplice possibilità di impatti visuali per i vicini centri abitati.
Il Collegio rilevava come i criteri assunti dall’Ente regionale nell’adozione del provvedimento di sottoposizione a V. I. A. dell’intervento antropico – in guisa conforme al parere reso dal Servizio VII in ordine agli effetti positivi, in termini di salvaguardia del paesaggio, rivenienti dalla prescrizione di condizioni più restrittive per la concessione degli incentivi in presenza di molteplici impianti fotovoltaici – importassero una diversa dislocazione dell’opera, l’osservanza di una serie di oneri ovvero una diversa conformazione dell’impianto progettato.
Il Giudice di primo grado rilevava come il profilo paesaggistico non risultasse adeguatamente integrato nel parere reso dal Servizio VII, in disparte la questione della sua rilevanza sul bene ambiente, in guisa che la determinazione assunta dall’Amministrazione regionale nel provvedimento impugnato non sarebbe risultata conforme all’accertamento dei possibili effetti negativi e significativi sull’ambiente contemplati dalla art. 20, comma 4 D. Lgs. 152/2006, nella formulazione applicabile ratione temporis nella fattispecie oggetto di giudizio, quale presupposto per la sottoposizione dell’opera al procedimento di V. I. A.
La tutela del paesaggio urbano, rurale e naturale, invero, potrebbe essere annoverata soltanto in termini ampi nella salvaguardia degli interessi ambientali stricto sensu intesi, in quanto inerenti ad un impiego economico dell’ecosistema che non importi alterazione alcuna di equilibri economici essenziali per la collettività, sì da ammettere il coordinamento tra interesse alla protezione integrale ed altri interessi soltanto negli stretti limiti in cui il complesso dei beni compresi nell’area protetta non risulti modificata in modo significativo dall’utilizzo del territorio (Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2011, n. 2329; Cons. Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213).
La peculiarità del procedimento di cui agli artt. 19 ss. D. Lgs. 152/2006, sebbene destinato a confluire nel procedimento autorizzatorio ex art. 12, commi 3 e 4 L. 387/2003, dovrebbe essere individuata, invero, nel giudizio relativo ai riflessi dell’intervento sull’ambiente, quale solo elemento integrante l’atto che definisce la procedura di verifica della sottoposizione a V. I. A., senza recare prescrizioni ulteriori, inerenti alla realizzazione del progetto, ma estranee sia al fine procedimentale che al contenuto tipico dell’atto finale, sebbene imposte dall’Amministrazione sotto specie di criteri prescritti nell’ottemperanza della richiesta di integrazione documentale (art. 19, comma 6 D. Lgs. 152/2006) (T. A. R. Puglia – Bari, Sez. I, 22 aprile 2010, n. 1483; T. A. R. Toscana – Firenze, Sez. II, 12 gennaio 2010, n. 17).
Il Collegio, da ultimo, rilevava come le integrazioni al progetto presentato dal soggetto proponente, richieste nei successivi pareri resi dai distinti Servizi interni, avrebbero dovuto costituire oggetto di una preventiva comunicazione al soggetto proponente mediante l’adozione del c. d. preavviso di rigetto (i. e. diniego) di cui all’art. 10-bis L. 241/1990, in guisa da assicurare in sede procedimentale l’osservanza del contraddittorio sulle ragioni ritenute dall’Amministrazione ostative all’adozione del provvedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 256).
L’Amministrazione regionale, pertanto, interponeva atto di appello per la riforma della statuizione del Giudice di prime cure, di cui chiedeva l’annullamento in uno al rigetto del ricorso introduttivo, e deduceva come la natura preliminare della valutazione di screening, sottesa al procedimento ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, avrebbe escluso l’applicazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 in assenza dell’adozione di un effettivo provvedimento di diniego, nonché l’inammissibilità dei motivi di censura articolati avverso i singoli pareri istruttori, attesa l’indebita inerenza al merito della discrezionalità amministrativa.
L’originaria ricorrente si costituiva in resistenza nel giudizio di gravame mediante atto di stile, successivamente integrato con dettagliata memoria in controdeduzione, con la quale deduceva nuovamente l’applicabilità ratione temporis alla fattispecie oggetto di giudizio dell’art. 20 D. Lgs. 152/2006, come novellato dal D. Lgs. 128/2010, ed insisteva per la conferma della sentenza del Giudice di primo grado, che aveva annullato la delibera regionale di sottoposizione a V. I. A. del progetto presentato dall’operatore economico, in ragione della insufficiente motivazione del provvedimento di conclusione del procedimento ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006 con riferimento al potenziale pregiudizio ambientale.
La società appellata, inoltre, precisava come il richiamo ai princìpi di matrice europea di precauzione e di prevenzione, quali enucleati nell’art. 191 TFUE ed invocati dalla Regione appellante, non importasse la sottoposizione al procedimento di V. I. A., su base meramente probabilistica di un pregiudizio per l’ambiente, dell’intervento antropico, nonché come la omessa valutazione del significativo impatto ambientale ex art. 20 D. Lgs. 152/2006 risultasse confermata dalle modifiche progettuali, in disparte la natura autonoma del procedimento di screening rispetto alla V. I. A., che avrebbe reso necessaria la comunicazione del c. d. preavviso di rigetto.
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La Sezione, premessa una breve ricognizione del quadro normativo che presiede alla disciplina della materia, richiama la natura preliminare del procedimento di verifica ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006 rispetto al procedimento di V. I. A., il cui esperimento postula la sussistenza di presupposti oggettivi, quale la sussunzione di un dato progetto nel novero degli interventi per i quali il T. U. Ambiente ovvero la normativa di fonte regionale contemplano, in termini obbligatori ovvero facoltativi, la verifica ambientale (Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403).
Il rapporto tra il procedimento di verifica della sottoposizione a V. I. A. – che perviene ad un giudizio di necessario approfondimento sostanziale piuttosto che ad un diniego di provvedimento – ed il procedimento di autorizzazione ambientale, pertanto, risulta configurabile graficamente alla stregua di cerchi concentrici, il cui nucleo comune è integrato dalla valutazione – sommaria e preliminare ad un tempo e, successivamente, definitiva – dell’intervento antropico, alla cui realizzazione risultino in tesi associate conseguenze negative per l’ambiente, in guisa da giustificare l’adozione del successivo diniego del provvedimento di autorizzazione ambientale.
Il procedimento di verifica della sottoposizione a V. I. A. ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, pertanto, nella configurazione dell’istituto riveniente dal dato positivo, anticipa in termini sostanziali la procedura di valutazione ambientale, mediante la delibazione dell’opportunità dell’esperimento o meno dello stesso procedimento di autorizzazione, previo il sommario accertamento della sussistenza dei necessari presupposti, onde assicurare, in guisa conforme alle coordinate che si ricavano dal testo costituzionale, che la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) “non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale” (T. A. R. Abruzzo – L’Aquila, 18 febbraio 2013, n. 158; T. A. R. Friuli – Venezia Giulia – Trieste, Sez. I, 9 aprile 2013, n. 233; T. A. R. Sardegna – Cagliari, Sez. II, 30 marzo 2010, n. 412).
I princìpi europei di precauzione e di prevenzione ex art. 191 TFUE, quali richiamati da parte appellante, integrano, dunque, in termini soltanto ipotetici, il necessario postulato del giudizio di nocività per l’ambiente sotteso al procedimento di verifica della sottoposizione a V. I. A. di cui agli artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, atteso che l’esigenza di tutela dell’ambiente alla quale risulta informato il procedimento di autorizzazione ambientale rende necessario disporre il necessario approfondimento progettuale dell’opera, in disparte la mera richiesta di integrazioni e chiarimenti in fase di screening e lungi dall’adozione di una logica sanzionatoria.
Esclusa l’aprioristica sottoposizione di un progetto a V. I. A. – in osservanza dei richiamati princìpi di matrice europea – quante volte intervengano dubbi sulla probabilità di un danno all’ambiente, insuscettibile di incidere sulla portata della specifica disciplina, la necessaria esplicitazione – in termini possibilistici ovvero probabilistici – del grado di nocumento ambientale derivante dall’intervento antropico importerebbe la limitazione della discrezionalità amministrativa nel procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A. secondo parametri non desumibili dalla norma.
Il procedimento di screening ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, invero, integra un giudizio di prognosi, immanente alla natura preventiva del procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A., sebbene la sussistenza di fattori obiettivamente esternati, che ipotizzino il carattere lesivo dell’opera, renda necessario disporre – sulla base di un’adeguata motivazione – l’approfondimento degli esiti finali della verifica preliminare, piuttosto che impedire la realizzazione dell’intervento, onde cautelare la collettività e l’ambiente, secondo un grado di approfondimento diverso da quello richiesto in sede di V. I. A., altrimenti configurata quale mero duplicato procedimentale.
La ricognizione dei criteri enucleati nell’Allegato V al Codice – richiamati dall’art. 20 D. Lgs. 152/2006 nella versione anteriore anteriore al c. d. correttivo, in uno alle osservazioni rese possibili per ogni interessato successivamente alla pubblicazione della progettualità – rende evidente come gli effetti negativi e significativi sull’ambiente non risultino annoverati tra i criteri che devono informare la valutazione dell’Autorità competente nel procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A., il cui giudizio finale in ordine al carattere lesivo di ogni progettualità – ex se ovvero in relazione alla stesso – è attribuito alla più ampia discrezionalità dell’Autorità competente.
Nel giudizio di compatibilità ambientale di natura complessiva, pertanto, l’impatto sul paesaggio non esaurisce i profili che devono essere scrutinati in sede di verifica della sottoposizione a V. I. A., sebbene risulti idoneo alla motivazione in termini adeguati del necessario esperimento del procedimento di autorizzazione piuttosto che una valutazione negativa di assoggettabilità al procedimento di valutazione dell’impatto ambientale, di guisa che la marcata rilevanza attribuita alla tutela del paesaggio quale mera componente del bene ambiente complessivamente inteso, ovvero integrato dalla molteplici istanze che confluiscono al suo interno, non infirma necessariamente la legittimità del provvedimento gravato.
Il rilievo rinviene corrispondenza nel richiamo del parere reso dal Servizio interno – ripreso nella motivazione del provvedimento finale – ad un’accezione letterale della stessa nozione di paesaggio, quale si ricava dall’accertamento che “l’area occupata dall’impianto in oggetto non ricade all’interno di una zona vincolata, ma insiste in un ambito territoriale adiacente un’area boscata sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g) del D. Lgs. n. 42/2004“, lungi, peraltro, dalla integrazione della sola motivazione sottesa alla determinazione assunta dall’Amministrazione in ordine alla sottoposizione a V. I. A. del progetto.
I profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa ed istituzionale – in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti dall’intervento antropico – che connotano il giudizio attribuito all’Autorità competente nel procedimento di V. I. A., invero, importato che il sindacato del G. A. in materia risulti limitato all’accertamento della manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti ovvero alla sussistenza di macroscopici difetti di istruttoria, posto che il procedimento di autorizzazione non si esaurisce in una mera valutazione tecnica alla stregua di oggettivi criteri di misurazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1783; T. A. R. Lombardia, Sez. III, 8 marzo 2013, n. 627).
La necessaria esplicitazione delle ragioni sottese alla comparazione tra i benefici dell’opera ed i potenziali impatti pregiudizievoli per l’ambiente – con riferimento agli apporti istruttori intervenuti nel corso del procedimento – richiesta all’Autorità procedente secondo il paradigma procedimentale assunto nel nostro ordinamento, inoltre, importa l’individuazione dell’assenza di idonea motivazione quale ulteriore motivo di censura del provvedimento che definisce il procedimento di V. I. A. e possibile oggetto di scrutinio giurisdizionale (cfr. T. A. R. Marche, 9 gennaio 2014, n. 31).
L’assunto è viepiù rilevante con riferimento al procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A. ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, nel quale il potere discrezionale riconosciuto all’Autorità competente risulta maggiormente ampio e doverosamente informato a più rigorose esigenze di cautela in ragione dei profili di sostanziale sommarietà che ne connotano l’esercizio in fase di screening, non preclusiva degli esiti della successiva autorizzazione ambientale in quanto sede di una delibazione preliminare affrancata dal riferimento alla portata lesiva ed incisiva dell’impatto ambientale quale esclusivo criterio di valutazione.
La giurisprudenza richiamata dalla Sezione, invero, ha precisato come il procedimento di V. I. A. e la procedura di screening, sebbene integrino il più ampio procedimento di realizzazione di un’opera ovvero di un intervento, abbiano configurato – nella dottrina e nella giurisprudenza prevalenti e sin dal principio della loro introduzione nell’ordinamento interno con il D. P. R. 12 aprile 1996 – procedimenti dotati di autonomia, attesa la necessità di assicurare tutela all’ambiente, quale interesse specifico, nonché di esprimere una valutazione definitiva, recante ex se immediata portata lesiva dei valori ambientali, a fortiori nelle ipotesi di esito procedimentale negativo (Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213).
Gli atti che definiscono il procedimento di sottoposizione a V. I. A. di cui agli artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006, pertanto, risultano immediatamente impugnabili, benché connotati dal richiamato grado di provvisorietà, lungi dalla qualificazione in termini di indebito onere aggiuntivo di una regola posta in ragione della necessaria tutela dell’ambiente ovvero dalla configurazione dall’articolata struttura del procedimento di V. I. A. – ragione dei molteplici interventi di riforma che si sono succeduti con finalità di semplificazione – quale profilo di rilievo precipuo in sede autorizzazione ambientale rispetto agli obiettivi di tutela sottesi al recepimento dell’istituto nell’ordinamento interno.
La V. I. A., quale contemplata dall’art. 3 della Direttiva 85/337/CEE, successivamente modificata dalla Direttiva 97/11/CE, viene configurata – in guisa analoga al modello statunitense di Enviromental Impact Statement ed all’istituto francese dell’Etude d’Impact – alla stregua della valutazione di un progetto, integrata sia da un profilo oggettivo, riferito alla possibile incidenza di un progetto su diversi fattori, sia da un profilo esecutivo, inerente all’individuazione di effetti negativi e di ampia portata sul patrimonio ambientale, recepiti nell’ordinamento interno mediante il varo del Codice dell’ambiente di cui al D. Lgs. 152/2006 s. m. i., che reca la disciplina anche del procedimento di screening ex artt. 19 s. T. U. Ambiente.
Il Collegio ritiene fondato il motivo di impugnazione della sentenza di primo grado, articolato da parte appellante con riferimento alla dedotta neutralità, nella fattispecie oggetto di giudizio, della modifica apportata dal D. Lgs. 128/2010 alla disciplina del procedimento di verifica della assoggettabilità a V. I. A. di cui all’art. 20 D. Lgs. 152/2006 – peraltro oggetto di recente interpolazione con il D. L. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” -, atteso che la necessità di integrare il giudizio di valore in assoluto dell’intervento antropico ad un giudizio di intensità non costituisce un profilo inedito riveniente dall’intervento riformatore del 2010.
La novella del Codice recata dal c. d. correttivo, invero, configura un’operazione generale di restyling in termini di drafting, atteso che l’intervento legislativo non si esaurisce nella modifica dell’art. 20 D. Lgs. 152/2006, nei termini della prescrizione di un giudizio preliminare maggiormente compiuto, ma ha inciso anche sul disposto dell’art. 6, comma 5, quale più generale parte definitoria, in guisa da rendere necessaria – in sede di valutazione preliminare ex artt. 19 s. e nel procedimento di V. I. A. – la verifica del disvalore del progetto presentato dal soggetto proponente sotto il profilo qualitativo, nonché l’entità della stessa opera sotto il profilo quantitativo.
La Sezione, d’altra parte, rileva come l’assunto dell’Amministrazione regionale – che ritiene applicabile nel caso di specie l’art. 20 D. Lgs. 152/2006 nella versione previgente alla novella di cui al D. Lgs. 128/2010, anche in ragione della disposizione transitoria e finale di cui all’art. 35 del Codice – non risulti condivisibile, posto che l’art. 4, comma 5 del decreto correttivo prescriveva la definizione del procedimento di autorizzazione secondo le norme vigenti al momento dell’avvio soltanto per le procedure di V. A. S., V. I. A. ed A. I. A. avviate nel torno di tempo precedente all’entrata in vigore dello stesso decreto, al quale risulta ascrivibile la sola istanza ex art. 12, commi 3 e 4 L. 387/2003, in un primo tempo presentata dal soggetto proponente e, successivamente, interamente sostituita a seguito di interlocuzioni con la Regione.
L’applicazione dei criteri generali del tempus regit actum, enucleati nell’art. 10 disp. prel. c. c., al di fuori del perimetro di applicazione della norma derogatoria di cui all’art. 4, comma 5 D. Lgs. 128/2010 non viene meno in ragione della disposizione transitoria e finale di cui all’art. 35, comma 1 D. Lgs. 152/2006, che attribuisce alle Regioni la competenza ad adeguare l’ordinamento dell’Ente locale alle disposizioni del T. U. Ambiente entro dodici mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni di fonte statale, quante volte risulti necessario e salva la diretta applicazione medio tempore delle norme regionali compatibili.
La Sezione, pertanto, in adesione alla ricostruzione effettuata dal Giudice di primo grado, respinge il primo motivo di appello, anche sulla scorta della normativa regionale di attuazione, recata dalla Delibera n. 861/2011, che – secondo la prospettazione dell’Amministrazione appellante – avrebbe condizionato l’entrata in vigore della novella di cui al D. Lgs. 128/2010, sebbene l’individuazione nell’immediato di accorgimenti tecnici da adottare nei procedimenti di V. I. A. e nella preliminare fase di screening, onde assicurare – in termini tempestivi e nelle more dell’adeguamento dell’ordinamento regionale ex art. 4, comma 4 D. Lgs. 128/2010 – una minima conformazione alle vigenti indicazioni nazionali.
Il Collegio, rilevato come la nozione di ambiente – quale criterio sotteso alla valutazione, in via preliminare o meno, dell’impatto – risulti più ampia di quella di paesaggio, attesa la contestualizzazione dell’intervento anche in termini comparativi rispetto alle esternalità positive associate alla sua realizzazione, nonché le evidenze che derivano dalla ricognizione del quadro normativo, precisa che la statuizione del Giudice di primo grado, sebbene l’affermazione di tale portata più generale, abbia argomentato in senso critico rispetto al parere del Sevizio VII, che sottende esclusivamente siffatta esigenza di salvaguardia, oltre ad essere formulato in termini contraddittori in ragione del riferimento alle proposte integrazioni progettuali.
Il Giudice di prime cure, pertanto, ha omesso di attribuire il dovuto rilievo alle molteplici risultanze istruttorie rivenienti dai pareri definitivi resi dai distinti Servizi interni coinvolti per competenza – recanti un esito conforme in ordine alla necessità di sottoporre a V. I. A. il progetto del soggetto proponente, in disparte l’effettiva allocazione dell’impianto – ed oggetto di integrale richiamo per relationem nella motivazione del gravato provvedimento ex artt. 19 s. adottato dall’Amministrazione regionale, che assume quale elemento di precipua importanza il richiamato parere reso dal Servizio VII.
D’altra parte, le prescrizioni recate dall’avversato provvedimento regionale sub specie di integrazioni documentali ovvero chiarimenti richiesti dall’Autorità competente al soggetto proponente, giusta l’art. 20, comma 4 D. Lgs. 152/2006 nella versione applicabile ratione temporis, non avrebbero importato l’imposizione – resa possibile soltanto in caso di esito positivo della fase di screening – dell’adozione dei possibili rimedi individuati onde ovviare all’alterazione della visuale, intesa quale profilo del rilevato impatto sul paesaggio, atteso che la relativa prospettazione assolve alla necessaria individuazione delle criticità.
L’assenza di un esito finale negativo nel procedimento di verifica di assoggettabilità a V. I. A. di cui agli artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006 – che perviene alla sola decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto – rende l’avversato provvedimento ontologicamente incompatibile con la necessità di adottare il c. d. preavviso di rigetto ex art. 10-bis L. 241/1990, che risulta non invocabile anche per gli atti recanti profili di assoluta specialità, come nella fattispecie oggetto di giudizio, oltre che nelle ipotesi dell’adozione di provvedimenti di carattere vincolato.
Il richiamato carattere autonomo del procedimento di screening, invero, non esclude la configurazione del procedimento di verifica di sottoposizione a V. I. A. ex artt. 19 s. D. Lgs. 152/2006 quale fase intermedia verso il procedimento di autorizzazione ambientale, che importerà il recupero di ogni necessaria istanza partecipativa, nonché degli apporti contributivi facoltativi, in ragione del carattere lesivo che assiste il provvedimento finale, in disparte il carattere facoltativo della competenza attribuita all’Autorità procedente di richiedere al proponente i chiarimenti ovvero le integrazioni documentali ritenuti necessari (art. 20, comma 4 D. Lgs. 152/2006).
Avv. Marco Bruno Fornaciari